5 maggio 2020
Nella sua rubrica per lavialibera, Carlo Lucarelli va alla ricerca di nuovi significati per le parole più in uso.
Quando ero piccolo c’era una stanza nella casa dei miei nonni che mi faceva paura. Stava dietro una porta socchiusa, su un corridoio che percorrevo come una saetta, sforzandomi di non guardarci dentro perché c’era un luccichio che mi terrorizzava. Un bagliore, nella penombra silenziosa, e anche qualcosa, una forma, paio di occhi che sembravano fluttuare a mezz’aria. Ero terrorizzato.
C’erano altre porte lungo il corridoio, alcune chiuse e qualcuna aperta. Non me le ricordo più. La cucina, immagino, il bagno, credo, una camera da letto, forse. Di quelle chiuse non ho proprio idea, e non mi è mai importato.
Quella dietro la porta socchiusa me la ricordo, invece. Perché un giorno, stanco di correre come un razzo tutte le volte, mi sono fermato e piano piano, cauto e tremante, l’ho aperta.
Vorrei che me ne restasse anche un po’ dopo, di paura, quando mi diranno che è finito tutto
Ecco, io ho sempre considerato la paura come una forma di conoscenza. Una cosa che non ti lascia indifferente e che se la affronti con gli elementi giusti - la conoscenza, appunto, e il buon senso di reagire con quello che va fatto, oltre alla pazienza di farlo seriamente - ti fa addirittura crescere. Cambiare, capire, decidere quello che serve perché certe cose non avvengano più. Dato che è un pezzo che questa terra ci manda segnali - dai terremoti ai continenti che bruciano - e questa pandemia è soltanto quello più recente. Ecco, vorrei che me ne restasse anche un po’ dopo, di paura, quando mi diranno che è finito tutto e che posso tornare ad uscire e a fare quello che facevo prima, e magari ci penserò sopra, a quello che facevo prima, per la paura di rifare quello che mi ha portato alla condizione in cui siamo oggi. Se invece la affronti male, la paura, fuggendo, o lasciando che qualcun altro la sfrutti per farti scappare - o chiudere dietro un muro, che è lo stesso - ecco che allora non funziona.
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In questo momento paura è una delle parole che sentiamo più spesso, e paura è uno dei sentimenti dominanti di questo periodo, anche se non solo di questo. È antipatico dirlo, perché le cose brutte e i morti sono tanti e stridono con qualunque accezione positiva, ma se sappiamo usarla bene, questa paura, può diventare un’altra cosa. Un’occasione.
P.S. Alla fine l’ho scoperto cosa c’era dietro quella porta socchiusa. C’era il salotto buono dei miei nonni, quello in cui non entrava mai nessuno, e figuriamoci un bambino come me. Gli occhi erano quelli di un quadro, un ritratto molto bello che poi ho portato a casa mia. Il luccichio, era quello del cellophane che copriva il divano e le poltrone, intonse da quando erano state comprate. Il salotto buono, appunto, da far vedere, mica da usare.
Da lavialibera n° 2 marzo/aprile 2020
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