
Don Italo Calabrò, pioniere dell'antimafia sociale

23 dicembre 2022
La scelta, vent'anni fa, di firmare la Convenzione a Palermo non fu casuale. Dopo la sanguinosa guerra tra i clan degli anni Ottanta e le stragi del 1992, il capoluogo siciliano stava faticosamente cercando di riabilitare la propria immagine, scrollandosi di dosso l’etichetta di capitale mondiale della mafia. Il 15 gennaio del 1993 i carabinieri avevano arrestato il capo dei capi Salvatore Riina e per larga parte dell’opinione pubblica quell’episodio segnò l’inizio della svolta, con lo Stato che finalmente passava al contrattacco costringendo la criminalità ad arretrare. A distanza di vent’anni, ora è evidente che la mafia aveva solo cambiato strategia, abbandonando tritolo e clamore e tornando, come in passato, a insinuarsi direttamente nelle stanze della politica. A riprova di ciò, le vicende giudiziarie che coinvolgeranno qualche anno dopo Salvatore “Totò” Cuffaro – tra il 1996 e il 2008 prima assessore e poi presidente della Regione Sicilia – condannato in via definitiva per favoreggiamento a Cosa nostra.
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Con i criptofonini, i clan della Locride gestivano il narcotraffico internazionale da San Luca, paese di tremila anime arroccato sull'Aspromonte jonico. Tramite il "denaro volante", sistema informale di trasferimento di valore gestito da cinesi, con contatti a Dubai, pagavano la droga ai cartelli sudamericani. Con il beneplacito dei paramilitari, tonnellate di cocaina partivano da Colombia, Brasile e Ecuador per poi raggiungere il vecchio continente grazie agli operatori portuali corrotti dei principali scali europei. L'ultimo numero de lavialibera offre la mappa aggiornata degli affari della 'ndrangheta, così per come l'hanno tracciata le ultime indagini europee, in particolare l'operazione Eureka