5 marzo 2021
Il transessualismo è presente, pur con letture e funzioni diverse, in tutte le società. Oggi il termine transgender è utilizzato per riferirsi a tutte le persone la cui identità di genere non corrisponde al sesso assegnato alla nascita. Ma la storia di questo termine è legata a una battaglia di emancipazione iniziata molti anni fa, che non si è ancora esaurita.
Partiamo dal 1980, quando il transessualismo è stato inserito nel Diagnostical and statistical manual of mental disorders (Dsm), l’elenco ufficiale dei disturbi mentali stilato dall’American psychiatric association, l’organizzazione di psichiatri statunitensi. Anche se nel tempo il Dsm ha sfumato la definizione, sostituendo il "disturbo di identità di genere" con «disforia di genere», la prospettiva patologizzante non è mai stata superata del tutto: ancora oggi le persone transessuali sono soggette a diagnosi, verifiche, terapie psicologiche e valutazioni psichiatriche nelle mani di centri clinici specialistici, in uno sbilanciamento di potere che vanifica il valore dell’autodiagnosi del soggetto interessato.
Ancora oggi le persone transessuali sono soggette a diagnosi, verifiche, terapie psicologiche e valutazioni psichiatriche
Un significativo passo in avanti è stato fatto nel 2019 con l’ultima classificazione internazionale delle malattie (Icd-11) stilata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che ha formulato la definizione di "incongruenza di genere" nel capitolo, appositamente introdotto, della salute sessuale, rimuovendo la transessualità dal capitolo sulle patologie sessuali.
Transessualismo, la libertà non è un'etichetta
Attualmente quasi ogni Stato europeo ha adottato una propria normativa per regolare il percorso di transizione. In alcuni Paesi la variazione anagrafica di genere è subordinata alla diagnosi di salute mentale. Altri richiedono anche l’intervento chirurgico, imponendo di fatto la sterilizzazione. Nel 2017 questi ultimi sono stati condannati dalla Corte europea dei diritti umani, ma c’è chi, come Repubblica Ceca e Slovacchia, ha mantenuto le vecchie normative.
I disagi si prevengono chiedendo aiuto: sempre più giovani lo fanno
In Italia è vigente la legge numero 164 del 1982, che subordina la rettificazione anagrafica alla realizzazione di trattamento medico chirurgico. Tuttavia, a partire dal 2015 diverse sentenze della Cassazione e della Corte costituzionale che hanno interpretato la normativa in senso riformista, autorizzando il cambio anagrafico indipendentemente dall’intervento chirurgico, mantenendo però obbligatorio il percorso medico psicologico.
A ogni modo, negli anni, la visibilità di queste persone è cresciuta. È un dato comune a tutti i centri sanitari, ma anche agli sportelli dedicati all’accoglienza di persone transessuali o transgender, che sia in atto un aumento significativo di richieste. Ciò non significa che il fenomeno sia in aumento rispetto al passato, ma potrebbe invece essere sintomatico dell’allentarsi dello stigma sociale che consente al sommerso di emergere. Ed è sempre più evidente come l’età di emersione si stia abbassando e siano molti i ragazzi che chiedono aiuto, favorendo una migliore prevenzione dei disagi che col passare degli anni possono stratificarsi, portando transessuali o transgender ad accusare malesseri di tipo medico o psichiatrico. Il fenomeno resta difficilissimo da quantificare, ci sono comunque delle stime che indicano nella cifra approssimativa di 400mila il possibile numero delle persone transgender in Italia.
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