Credits: Muhmend El Bank/Unsplash
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Albe all'imbrunire*

Dietro i sentimenti d'odio si nasconde spesso una richiesta di attenzione. Un meccanismo della provocazione sintomo dell'egocentrismo

Fabio Cantelli Anibaldi

Fabio Cantelli AnibaldiScrittore

Aggiornato il giorno 2 gennaio 2021

“Odio, dunque sono”. Prendo spunto dall’intervento di Francesco Remotti a pagina dieci per una riflessione che credo congrua e, spero, proficua. Trovo profonda e convincente l’analisi del grande antropologo, salvo nel punto in cui parla di "odio immotivato" e "odio allo stato puro". Sia chiaro, non si tratta di giustificare l’odio e tutte le sue varianti razziste, sessiste eccetera, ma di coglierne un’eventuale radice, che magari con l’odio c’entra poco o nulla. Capire perché tante persone oggi – soprattutto sui cosiddetti social – non si fanno scrupolo di vomitare insulti o minacce su qualcuno che non conoscono e da cui non sono state offese. E capire perché il loro livore si scarichi preferibilmente su figure in vista, di riconosciuta autorevolezza intellettuale e morale. Se non cerchiamo di capire, fermandoci a una facile quanto sterile indignazione (non è il caso di Remotti, ovviamente) assolviamo un dovere di coscienza ma non ci avviciniamo alla risoluzione del problema.

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