27 aprile 2021
La proposta avanzata a inizio aprile da Massimo Garavaglia, ministro del Turismo in quota Lega, di studiare un piano vaccinale ad hoc per rendere alcune località turistiche "covid-free" – per esempio le isole minori – continua a far discutere. “Dal punto di vista dell’immagine e della promozione sarebbe un segnale importante”, ha subito dichiarato Angelo Zini, sindaco di Portoferraio e presidente della conferenza dei sindaci dell’Elba. L’isola che ospitò Napoleone Bonaparte durante il suo esilio è da sempre una delle mete turistiche preferite di italiani e stranieri. Ma qui, oltre all’obiettivo di una vaccinazione di massa, c’è chi vede un altro ostacolo alla ripresa del turismo locale: la vecchia discarica del Puppaio. Situata nella parte orientale dell’isola, in una zona molto frequentata dai turisti, da anni attende di essere bonificata. “I turisti stranieri la vedono come una bizzarria locale e tutta nostrana”, afferma Umberto Mazzantini, responsabile nazionale di Legambiente per le isole minori.
Rifiuti edili e di vario genere abbandonati nel corso degli anni in una delle aree minerarie più importanti d’Italia. La discarica del Puppaio – che prende il nome dalla località che la ospita – esiste da decenni. Oggi è sigillata e non è più consentito lo scarico di rifiuti e inerti edili, ma la bonifica rimane un miraggio.
I rifiuti edili si sono accumulati in un’area che fa parte sia del Parco nazionale dell’arcipelago toscano sia del Parco minerario isola d’Elba. “È incredibile che dopo più di vent’anni si parli ancora di una discarica abusiva che non dovrebbe nemmeno esistere all’interno di un Parco”, afferma Mazzantini. Oltre ai danni ambientali, la discarica è ben visibile ai turisti che si avventurano nella zona nord orientale dell’isola, all’interno del Parco minerario, attratti qui dai minerali e dai cosiddetti laghetti rossi: specchi d’acqua che devono la loro suggestiva colorazione alla ricca presenza di ferro ed ematite.
La storia della discarica del Puppaio affonda le sue radici nel periodo che va dalla chiusura delle miniere elbane (1981) alla costituzione del Parco nazionale dell’arcipelago toscano (1996). Lo stop a un settore fondamentale per l’economia locale ha comportato ricadute occupazionali e l’abbandono frettoloso di un’area che fin dall’antichità era stata presidiata dagli etruschi e dai romani. “Molte persone sono finite in cassa integrazione e le miniere sono diventate un ‘territorio di nessuno’”, racconta Mazzantini.
L’esponente di Legambiente ricorda l’avvenimento che ha decretato la nascita della discarica abusiva. “Viene costituita una cooperativa con il compito di riciclare gli inerti edili delle aziende del territorio e che grazie all'autorizzazione del Parco può svolgere questa attività all’interno dell’area delle miniere”. La cooperativa inizia ad accumulare rifiuti vicino alla località Puppaio, ma la società fallisce nel giro di pochi anni, senza portare a termine il lavoro. “Il presidente fugge dall’isola e l’intera attività finisce sotto la lente della magistratura. Ma questo non ferma le aziende del territorio che non smettono di gettare rifiuti nella discarica. Agiscono di notte in maniera del tutto illegale. Mancano i controlli e chiunque può scaricare ciò che vuole. Questo è avvenuto finché l’area non è stata posta sotto sequestro giudiziario”, spiega Mazzantini.
Nel corso del 2007 la Regione Toscana assegna ai comuni ex minerari un finanziamento per il disinquinamento ambientale, “che per Rio Marina valeva circa 600mila euro, da utilizzare per bonificare alcuni ex scarti di lavorazione”, tra cui l’area del Puppaio. La vicenda è stata ricostruita nel 2017 dall’ex sindaco Renzo Galli. Le risorse economiche consentono alle istituzioni locali e agli enti coinvolti di sedersi a un tavolo per pianificare un’azione di ripristino ambientale, avvenuta tra il 2011 e il 2018. “L’area del Puppaio viene divisa in due parti: Puppaio1 e Puppaio2 – racconta Vittorio D’Oriano, geologo che all’epoca prese parte alla progettazione per i lavori di ripristino ambientale –. La prima zona di intervento riguardava una blanda depressione non troppo distante dal cumulo di rifiuti edili e in cui erano presenti residui minerari accumulati. Abbiamo realizzato un sistema di drenaggio e di raccolta delle acque superficiali”.
La parte relativa al Puppaio1 viene quindi bonificata, anche se l’intervento è considerato da Mazzantini “costoso” e dannoso “perchè ha cancellato il primo dei laghetti rossi dell’area nord-orientale dell’isola”. Ma soprattutto – fa notare l’esponente di Legambiente – non ha risolto il vero problema: la discarica di inerti. La zona del Puppaio2 infatti non è stata coinvolta dall’intervento, anche se esiste un progetto approvato e fermo da anni. Dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (Arpat) – autorità che ha partecipato all’iniziativa – fanno sapere che “l’iter istruttorio è ancora in corso”.
“Nel Puppaio2 avevamo previsto addirittura un riutilizzo dei materiali inerti presenti nella zona per la bonifica dell’intera area e una divisione in quattro lotti funzionali del progetto d’intervento per rendere le cose più semplici e rapide. Tutto però si è bloccato improvvisamente e ancora non è stata bandita la gara di appalto per decidere a quale ditta affidare l'intervento”, afferma Marco Folini, geologo, tra gli autori del progetto di bonifica della discarica e direttore lavori dell’intervento al Puppaio1. Il lavoro aveva ottenuto il via libera da Arpat, Regione Toscana e Comune di Rio Marina. Da diversi anni Folini è in contatto con l’Ufficio tecnico del Comune di Rio per comprendere se ci possa essere la possibilità o meno di completare i lavori di bonifica ma l’amministrazione comunale nata nel 2018 dall’unione tra i municipi di Rio Marina e Rio nell’Elba ha visto cambiare ben quattro responsabili unici nel procedimento (Rup) nel giro di pochi anni. Così l’intervento di bonifica del Puppaio da ultimare passa regolarmente in secondo piano.
“Intervenire non è così semplice. Un tempo l’unica autorità riconosciuta era il direttore delle miniere. Le amministrazioni comunali non potevano agire in questa area demaniale. Dobbiamo considerare che una piccola parte del compendio è ancora sottoposta a vincolo di riserva strategica: significa che in caso di necessità lo Stato può riattivare le miniere in quell’area”, spiega D’Oriano. Il contesto non va sottovalutato e influisce sul presente. Inoltre “agire su un’ex area mineraria è molto complesso dal punto di vista ambientale perché le cave ospitano elementi che di per sè sono molto inquinanti ma che in una zona di questo tipo rappresentano la normalità”, aggiunge il geologo.
L’iter di un progetto di ripristino ambientale richiede poi molto tempo e varie autorizzazioni, visto che riguarda un’area che fa parte di un Parco nazionale. “Se il progetto venisse sospeso e si decidesse di ripartire da zero – conclude Folini – ci vorrebbe un sacco di tempo prima di pervenire a una soluzione e a un intervento risolutivo”.
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