3 dicembre 2020
Era il 16 ottobre ottobre quando l'attaccante del Napoli Victor James Osimhen segnava contro l'Atalanta la sua prima rete in maglia azzurra. Il ventunenne, originario di una delle principali città della Nigeria, Lagos, è anche la punta della nazionale nigeriana. Al San Paolo l'attenzione era tutta su di lui e ha sorpreso il fatto che dopo il gol non abbia sfoderato il classico entusiasmo. Ma ha alzato la maglia bianca ed esposto una rozza, bensì chiara, scritta a pennarello nera: "end brutality in Nigeria", fermate la brutalità in Nigeria.
Così anche in Italia il grande pubblico è venuto a conoscenza di un movimento di protesta che da settimane occupa le piazze del Paese africano e su Twitter è diventato popolare sotto l'hashtag di #EndSars, dove Sars è l'acronimo di Special anti robbery squad (tradotto letteralmente Squadra speciale anti-rapine): un corpo della polizia nigeriana noto per le violenze. Le proteste sono iniziate nella capitale, Abuja, già ad agosto ma sono dilagate in tutta la Nigeria dopo la diffusione sui social network di un video, poi censurato, che mostra un ufficiale delle Sars sparare a un manifestante e ucciderlo. La morte sarebbe avvenuta il sei ottobre scorso e a partire da quel momento migliaia di giovani sono scesi in piazza, a pochi giorni dalla celebrazione del sessantesimo anniversario dell'indipendenza del Paese. Le loro richieste sono due: prima di tutto la fine delle violenze da parte forze dell'ordine e poi riforme a tutti i livelli.
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La brutalità della polizia nigeriana è nota. Nel 2016 è stata classificata tra le peggiori del mondo dal World Internal security and police index, superando Repubblica Democratica del Congo, Kenya, e Uganda. "Non fare domande al poliziotto", è un motto che nel Paese conoscono tutti. E vale in modo particolare se quel poliziotto fa parte della Sars. La squadra è stata costituita nel 1992 per difendere la cittadinanza combattendo le rapine a mano armata e altri reati gravi, quando negli anni Novanta i banditi terrorizzavano Lagos e la Nigeria meridionale. Dietro il suo ruolo autorevole, però, il gruppo oggi fa "un uso disinvolto e sadico della violenza", accusa Akonasu Gbedozin, attivista che difende i diritti civili nel Paese. Dopo le proteste, per ammorbidire il giudizio internazionale su di sé, il governo nigeriano ha promesso di sciogliere la squadra. "Un proclama senza sostanza — prosegue Gbedozin —. Gli uomini in divisa continuano a girare per le città, affollando di posti di blocco le strade già dissestate e trafficate. Il controllo è volto solo all’estorsione: gli agenti raccolgono denaro dai pendolari sulla strada in pieno giorno".
"La polizia nigeriana fa un uso disinvolto e sadico della violenza. I controlli sono volti solo all'estersione" Akonasu Gbedozin - attivista
Se le promesse sono di facciata, la repressione dei protestanti è un dato di fatto. Per esempio, la Corporate affairs commission (Cac), responsabile delle organizzazioni e delle imprese in Nigeria, ha annunciato la cancellazione di “Enough is enough” (in italiano "quando è troppo è troppo"), una coalizione di movimenti giovanili che promuove un governo migliore e vuole rendere i politici responsabili delle loro azioni davanti ai cittadini. La motivazione ufficiale è il legame con i leader della protesta #EndSars. Gesto che gli attivisti considerano non solo autoritario, ma anche fuorviante, dato che non ci sono ruoli particolarmente apicali nella protesta. Poi la Banca Centrale della Nigeria ha congelato i conti bancari delle persone che hanno donato dei soldi per sostenere il movimento. Ma non solo. Il governo sta anche promuovendo un disegno di legge sul controllo di internet e dei social media. Una norma che Manuel Ovi, giornalista nigeriano di stanza a Lagos, definisce "draconiana". "I giovani si organizzano per evitare i controlli della polizia sul territorio. Grazie a Internet abbiamo avuto una risonanza mediatica a livello internazionale e un riconoscimento dalla comunità globale. Questa legge non è democratica e nel 2020 è inaccettabile".
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Le ragioni della repressione vanno cercate nel fatto che i manifestanti chiedono di più della fine della Sars, spiega bene Ovi: “Il movimento non è semplicemente contro la brutalità di una squadra della polizia, ma contro il cattivo governo. Ovvero, contro la corruzione, la dittatura e una quotidiana repressione della libertà di parola e di espressione. Queste sono le ragioni che hanno avuto la capacità di mobilitare giovani da ogni angolo del Paese per rivendicare uno Stato democratico”. ll governo guidato da Mhammadu Buhari continua a reggersi sulla corruzione. Una situazione che diventa insostenibile considerate le condizioni del Paese che deve fare i conti con l'inflazione galoppante e l'economia nera. Le origini del risentimento si comprendono meglio facendo un confronto. Da una parte, la Nigeria, con oltre 200 milioni di abitanti, è il Paese più popolato e povero del continente africano. Dall'altro, la sua ricchezza pro capite è tra le più elevate dell'Africa: succede perché molte delle risorse — di cui la Nigeria è ricca — si concentrano in poche mani, come quelle di Aliko Dangote, multimiliardario uomo d'affari. La pandemia sta peggiorando la situazione. Il prezzo del petrolio, tra le principali risorse presenti, è crollato. A ciò si aggiunge il fatto che i confini rimangono chiusi, la produzione è ferma e sono state emanate misure restrittive ai limiti della repressione per il contenimento del Covid-19.
“Il movimento non è solo contro la brutalità della polizia, ma contro il cattivo governo. La gente ha fame" Manuel Ovi - giornalista
La combinazione di povertà e repressione ha fatto fuggire in molti. Ma tanti altri hanno detto no. Continuano a lottare, chiedendo alla comunità internazionale — come le Nazioni Unite e l'Ecowas — di fare pressione sulle istituzioni nigeriane. E alle personalità internazionali di schierarsi in favore dei manifestanti. Come ha fatto sia il calciatore del Napoli, Osimhen, sia dj Switch: una celebrità musicale della Nigeria che ha filmato le atrocità durante le proteste, servite poi alla Cnn per fare delle inchieste sul tema. "Vogliamo che il mondo sia consapevole di quanto sta accadendo", è l'ultimo appello di Gbedozin e Ovi.
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