
'Ndrine in Val d'Aosta, per la Cassazione c'è ma non è strutturata

15 gennaio 2021
Campetti vuoti, tappetini arrotolati, piscine asciutte, palestre silenziate, armadietti chiusi, palloni fermi. Lo sport di base è stato tra i primi costretti a chiudere quando la seconda ondata di coronavirus è diventata impetuosa. Così ha voluto chi siede al tavolo del comando. "Dietro queste scelte c’è un limite culturale – denuncia Vincenzo Manco, presidente dell’Unione italiana sport per tutti (Uisp) –. Lo sport è prevenzione, socialità, educazione, economia sociale: chiediamo il diritto di ammetterlo tra i diritti fondamentali delle persone. Penso alle tante società sportive, alle palestre che hanno investito durante l’estate per rispettare i protocolli, con sanificazioni, termo-scanner, tracciabilità dei partecipanti. In regola, ma ora chiuse. Purtroppo non si ha la consapevolezza di quanto lo sport rappresenti un progetto di vita e insieme un mondo produttivo, con una rete capillare di realtà e volontari preziosa per la nostra economia sociale".
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La strana situazione del basso Lazio, ammaestrato da decenni di clientele politiche e interessi della camorra. Dove si fa festa per non pensare, e chi alza il dito è tacciato di moralismo e isolato.