13 settembre 2023
“Ho vergogna del mio paese”. Moncef Marzouki non nasconde la sua emozione nel commentare le notizie che arrivano dalla Tunisia: pestaggi e retate contro i migranti, uomini, donne e bambini arrestati e poi abbandonati nel deserto vicino alla frontiera libica senza cibo né acqua. Medico e attivista per i diritti umani, è stato presidente della Repubblica tunisina dal 2011 al 2014, dopo la rivoluzione che ha portato alla caduta del dittatore Ben Ali. Ora Marzouki si trova a Parigi, costretto all’esilio per aver denunciato pubblicamente il colpo di stato istituzionale realizzato dall’attuale presidente Kais Saied due anni fa, quando ha liquidato governo e parlamento e riscritto la costituzione. Lo stesso Saied che l’Unione europea paga milioni di euro per fermare le partenze, e che la premier italiana Meloni ha invitato a co-presiedere la Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni svoltasi a Roma lo scorso luglio.
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Presidente Marzouki, cosa sta succedendo in Tunisia?
Il regime sta fallendo su tutti i fronti. Il paese è in bancarotta, per quanto il presidente Saied non voglia ammetterlo, l'economia è completamente bloccata e la crisi continua a peggiorare. Intanto, lo smantellamento dello stato di diritto istituito a fatica con la rivoluzione del 2011 sta avanzando. Dopo aver riscritto la costituzione e liquidato tutte le istituzioni indipendenti, Saied se la sta prendendo con la magistratura: i giudici che non gli piacciono sono stati rimossi oppure spostati altrove. Insomma, oggi la Tunisia è il “grande malato” del Maghreb.
Eppure, la premier italiana Meloni sembra puntare tutto sulla Tunisia: prima ha promosso l’accordo con l’Unione europea sui migranti, poi ha scelto proprio Saied per co-presiedere la Conferenza di Roma su sviluppo e migrazioni. Un controsenso?
“Meloni sta approfittando della debolezza economica e politica della Tunisia per farne la guardia di frontiera dell'Europa”
Niente affatto, anzi è una mossa del tutto logica: Meloni sta cercando di approfittare della debolezza economica e politica della Tunisia per farne la guardia di frontiera dell’Europa. Gli si dà soldi e mezzi perché faccia il “lavoro sporco” al posto dell’Italia. E Saied, per quanto in pubblico dica il contrario, non ha altra scelta se non quella di accettare questo ruolo, nella speranza che i soldi dell’Europa e la pressione italiana sul Fondo monetario internazionale salvino il paese dalla bancarotta.
Le organizzazioni internazionali denunciano livelli allarmanti di violenza verso i migranti subsahariani, che vengono arrestati durante veri e propri rastrellamenti e abbandonati nel deserto.
Quando sento notizie di questo tipo, ho vergogna del mio paese. D’altro canto, però, non mi stupisco: è tipico della destra populista, in Tunisia come in Italia e in qualsiasi altra parte del mondo, giocare con il razzismo e prendersela con gli stranieri per farsi pubblicità agli occhi degli elettori. Il problema è che non ci sono solo i subsahariani: migliaia di tunisini si stanno mettendo sui barconi, e le partenze continueranno ad aumentare nei prossimi mesi.
Nonostante l’accordo UE-Tunisia?
Quell’accordo non avrà alcuna efficacia. È figlio di un sistema di gestione delle migrazioni disfunzionale e disonesto, che non fa altro che generare violenza. Misure repressive di questo tipo non sono soltanto moralmente inaccettabili, ma anche politicamente miopi e sterili: finché non ci sarà stabilità e sviluppo economico, migliaia di persone continueranno a partire spinti dalla fame e dalla disperazione, qualsiasi siano gli ostacoli che poniamo sul loro cammino. Ma questo i politici occidentali faticano a capirlo, perché guardano solo al guadagno elettorale immediato, al massimo ai prossimi cinque anni, invece di ragionare sul lungo termine. E l’ipocrisia è doppia, perché mentre respingete i poveri accogliete a braccia aperte i nostri medici, infermieri e ingegneri. In altre parole, impoverite il nostro paese per poi lamentarvi delle conseguenze.
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Creare sviluppo per arginare le migrazioni: anche Meloni dice di voler seguire questo approccio. Su questo siete d’accordo?
No, c’è una differenza fondamentale. Io credo che la condizione perché questo approccio funzioni sia la stabilità politica, che può essere garantita sul lungo termine soltanto in un regime democratico. La Tunisia di oggi, invece, così come tanti altri paesi con cui l’Occidente fa accordi, è governata da un dittatore illegittimo, violento e incompetente, che potrebbe essere rovesciato in qualsiasi momento e che non è in grado di garantire sviluppo economico. Ogni euro investito nelle dittature è un euro buttato dalla finestra.
“Ogni euro investito nelle dittature è un euro buttato dalla finestra. Finché non c'é democrazia, le popolazioni locali non ne traggono alcun beneficio, perché quei soldi finiscono per alimentare la repressione e la corruzione”
A proposito di sviluppo, Meloni ha annunciato un “Piano Mattei per l’Africa” basato su un modello di cooperazione “non predatorio” e vantaggioso per tutti. Che ne pensa?
Sono chiacchiere. È una bella formula politicamente corretta per nascondere il vecchio approccio occidentale: tenere in piedi i dittatori per continuare a fare affari. Ma finché non c’è democrazia, le popolazioni locali non ne traggono alcun beneficio, perché gli investimenti finiscono per alimentare la repressione e la corruzione. Non è un caso che Saied abbia smantellato il sistema anticorruzione che avevamo messo in piedi dopo la rivoluzione del 2011.
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E come si riporta la democrazia in Tunisia?
Bisogna mandare a casa Saied e stabilire un governo di unità nazionale. Noi, come opposizione, lavoriamo perché questo avvenga con le elezioni dell’anno prossimo, se non prima, anche se il presidente sta facendo di tutto per assicurarsi già adesso la rielezione mettendo fuori gioco tutti i possibili avversari, me compreso. Solo allora potremo ristabilire la pace e la stabilità che permettono lo sviluppo economico.
Nel frattempo, come dovrebbero comportarsi Italia ed Europa?
L’occidente ha perso una grande occasione nel 2011, quando al posto di sostenere le rivoluzioni democratiche nel mondo arabo ha lasciato che venissero soffocate. È successo in Siria, Egitto, Libia, Yemen, e oggi la Tunisia, che fino a qualche anno fa era considerato l’unico esperimento riuscito di quel periodo, sta subendo la stessa sorte. Ora chiediamo che gli stati occidentali smettano di sostenere questi regimi dittatoriali politicamente ed economicamente e che permettano ai popoli di decidere del proprio destino. Solo dopo potremo iniziare a discutere di cooperazione e investimenti.
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