29 novembre 2022
Le accuse contro Julian Assange costituiscono un “pericoloso precedente” che minaccia la libertà di stampa. È quanto affermano, in una lettera aperta e condivisa, cinque testate internazionali – New York Times, The Times, The Guardian, Le Monde, Der Spiegel ed El Pais – che hanno chiesto agli Stati Uniti di ritirare le accuse contro il fondatore di WikiLeaks, reo di avere pubblicato segreti militari e diplomatici riservati. Assange, 51 anni, da aprile 2019 è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, a Londra, e lo scorso aprile la Westminster magistrate’s court ha emesso l’ordine per l’estrazione negli Usa, dove l’attivista australiano rischia una condanna a 175 anni.
WikiLeaks: dalle denunce all'estradizione di Assange negli Usa
Nel novembre del 2010, i cinque giornali firmatari della missiva hanno pubblicato le rivelazioni fornite da WikiLeaks, destando enorme scalpore in tutto il mondo. In particolare, il cosiddetto Cablegate - oltre 250mila dispacci top secret del Dipartimento di Stato americano - rivelò storie di corruzione, scandali diplomatici e affari di spionaggio internazionali.
Il Cablegate - oltre 250mila dispacci top secret del Dipartimento di Stato americano - rivelò storie di corruzione, scandali diplomatici e affari di spionaggio internazionali
Oggi che il destino di Assange sembra essere segnato, redattori ed editori hanno deciso di schierarsi al suo fianco, unendosi all’appello lanciato dagli attivisti di tutto il mondo, che hanno chiesto l’immediata scarcerazione e la caduta delle accuse nei suoi confronti. Sono oltre venticinque le associazioni (tra cui Amnesty International, IFJ, ACLU, Freedom of the Press Foundation, Reporters Without Borders e Human Rights Watch) che reputano l’estradizione di Assange una minaccia alla libertà di stampa e di espressione di giornalisti e informatori. A queste voci si è aggiunta quella dell’Alto commissario delle Nazioni Uniteper i diritti umani, Michelle Bachelet, secondo cui l’estradizione dell’attivista “potrebbe avere effetti agghiaccianti sul giornalismo investigativo e le attività degli informatori”.
Senza Assange, il tramonto di WikiLeaks?
Nella lettera si legge: “L'amministrazione Obama-Biden, in carica durante la pubblicazione di WikiLeaks nel 2010, si è astenuta dall'incriminare Assange, spiegando che avrebbe dovuto incriminare anche i giornalisti delle principali testate giornalistiche. La loro posizione premiava la libertà di stampa, nonostante le spiacevoli conseguenze. Sotto Donald Trump, tuttavia, la posizione è cambiata. Il Doj (il Dipartimento della giustizia americano, ndr) si basava su una vecchia legge, l'Espionage Act del 1917 (progettato per perseguire potenziali spie durante la prima guerra mondiale), che non è mai stato utilizzato per perseguire un editore o un'emittente televisiva”.
“Nel 2010 l'amministrazione Obama si è astenuta dall'incriminare Assange, ma sotto Donald Trump la posizione è cambiata
E ancora: “Ritenere i governi responsabili fa parte della missione centrale di una stampa libera in una democrazia. Ottenere e divulgare informazioni sensibili quando necessario nell'interesse pubblico è una parte fondamentale del lavoro quotidiano dei giornalisti. Se quel lavoro viene criminalizzato, il nostro discorso pubblico e le nostre democrazie si indeboliscono notevolmente. Dodici anni dopo la pubblicazione di Cablegate, è giunto il momento per il governo degli Stati Uniti di porre fine al processo contro Julian Assange per aver pubblicato segreti. Pubblicare non è reato”.
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