Carles Puigdemont, parlamentare Ue ed ex-presidente della Catalogna. Fonte:EP
Carles Puigdemont, parlamentare Ue ed ex-presidente della Catalogna. Fonte:EP

Gli Stati Ue non vogliono chiarezza su Pegasus

Premier, politici d'opposizione e giornalisti europei sono stati presi di mira dallo spyware prodotto dall'azienda israeliana Nso. Uno scandalo senza precedenti su cui ora indaga una commissione d'inchiesta. Non avrà vita facile

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

13 luglio 2022

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In pochi casi al Parlamento europeo sono state istituite commissioni d’inchiesta come quella messa in piedi lo scorso aprile. Il suo compito è indagare sull’uso di Pegasus e altri spyware. Pegasus è il nome di un software spia prodotto dall’azienda israeliana Nso e acquistato da molti Paesi dell’Unione con l’obiettivo ufficiale di contrastare la criminalità organizzata e il terrorismo. Eppure, un’inchiesta transnazionale chiamata Pegasus Project ha trovato tracce di questo strumento negli smartphone di politici, attivisti e giornalisti. 

Intervista all'hacker dietro lo scandalo Pegasus

Che gli spyware potessero essere sfruttati a fini di spionaggio non è un problema nuovo: per esempio, molteplici fonti sostengono che lo spyware sviluppato da Nso abbia avuto un ruolo nell’uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi. Tuttavia, stavolta  – più che in passato  – è emerso con evidenza non solo che tra le vittime figuravano dei cittadini europei, ma anche che tra i responsabili c’erano degli Stati europei, e non dei regimi illiberali. Uno scandalo senza precedenti nel perimetro della democratica dell’Unione, che nelle ultime settimane ha coinvolto persino i vertici delle istituzioni Ue. Le ultime notizie dicono che nel 2021 anche Didier Reynders – l’attuale commissario europeo per la giustizia – sia finito nel mirino di Pegasus, anche se non sappiamo se la tentata intrusione sia andata a buon fine o meno. 

Da qui l’esigenza di una commissione d’inchiesta che, fatta eccezione per l’estrema destra, sembra poterepoter contare sul sostegno di tutti i gruppi dell’europarlamento. Lo stesso non si può dire degli Stati membri. Sophie In ’T Veld, eurodeputata del gruppo liberale centrista Renew Europe, crede che «nessuno Stato collaborerà alle indagini. Il problema – ha denunciato a Guerre di Rete – ha una forte dimensione nazionale, che prescinde da qualsiasi colore politico». A questo proposito, indicativa è la posizione adottata dalla Commissione europea, che pur criticando gli abusi non indagherà sugli Stati membri perché la faccenda riguarda interessi nazionali. 

La ragione di tanta ritrosia si spiega così: gli spyware sono diventati essenziali nelle indagini. Anche in Italia non c’è inchiesta giudiziaria che non ne faccia uso, ma a questo diffuso utilizzo fa da contraltare l’assenza di una cornice legale comunitaria. In un documento pubblicato a febbraio, il Garante europeo per la protezione dei dati personali spiega che il sistematico impiego di Pegasus o di tecnologie simili non è compatibile con l’ordinamento giuridico Ue, perché la violazione del diritto alla privacy è così grave che l’individuo ne è di fatto privato. L’unica possibile soluzione? Bandirle.  

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