
Guerra in Congo, l'interesse del Ruanda per il coltan e gli accordi con l'Ue

5 marzo 2021
Siamo una specie strana. Nonostante il nome scientifico che ci è stato assegnato, è per noi sempre problematica la distinzione tra maschi e femmine. Nel Systema naturae del 1735, Carl Linneo aveva decretato che noi siamo homo sapiens, la specie che sa. Da qualche tempo, i paleo-antropologi hanno proposto di definire noi stessi – unica specie sopravvissuta del genere homo (stranezza pure questa) – con l’espressione homo sapiens sapiens: una sottospecie doppiamente sapiente.
Le società sanno che occorre intervenire culturalmente per modellare corpi e comportamenti
Continuiamo pure a chiamarci in questo modo, ma oltre alla sapienza di homo sapiens evochiamo la sua cultura. Si noteranno allora due cose: a) nel mondo animale vi sono moltissime altre specie culturali, nel senso che esibiscono comportamenti socialmente appresi; b) noi siamo animali sproporzionatamente culturali, a tal punto che le domande "Chi siamo? Chi vogliamo essere?" appaiono ineludibili, incombenti. Per fortuna, sono domande a cui non pensiamo affatto nella vita di tutti i giorni; scivolano via nell’arco della giornata: il nostro tran tran quotidiano è rassicurante sotto questo profilo.
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