14 ottobre 2022
Il Regno Unito ha approvato l’estradizione negli Stati Uniti del fondatore di WikiLeaks Julian Assange, che rischia una condanna a 175 anni di carcere per aver pubblicato documenti sulle guerre in Iraq e Afghanistan. Secondo attivisti ed esperti, l'estradizione di Assange rappresenta una minaccia alla libertà di stampa. E il 15 ottobre si terranno – in Italia e nel mondo – manifestazioni in sua solidarietà.
È il 4 ottobre del 2006, quando il giornalista e attivista australiano Julian Assange fonda WikiLeaks, un’organizzazione che permette ai cosiddetti whistleblower (informatori) di inviare da ogni parte del mondo, in forma anonima, documenti riservati di governi e autorità. Da parte sua, WikiLeaks assicura la protezione delle fonti e si impegna a dare ai documenti il maggior impatto mediatico possibile.
Il sistema si basa sull’utilizzo della tecnologia avanzata e, in particolare, su sofisticate tecniche di crittografia, che rendono i messaggi non leggibili a utenti diversi dal destinatario finale, consentendo di comunicare in modo sicuro e protetto con le fonti.
WikiLeaks diventa un caso internazionale il 4 aprile 2010, quando pubblica il video Collateral Murder. Nel filmato, girato nel 2007 a Baghdad, in Iraq, alcuni militari statunitensi a bordo di un elicottero Apache sparano a un gruppo di civili. Le vittime sono 18, tra cui i due reporter Saeed Chmag e Namir Noor-Elden, inviati dell’agenzia di stampa britannica Reuters. L’attacco ha inizio quando i militari scambiano la telecamera di Noor-Elden per un lanciafiamme, poco dopo sopraggiunge un furgone guidato da un uomo che è in compagnia di due bambini. Il conducente, notando Chamg ferito, cerca di portarlo al riparo nel veicolo, ma i militari uccidono entrambi, ferendo gravemente i bambini.
Gli Usa reagiscono alla pubblicazione, osservando che “il video dà una visione limitata della complessità degli scontri avvenuti sul campo”. Per l’analista militare Daniel Ellsberg, quelle immagini configurano una violazione delle leggi della guerra in quanto “le truppe di terra si stanno avvicinando e sono perfettamente in grado di catturare quelle persone, ma nel frattempo si uccide prima dell’arrivo delle truppe”. Pochi mesi dopo, WikiLeaks pubblica oltre 400mila rapporti militari sulla guerra in Iraq. Secondo i dati raccolti, sarebbero oltre 15mila i civili morti in incidenti non dichiarati. Altri documenti mostrano anche come gli Stati Uniti abbiano evitato di indagare i casi di tortura nelle carceri irachene. Questo, nonostante il diritto internazionale imponga la prevenzione della tortura a ogni organizzazione o governo che eserciti il controllo su un territorio.
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Successivamente, con gli Afghan War Logs, WikiLeaks documenta la guerra in Afghanistan mostrando, in particolare, gli aspetti sconosciuti del conflitto, tra cui l’utilizzo di unità speciali e armi mai viste prima. I report mostrano anche le strategie “manipolative” esercitate dalle autorità statunitensi, con l’obiettivo di ridurre la copertura mediatica della guerra e assicurarsi il supporto dei paesi alleati.
WikiLeaks ha documentato la guerra in Afghanistan mostrando, in particolare, gli aspetti sconosciuti del conflitto, tra cui l’utilizzo di unità speciali e armi mai viste prima
Sempre in relazione alla guerra in Afghanistan, nel 2011, WikiLeaks pubblica i Guantanamo Bay Files, 779 documenti riservati sui detenuti del carcere di Guantanamo, voluto George W. Bush nel 2002 per detenere i terroristi afghani. I documenti parlano di persone trasportate nel campo all’interno di gabbie e imprigionate senza un avvenuto processo. Attestano, inoltre, la presenza di 150 innocenti, in carcere perché considerati fonti utili alla raccolta di informazioni d’intelligence. I prigionieri venivano classificati sulla base della loro pericolosità (alta, media, bassa), definita in base ad alcuni “interrogatori avanzati”, accompagnati da tecniche di tortura. Negli anni, numerosi ufficiali statunitensi di Guantanamo hanno ammesso di avere torturato alcuni detenuti.
I documenti pubblicati da WikiLeaks hanno un impatto significativo sull’informazione. I diari di guerra offrono alla popolazione uno sguardo libero e diretto su ciò che avviene “sul campo”, senza l’intervento dei mass media. Questo porta, secondo WikiLeaks, a un radicale capovolgimento del sentimento della popolazione verso il conflitto: la gente passa dal chiedersi “come vincere la guerra” a “come fermare la guerra”. In altri casi, le pubblicazioni hanno giocato un ruolo importante nel guidare rivolte e agitazioni. Come avvenuto in Tunisia, dove i cable (così sono definiti i documenti diplomatici) riguardanti l’opulento stile di vita del presidente Ben Ali avrebbero esortato i manifestanti alla protesta. Nel 2007, WikiLeaks ha denunciato la corruzione del dittatore kenyota Daniel Arap-Moi, portando l’opposizione a vincere le elezioni e a costruire politiche più democratiche. Secondo lo stesso Assange, questo avrebbe cambiato le sorti delle elezioni keniote di quell’anno, causando la sconfitta dei politici menzionati nei documenti e la conseguente avanzata dell’opposizione.
I documenti pubblicati da WikiLeaks hanno un impatto significativo sull’informazione. I diari di guerra offrono alla popolazione uno sguardo libero e diretto su ciò che avviene “sul campo”, senza l’intervento dei mass media
Le pubblicazioni producono anche un effetto importante sulla politica e sulla diplomazia a livello internazionale. In particolare, nel 2010, WikiLeaks ha pubblicato quasi 250mila dispacci della diplomazia statunitense, causando un forte imbarazzo internazionale. Alcuni cable mostrano come gli Usa avessero avviato un’operazione di “raccolta di informazioni di intelligence” (tra cui numeri di carta, indirizzi e-mail, numeri di telefono, fax, cercapersone e dati biografici e biometrici) riguardanti i rappresentanti dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu e il segretario generale Ban Ki-Moon. Di conseguenza, sono stati sollevati interrogativi sull’affidabilità dei diplomatici statunitensi, rendendo le comunicazioni più delicate e prudenti.
Tra le obiezioni mosse a WikiLeaks, c’è quella di non essere un organo di informazione, bensì un’organizzazione di attivisti e hacker. Di conseguenza, le loro azioni non sarebbero protette dalle leggi che tutelano la libertà di stampa. Tuttavia, diversi giornalisti hanno spiegato che ottenere informazioni dai whistleblower rientrerebbe nell’ambito del giornalismo investigativo. Inoltre, i grandi media internazionali hanno spesso collaborato con WikiLeaks nella pubblicazione dei documenti.
Tra le obiezioni mosse a WikiLeaks, c’è quella di non essere un organo di informazione, bensì un’organizzazione di attivisti e hacker. Di conseguenza, le loro azioni non sarebbero protette dalle leggi che tutelano la libertà di stampa
Ad essere oggetto di critiche è soprattutto la figura di Assange. Nel corso degli anni, politici e personaggi pubblici lo hanno etichettato come terrorista hi-tech, considerando il suo lavoro una minaccia per la stabilità dei paesi. In particolare, secondo gli Usa, il Cablegate avrebbe minato l’attività diplomatica dello Stato. Dopo la pubblicazione degli Iraq War Logs, il Pentagono ha accusato Assange di avere “le mani sporche di sangue” di militari e civili iracheni. In realtà, successive indagini hanno provato come le informazioni relative agli individui citati nei documenti fossero state redatte e censurate. Di fatto, non è mai stata registrata nessuna vittima connessa alle pubblicazioni di WikiLeaks.
Nel 2010, Assange si reca in Svezia per tenere una conferenza. Qui, due donne lo accusano di averle costrette a rapporti sessuali non protetti. Inizia quindi un’indagine per stupro, molestie e coercizione illegale. In principio, la procuratrice chiude il caso di stupro, proseguendo con l’accusa di molestie e interrogando l’indagato. In seguito, Assange lascia la Svezia e si reca in Inghilterra. Il caso passa quindi nelle mani di un’altra procuratrice, che riapre l’indagine per stupro e richiede un interrogatorio. La difesa propone che le autorità si rechino a Londra, ma la Svezia insiste perché Assange si presenti personalmente. Viene attivato un mandato di arresto europeo tramite Interpol, nonostante non sia stata formulata nessuna accusa.
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Nel 2012 si tiene l’udienza per l’estradizione di Assange in Svezia. Temendo che a tale provvedimento possa fare seguito l’estradizione negli Usa, Assange decide di chiedere asilo politico nell’ambasciata ecuadoriana di Londra, dove rimane confinato nell’edificio, circondato dalle forze dell’ordine inglesi. Per sorvegliare il fondatore di WikiLeaks, i suoi avvocati e i giornalisti ospiti vengono installati microfoni e registratori per conto della Cia. Nel 2019, l’Ecuador revoca il permesso di asilo politico ad Assange e consente quindi alle forze dell’ordine di accedere all’interno dell’ambasciata, procedendo con l’arresto dell’attivista. Lo stesso anno, il caso svedese viene chiuso per mancanza di prove.
Oggi Assange si trova nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, noto come la “Guantanamo inglese”. Diversi medici ed esperti, tra cui il rapporteur dell’Onu sulla tortura, Nils Melzer, hanno dichiarato di avere riscontrato in lui segni di tortura psicologica e di grave deperimento fisico e mentale. Lo scorso 17 giugno, la segretaria per gli Affari interni inglese, Priti Patel, ha approvato la richiesta di estradizione negli Usa, dove Aassange rischia una condanna a 175 anni di carcere, sotto l’Espionage Act. La difesa si è appellata all’Alta Corte di giustizia inglese per revocare la decisione. Una risposta in merito è attesa nei prossimi giorni.
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In tutto il mondo, attivisti per i diritti umani e per la libertà di stampa chiedono la scarcerazione di Assange e la caduta delle accuse nei suoi confronti. Sono oltre 25 le associazioni (tra cui Amnesty International, IFJ, ACLU, Freedom of the Press Foundation, Reporters Without Borders e Human Rights Watch) che considerano l’estradizione di Assange una minaccia alla libertà di stampa e di espressione di giornalisti e informatori. Recentemente, anche l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha dichiarato che l’estradizione di Assange “potrebbe avere effetti agghiaccianti sul giornalismo investigativo e le attività degli informatori”.
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