
Carcere, detenuti in semilibertà tornano a dormire in cella

Aggiornato il giorno 7 gennaio 2021
La droga è uno dei problemi più drammatici del nostro tempo. Mi ci confronto con il Gruppo Abele da cinquant’anni. Un lungo periodo durante il quale ho incontrato – sulla strada, nelle prime accoglienze, in comunità, in carcere – migliaia di persone che con la droga hanno avuto a che fare. Giovani e meno giovani che ne facevano e ne fanno uso. E le loro famiglie, tutte segnate dalle stesse domande irrisolte: perché tutto questo e come uscirne? E poi educatori, operatori di comunità, medici, volontari, tutti quotidianamente a contatto con storie di dipendenza.
L’incontro con la disperazione e la speranza mi ha insegnato molte cose, due in particolare. La prima: le storie di droga ci riguardano tutti e chi ne fa uso non è altro da noi. La seconda: per affrontare il problema non ci sono vie facili e risolutive, soluzioni già pronte o bacchette magiche esibite da spacciatori d’illusioni. C’è stato un periodo, dall’inizio degli anni Settanta alla metà dei Novanta, in cui tra overdose, Aids, epatiti e altre malattie correlate, la droga causò la morte di circa 50mila persone. Una strage. Dovuta soprattutto all’eroina.
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Nel dicembre del 2000, a Palermo veniva firmata la Convenzione Onu contro il crimine organizzato transnazionale, presentata in termini trionfalistici come una svolta nella lotta ai fenomeni mafiosi in tutto il mondo. Ma cosa è cambiato da allora? Qual è lo stato dell'arte in fatto di contrasto ai traffici illeciti globali?