Il Parlamento europeo ha approvato nell'aprile 2019 nuove norme per tutelare i whistleblower, ma l'Italia non ha ancora recepito la direttiva (Foto European Parliament/Flickr)
Il Parlamento europeo ha approvato nell'aprile 2019 nuove norme per tutelare i whistleblower, ma l'Italia non ha ancora recepito la direttiva (Foto European Parliament/Flickr)

Whistleblowing, l'Ue ha esteso le tutele al settore privato, ma l'Italia è in ritardo

Il 17 dicembre scade il termine per recepire la direttiva Ue che estende le tutele ai whistleblower anche nel settore privato. Ma il governo ha lasciato scadere la delega: "L'esecutivo non ha mai dato alcun segnale", denunciano Transparency International e The Good Lobby. Per Busia (Anac), il recepimento significherebbe "che in Italia la lotta alla corruzione è al primo posto nell'attenzione anche del governo e di tutte le istituzioni"

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15 dicembre 2021

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L’Italia è in ritardo e rischia di essere sanzionata dall’Europa. Entro il 17 dicembre dovrebbe recepire la direttiva europea 2019/1937 sul whistleblowing (cioè le segnalazioni di violazioni delle norme), ma tutto tace. E dire che si tratta di un testo importante, capace di ampliare l’applicazione di questo strumento contro la corruzione non solo agli enti pubblici, come già previsto dalle leggi italiane, ma anche al settore privato.

Non che sia mancata la possibilità di procedere in tal senso, anzi. Il Senato nell’aprile scorso aveva approvato la legge 53/2021 per delegare il governo a recepire alcune direttive europee. Quella legge, all’articolo 23, illustrava i principi e criteri direttivi per attuare quella sul whistleblowing e dava indicazioni per modificare la normativa italiana sulla tutela dei segnalanti, garantendo un “alto grado di protezione” ai whistleblowers.

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Gli allarmi inascoltati delle organizzazioni anticorruzione

“La delega al Governo per la trasposizione è scaduta – denunciavano a metà novembre Transparency International Italia e The Good Lobby –. E il Governo non ha mai dato alcun segnale né da parte della guardasigilli Marta Cartabia né da parte del presidente Mario Draghi”. Giorgio Fraschini, responsabile delle attività di whistleblowing per Transparency, spiegava che “è una direttiva semplice da trasporre, perché la legge italiana di riferimento è già abbastanza buona e più avanzata sotto diversi aspetti”. “Purtroppo è tutto fermo – constatava l’8 dicembre Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), che ha collaborato col ministero della Giustizia alla predisposizione di un testo per recepire la direttiva –. Non mi risulta che si sia avviato alcun iter per il recepimento. Potrà apparire una riforma minore, ma è un segnale importantissimo che in Italia la lotta alla corruzione è al primo posto nell'attenzione anche del governo e di tutte le istituzioni”.

Cosa prevede la direttiva Ue 2019/1937

La direttiva Ue 2019/1937, adottata due anni fa dal parlamento europeo e dal consiglio dell’Unione europea, interviene a tutto tondo sul tema della tutela dei soggetti segnalanti in un ampio numero di settori: per alcuni aspetti le leggi italiane sembrano già allineate con quelle volute da Bruxelles e soltanto alcuni aspetti devono essere modificati.

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Il settore privato pari a quello pubblico

Nel settore pubblico l’Italia già dal 2017 ha esteso l’applicazione delle norme in materia di segnalazione non solo agli enti pubblici o sotto il loro controllo, come ora richiede la direttiva, ma anche ai fornitori di beni e servizi dell’amministrazione pubblica.

La direttiva europea ora estende le tutele ai whistleblower anche del settore privato. Tutti i soggetti giuridici del settore privato con almeno 50 dipendenti dovranno istituire canali e procedure per le segnalazioni interne. Gli europarlamentari hanno voluto concedere una facilitazione per le aziende più piccole, quelle dai 50 ai 249 dipendenti, che potranno condividere strutture per la ricezione delle segnalazioni e per le eventuali indagini da svolgere. Gli stati avranno due anni di tempo per rendere operative le disposizioni relative ai loro canali interni. La direttiva introduce anche canali di segnalazione esterni: toccherà ai singoli stati stabilire quale autorità nazionale dovrà ricevere e dare riscontro e seguito (entro tre mesi) alle informazioni assunte.

Più soggetti da tutelare

Hanno diritto a essere tutelati non soltanto i dipendenti, ma anche i fornitori, i consulenti, tirocinanti che facciano le segnalazioni, i colleghi, i parenti e i rappresentanti sindacali che si fanno tramite della segnalazione

Se la normativa italiana è rimasta, in buona sostanza, ancorata alla figura del dipendente, la direttiva comunitaria estende la platea a molti altri soggetti: fornitori, consulenti, autonomi, contraenti e subappaltatori, azionisti, ma anche ex lavoratori o semplici candidati al posto di lavoro, oltre a volontari e tirocinanti, che entrino in possesso di determinate informazioni in ragione della loro attività. L’estensione riguarda, inoltre, anche i cosiddetti “facilitatori” e le persone connesse ai segnalanti come colleghi, parenti o rappresentanti sindacali che si fanno tramite della segnalazione.

L’obiettivo di Bruxelles è duplice. Innanzitutto vuole tutelare i lavoratori da possibili ripercussioni che potrebbero essere attuate dai rispettivi datori in conseguenza delle loro rivelazioni. Inoltre, allargando la platea dei soggetti protetti, vuole rendere il whistleblowing effettivamente operativo e far sì che sia un preciso interesse pubblico diffondere lo strumento della segnalazione. Per questa ragione nel preambolo della direttiva si fa esplicito riferimento all’attività della stampa e dei media: la funzione di vigilanza del giornalismo d’inchiesta nelle società democratiche passa, secondo Bruxelles, anche dalla tutela degli informatori, e ciò va di pari passo alla protezione che deve essere assicurata alle persone che rendono tali informazioni disponibili al pubblico (magari mediante piattaforme web e social media), ai mezzi di informazione, ai rappresentanti eletti, ai sindacati e alle organizzazioni della società civile le quali, specialmente quando prestano consulenza alle persone segnalanti, devono essere garantite da possibili ritorsioni.

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Le condizioni per accedere alla tutela

A tutt’oggi, in Italia, la protezione dei dipendenti pubblici segnalanti è legata alla rivelazione (nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione) di condotte illecite di cui il soggetto sia venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro. Nel settore privato, addirittura, è previsto che i canali interni si attivino in seguito a segnalazioni di condotte illecite che siano circostanziate e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti. La direttiva Ue modifica questo approccio anticipando le garanzie: i whistleblower, nel testo di Bruxelles, accedono alle tutele se, al momento della segnalazione, abbiano avuto fondati motivi di ritenere vere le informazioni divulgate. Queste possono riguardare sia illeciti, sia atti ed omissioni che vanificano l’oggetto o la finalità delle norme nei settori interessati. Sul piano temporale, contano sia le violazioni già avvenute sia quelle che verosimilmente potrebbero verificarsi, oltre ai tentativi di occultamento.

Il contenuto della tutela per i segnalanti

Infine, la normativa italiana dovrà apportare alcune modifiche anche agli strumenti di tutela offerti ai whistleblower. Al momento in Italia è vietato adottare misure discriminatorie sul luogo di lavoro (da semplici sanzioni al licenziamento, dal demansionamento al trasferimento, per esempio) ed è rovesciato sul datore di lavoro l’onere della prova. La direttiva Ue aggiunge misure di sostegno, come l’accesso a informazioni e consulenze, forme di assistenza da parte delle autorità e il patrocinio a spese dello Stato, e il divieto di ritorsione che copre anche aspetti come i danni alla reputazione e la mancata conversione di un contratto di lavoro a termine e si applica a tutta la platea dei segnalanti.

di Marco De Pasquale

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