
'Ndrine in Val d'Aosta, per la Cassazione c'è ma non è strutturata

Aggiornato il giorno 2 gennaio 2021
“Odio, dunque sono”. Prendo spunto dall’intervento di Francesco Remotti a pagina dieci per una riflessione che credo congrua e, spero, proficua. Trovo profonda e convincente l’analisi del grande antropologo, salvo nel punto in cui parla di "odio immotivato" e "odio allo stato puro". Sia chiaro, non si tratta di giustificare l’odio e tutte le sue varianti razziste, sessiste eccetera, ma di coglierne un’eventuale radice, che magari con l’odio c’entra poco o nulla. Capire perché tante persone oggi – soprattutto sui cosiddetti social – non si fanno scrupolo di vomitare insulti o minacce su qualcuno che non conoscono e da cui non sono state offese. E capire perché il loro livore si scarichi preferibilmente su figure in vista, di riconosciuta autorevolezza intellettuale e morale. Se non cerchiamo di capire, fermandoci a una facile quanto sterile indignazione (non è il caso di Remotti, ovviamente) assolviamo un dovere di coscienza ma non ci avviciniamo alla risoluzione del problema.
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La strana situazione del basso Lazio, ammaestrato da decenni di clientele politiche e interessi della camorra. Dove si fa festa per non pensare, e chi alza il dito è tacciato di moralismo e isolato.