Un momento dei funerali di Vittorio Casamonica a Roma nella chiesa Don Bosco il 20 agosto 2015 (Massimo Percossi/Ansa)
Un momento dei funerali di Vittorio Casamonica a Roma nella chiesa Don Bosco il 20 agosto 2015 (Massimo Percossi/Ansa)

Casamonica, il tribunale ha deciso: è mafia

Sentenza importante dei giudici di Roma che hanno riconosciuto la validità dell'accusa di associazione mafiosa alla famiglia rom laziale diventata "celebre" per i funerali con elicottero e musica de Il Padrino

Ylenia Sina

Ylenia SinaGiornalista

21 settembre 2021

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Il clan dei Casamonica è mafia. Lo hanno riconosciuto i giudici della decima sezione penale del Tribunale di Roma che lunedì, dopo circa sette ore di camera di consiglio, hanno inflitto condanne per oltre 400 anni di carcere a 44 imputati accusati a vario titolo di diversi reati, tra cui, per alcuni, l’associazione di stampo mafioso. La pena più pesante è quella decisa per Domenico Casamonica, 30 anni di reclusione. Dalla sentenza è emerso il quadro di un’organizzazione dedita al traffico di droga, detenzione illegale di armi e attività di estorsione e usura, capace di imporsi con la violenza in diversi quartieri della Capitale, dalla roccaforte di Porta Furba fino alla Romanina.

Le inchiesta "Gramigna" e "Gramigna bis"

La sentenza di primo grado era molto attesa in quanto riconosce per la terza volta il reato di associazione mafiosa per un’organizzazione criminale romana

Il processo è l’esito delle indagini ‘Gramigna’ e ‘Gramigna bis’, condotte dai carabinieri di Frascati e coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma, che, oltre agli arresti, avevano portato a sequestri di beni per diversi milioni di euro. La prima inchiesta era partita nel 2015. Proprio nell’estate di quell’anno, il clan si era fatto notare per gli sfarzosi funerali di Vittorio Casamonica, portato in corteo su una carrozza con tanto di banda musicale a intonare le note della musica de Il Padrino e di un elicottero in volo sopra il quartiere Don Bosco per spargere petali di rosa sui partecipanti.

Nel corso della requisitoria avvenuta nel maggio scorso, i pm Giovanni Musarò e Stefano Luciani avevano sollecitato pene per 630 anni di carcere. I due pm, per ricostruire l’intricata rete di ruoli e affari del clan, hanno potuto contare sulla testimonianza di alcuni collaboratori di giustizia, tra i quali Debora Cerreoni, moglie di Massimiliano Casamonica. Nel 2019, 14 persone erano state condannate con rito abbreviato mentre in tre avevano scelto il patteggiamento.

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La sentenza di primo grado era molto attesa in quanto riconosce per la terza volta il reato di associazione mafiosa per un’organizzazione romana: prima dei Casamonica era stata la volta dei clan Spada e Fasciani. La tesi era invece decaduta in Cassazione per l’inchiesta nei confronti di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, principali indagati al centro dell'inchiesta "Mafia capitale".

Le reazioni al verdetto

“Si tratta di una storia antica, che affonda le sue radici nella Capitale degli anni ’50 e ’60, quando piccoli traffici di automobili e il commercio di cavalli caratterizzavano l’economia del clan

“La storia dell’ascesa dei Casamonica mette in rilievo la straordinaria sistematicità ed efficacia negli anni dei suoi metodi di intimidazione e assoggettamento”, dice Gianpiero Cioffredi, presidente dell’Osservatorio per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio. “Si tratta di una storia antica, che affonda le sue radici nella Capitale degli anni ’50 e ’60, quando piccoli traffici di automobili e il commercio di cavalli caratterizzavano l’economia del clan. Oggi, mezzo secolo dopo, le indagini li vedono protagonisti di sodalizi con clan di camorra e ‘ndrangheta ma anche con i cartelli colombiani del narcotraffico”.

Per il procuratore aggiunto della Dda di Roma, Ilaria Calò, la sentenza “conferma la validità dell’impostazione data dalla Dda e la serietà del lavoro svolto dalla procura e dalla polizia giudiziaria in questi anni”. L’avvocato Giosuè Bruno Naso, che difende diversi imputati, ha invece commentato: “Sentenza sconcertante, ma non sorprendente. Faremo appello”. Soddisfatta la sindaca Virginia Raggi, che vive sotto scorta proprio per le minacce ricevute dai Casamonica: “Questa sentenza non cancella gli anni di soprusi e violenze, ma è un risultato importante per chi vive in questa città. Noi non ci siamo mai girati dall’altra parte”. Anche il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha commentato: “È una sentenza storica. Continueremo nella lotta contro le mafie e per la legalità, il che significa stare ogni giorno nei quartieri delle nostre città e presidiarli con i servizi senza lasciare spazi”.

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Presente in tribunale anche il legale di parte civile dell’associazione antimafia Libera, Giulio Vasaturo: “Oggi (ieri, ndr) è un giorno di sollievo. In quest'aula abbiamo assistito al susseguirsi di testimoni che hanno dato chiari indicatori di essere intimiditi. Si è respirata l'omertà di taluni. È una sentenza che dà speranza, un messaggio forte per la città di Roma”. A dimostrazione della capacità intimidatoria e del clima di impunità in cui ha agito per anni il clan dei Casamonica, è la stessa associazione Libera a sottolineare come le vittime non si siano costituite parte civile. Storia simbolica, quella di Ernesto Sanità, rimasto senza casa dal 2007 al 2018 in quanto l’alloggio popolare di proprietà dell’Ater nel quale viveva era stato occupato abusivamente da esponenti del clan, che sostenevano di vantare un credito nei confronti del figlio. A nulla sono servite le sue denunce: per oltre dieci anni Sanità è stato costretto a dormire per strada. Non ha potuto ascoltare la sentenza emessa ieri: è morto nell’aprile del 2020.

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