15 gennaio 2021
I riti e la musica dei boschi sono senza tempo
Shihwu (1272-1352), eremita cinese
Ogni individuo crede di essere un potenziale centro del mondo. Ma se un tempo le persone potevano non fare particolare affidamento su questa percezione poiché nascevano, ad esempio, in famiglie povere, senza possibilità di cambiare il proprio destino, vincolate da condizioni materiali e dalle aspettative, o meglio, dai bisogni dei propri familiari di contribuire all’economia di sussistenza, nella parte di mondo che noi abitiamo oggi e per la stragrande maggioranza dei casi, ci è concessa una libertà di azione, di pensiero, di decisione che non è mai stata così ampia.
Certo, in questi ultimi mesi la pandemia da Covid-19 ci ha paralizzati, spesso più per paura di contagiare i più fragili, ma tanto è stato sufficiente perché le economie venissero congelate e i rapporti sociali interrotti, o quantomeno trasferiti per quanto possibile, sui mezzi di comunicazione. Il risultato è che ci sentiamo più deboli, frastornati, non abbiamo una visione del futuro, se non cinematograficamente distopica e complessa, appesantita.
I boschi che circondano le nostre città, le nostre campagne, i nostri abitati non sono lì soltanto per decorare il paesaggio, per rallegrare uno sguardo agreste tipo pastore errante dell’Asia o novelli Thoreau che vanno in cerca di estasi cromatiche autunnali. I boschi, le foreste, le montagne, le riserve naturali esistono per conservare quella biodiversità creaturale che non avrebbe modo di sopravvivere altrimenti. E anche per ricordarci che nonostante tutti i nostri impegni, sforzi, capacità, astuzie, ingegnosità e privilegi, noi valiamo quanto una singola foglia, quanto una goccia di brina che copre un ciuffo di aghi di pino. Il mondo avanza con noi ma può benissimo farne a meno e questo non ci dovrebbe rattristare, anzi, ci dovrebbe rallegrare, di più, entusiasmare.
Siamo nati liberi e moriremo liberi, liberi addirittura dalle nostre ambizioni, dai nostri desideri, dalle nostre eventuali ossessioni e anche dalle aspettative che gli altri nutrono nei nostri confronti, a casa, a scuola, gli amici. Noi siamo proprio come quell’albero che cresce da cento anni nello stesso posto, cercando ogni singolo giorno di essere il migliore albero possibile. Ma non per vincere una competizione, al contrario, per essere se stesso. La natura, se la sappiamo ascoltare, ci riporta ogni alba al primo sguardo nel mondo, al primo respiro, al primo assaggio; è una scuola di prime volte, dove sentire, capire e vivere in questo stesso istante, in un presente costante.
Da lavialibera n°6 novembre-dicembre 2020
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