
Dare un nome a chi muore in mare

Paolo ValentiRedattore lavialibera

31 marzo 2022
È molto difficile inquadrare il nuovo romanzo di Maaza Mengiste, Il re ombra (Einaudi, 2021), tradotto splendidamente da Anna Nadotti, ma forse proprio in questo risiede il suo fascino. È un romanzo storico, perché parla di una giovane etiope che diventa un soldato nella resistenza durante la colonizzazione fascista, e perché il racconto è una lunga riflessione sull’impossibilità di avere una memoria condivisa e una colpa collettiva. Un atto di accusa sulla facoltà della storia di formare identità singolari e di manipolare la memoria. È anche un romanzo politico, perché affronta la questione del corpo della donna, violentato e abusato in una società di stampo patriarcale. Probabilmente è però soprattutto un romanzo intertestuale, corale ed epico. Un libro polifonico intramezzato da fotografie solo descritte, che danno la possibilità al lettore di porsi delle domande: le fotografie hanno il potere di giustificare la violenza sulle persone e le atrocità della guerra? La macchina fotografica può essere uno strumento complice della tragedia?
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Il romanzo viene spesso interrotto da un coro, la prima volta elemento volutamente spiazzante che però piano piano riesce a integrarsi perfettamente nel romanzo che inizia e si chiude nel 1974, nella stazione ferroviaria di Addis Abeba, una città nel caos perché prossima al colpo di stato che porterà alla caduta e all’uccisione del negus Hailé Selassie e all’affermazione di una dittatura militare. Due scene tra loro legate racchiudono un flashback di sei anni: dal 1935, quando Mussolini ordina l’invasione dell’Etiopia, al 1941, quando la strenua resistenza etiope risulta vittoriosa.
L’elemento del coro avvicina il romanzo della Mengiste alla tragedia greca e, più in particolare, all’epos per eccellenza sulla guerra: l’Iliade. Ma mentre nel poema omerico erano gli uomini a fare la guerra, qui la battaglia viene combattuta e raccontata dalle donne. Proprio perché vista dal punto di vista femminile, è presente una pietas che mostra come all’interno di uno stesso personaggio possa convivere il bene e il male. Questo succede a Kidane, capo della resistenza etiope, ma anche alla moglie Aster e soprattutto a Ettore Navarra, il personaggio più emblematico del libro. Navarra vive in quella che Primo Levi ha definito “la zona grigia”, dimensione dove bene e male si toccano. È il fotografo della guerra e testimonia delle violenze e efferatezze commesse dagli italiani sugli etiopi. È da questo punto di vista un persecutore che trova nel comandante Fucelli il suo padre putativo; ma è anche ebreo e di lì a poco, solo tre anni dopo lo scoppio della guerra in Etiopia, diventerà un perseguitato.
In questa profonda ambivalenza ruotano le figure del romanzo di Maaza Mengiste e rendono interessante la storia. In fondo è proprio la zona grigia l’orizzonte che più di altri accende la nostra attenzione di lettori.
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Con i criptofonini, i clan della Locride gestivano il narcotraffico internazionale da San Luca, paese di tremila anime arroccato sull'Aspromonte jonico. Tramite il "denaro volante", sistema informale di trasferimento di valore gestito da cinesi, con contatti a Dubai, pagavano la droga ai cartelli sudamericani. Con il beneplacito dei paramilitari, tonnellate di cocaina partivano da Colombia, Brasile e Ecuador per poi raggiungere il vecchio continente grazie agli operatori portuali corrotti dei principali scali europei. L'ultimo numero de lavialibera offre la mappa aggiornata degli affari della 'ndrangheta, così per come l'hanno tracciata le ultime indagini europee, in particolare l'operazione Eureka
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