L'ultimo soccorso realizzato dalla Geo Barents (Foto di Medici senza frontiere)
L'ultimo soccorso realizzato dalla Geo Barents (Foto di Medici senza frontiere)

Mediterraneo. No, politiche di soccorso e Ong non incentivano i migranti a partire

Una nuova ricerca pubblicata su Scientific Reports di Nature smonta un argomento caro alla propaganda di destra: la correlazione tra i salvataggi in mare e l'aumento delle partenze. Intanto, nel Mediterraneo si continua a morire. Papa Francesco: "Non rimaniamo indifferenti"

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

Aggiornato il giorno 9 novembre 2023

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No, né le politiche di soccorso nel Mediterraneo né le attività delle Ong incentivano i migranti a partire. L’ultima dimostrazione arriva da una ricerca pubblicata sulla rivista Scientifict Reports del gruppo Nature. Un'analisi che esamina un decennio di politiche sulle migrazioni smontando uno degli argomenti più cari alla propaganda di destra, ma non solo, nei giorni in cui Onu, organizzazioni non governative e politici tornano a chiedere con forza un meccanismo di ricerca e soccorso nel Mediterraneo.

Richiesta che fa seguito alle ennesime stragi avvenute poco lontano dalle nostre coste, di cui è difficile anche fare una stima: tra i 150 e i 200 morti, dice Repubblica. Mentre le attività delle Ong sono rese sempre più faticose dal decreto approvato dal governo Meloni.

Porti di sbarco lontani, niente salvataggi multipli, né trasbordi: il governo Meloni sta rendendo sempre più difficili e costosi i soccorsi in mare

I soccorsi non incentivano le partenze, ma salvano vite

“Non troviamo elementi a supporto della tesi che le operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo costituiscano un motore dell’immigrazione irregolare”. Questa la conclusione dello studio firmato da Alejandra Rodríguez Sánchez (Università di Potsdam), Julian Wucherpfennig (Hertie School, Centre for international Security), Ramona Rischke (German Centre for integration and migration research) e Stefano Maria Iacus (Università di Harvard). Per arrivarci i ricercatori hanno elaborato un modello predittivo in grado di stimare le variazioni numeriche delle partenze da Tunisia e Libia, mettendo in relazione una serie di dati ufficiali: prezzi internazionali delle materie prime, livelli di disoccupazione, condizioni meteo-climatiche, conflitti, violenza e numero di operazioni di ricerca e salvataggio condotte dallo Stato, e dai privati. In particolare, nel mirino è finito l’arco temporale che va dal 2011 al 2020: un periodo segnato da cambiamenti chiave nelle politiche migratorie Ue.

“Non troviamo elementi a supporto della tesi che le operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo costituiscano un motore dell’immigrazione irregolare”

La prima fase, che va dall’ottobre del 2013 all’ottobre del 2014, è caratterizzata dall’operatività di Mare Nostrum, definita “la più grande operazione di ricerca e soccorso a carattere statale nella storia europea”. Il suo tramonto ha coinciso con una crescita delle organizzazioni non governative impegnate nell’area, protagoniste tra agosto 2014 e agosto 2017. Dal gennaio di quell’anno in avanti si entra in una nuova èra. Il cambiamento inizia con l’estensione della zona di ricerca e soccorso di competenza della cosiddetta guardia costiera libica e un suo maggiore coinvolgimento nei respingimenti.

I lager libici che l'Europa non vuole vedere 

Una fase che – scrivono gli autori dell’analisi – riflette uno spostamento del focus delle politiche Ue: la priorità si sposta dal salvataggio dei migranti in mare alla dissuasione della migrazione irregolare, tramite l’esternalizzazione delle frontiere. Parte integrante del nuovo approccio è la criminalizzazione delle Ong, che nel dibattito politico e mediatico vengono descritte come un “fattore di attrazione” per chi vuole lasciare il proprio Paese.

Gli accordi con la Libia: un deterrente, a scapito dei diritti umani

Ma il modello messo a punto dai ricercatori rivela altro. Si tratta di un modello contro-fattuale, cioè che mostra cosa succedderebbe al variare di certi fattori. Il verdetto? Se non fossero state messe in campo le operazioni di ricerca e soccorso, la portata del flusso di persone partite in quegli anni da Tunisia e Libia non sarebbe mutata. A cambiare sarebbe stato solo il numero di morti: l’assenza di salvataggi in mare coincide, infatti, con un tasso di mortalità più elevato. “Ricerche e soccorsi non sembrano essere un ulteriore fattore determinante per le migrazioni e, quindi, in media, non incentivano più partenze”, scrivono gli studiosi precisando che “può sembrare contro-intuitivo visto che la loro esistenza coincide con un minore tasso di mortalità e un più alto numero di arrivi”. In realtà, però, non lo è. Perché le navi di soccorso intercettano una domanda già esistente, senza esserne in alcun modo la causa.

Senza gli accordi con la Libia, le partenze sarebbero state molte di più. Ma l'inflessione ha coinciso con “un significativo deterioramento dei diritti umani dei migranti”

Stando al modello predittivo, quello che invece ha avuto un impatto significativo sulle partenze è stata la cooperazione tra l’Europa e la Libia. Le proiezioni suggeriscono che senza questa partnership, i tentativi di attraversamento del Mediterraneo sarebbero stati molti di più. Una inflessione che tuttavia ha coinciso con “un significativo deterioramento dei diritti umani dei migranti in Libia”, annotano gli studiosi. Per loro, quindi, “il bilancio è negativo”.

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La propaganda che sorregge la criminalizzazione delle Ong, a dispetto di ogni evidenza scientifica

Un risultato in linea con molti studi precedenti che hanno cercato di individuare le ragioni delle migrazioni, suggerendo una risposta socio-economica e ambientale. Mentre l’attività delle Ong, dati alla mano, è stata più volte scagionata dall’accusa di rappresentare un “fattore d’attrazione”. Analizzando le partenze dal 2014 al 2019, un’analisi del Migration Policy Centre dell’European University Study aveva già concluso che non c’è correlazione tra “le operazioni di ricerca e soccorso non governative e il numero dei migranti che lasciano la Libia via mare”. Stesso risultato raggiunto da Matteo Villa, ricercatore dell’Istituto di studi politici italiani (Ispi). Non solo. Le università di Pisa e Oxford hanno persino dimostrato che tra il 2013 e il 2015 il numero di migranti partiti dal Nord Africa tendeva a essere più alto quando le attività di salvataggio erano poche. Allo stesso tempo, i due atenei hanno confermato che la loro assenza coincideva con un più alto tasso di mortalità.

Giorgia Meloni ha parlato di una “naturale convergenza” tra le Ong e “gli interessi degli scafisti”, ma questo legame non è stato mai provato da alcuna magistratura

Una chiave di lettura che quest'ultima ricerca pubblicata su Scientific Reports rafforza e arricchisce: anche le politiche di salvataggio, come Mare Nostrum, non sembrano far aumentare le traversate. Evidenze scientifiche che in questi anni non hanno impedito a molti politici di portare avanti un certo tipo di propaganda, che oggi legittima alcune scelte di governo. Una lunga tradizione, non esclusivamente di destra. Basti pensare all’espressione “taxi del mare” coniata dall’allora leader del Movimento cinque stelle Luigi di Maio. Lo scorso novembre la premier Giorgia Meloni ha parlato di una “naturale convergenza” tra le Ong e “gli interessi degli scafisti”, anche se questo legame non è stato fino ad ora mai provato da alcuna magistratura. Anzi, a fronte delle decine di inchieste aperte ai loro danni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, solo una è arrivata in fase di udienza preliminare: il cosiddetto caso Iuventa, il cui processo è in corso al tribunale di Trapani. In uno dei rari casi della storia, il governo italiano nella figura di Meloni ha deciso di costituirsi parte civile.

Così la politica ha criminalizzato i soccorsi in mare

La criminalizzazione delle Ong si sostanzia anche nel cosiddetto decreto Cutro, così chiamato perché emanato dopo il naufragio di un barcone pieno di migranti sulle coste calabresi che ha causato le morte di almeno 94 persone. Un provvedimento che rende più difficili e costose le attività delle organizzazioni non governative. Non è il solo. Lavialibera ha denunciato come si sia ormai consolidata la prassi di assegnare alle loro imbarcazioni dei porti di sbarco molto lontani rispetto a dove effettuano i salvataggi.

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“Per anni i nostri approdi di riferimento sono stati Pozzallo, Augusta, Porto Empedocle o Catania. Adesso veniamo destinati ad Ancona, Salerno o La Spezia”, aveva spiegato Riccardo Gatti, responsabile delle operazioni di soccorso in mare di Medici senza frontiere (Msf). Anche tre giorni fa la nave di Msf, Geo Barents, è stata destinata a La Spezia, dopo aver salvato 49 persone nella zona di ricerca e soccorso maltese. Trentadue di loro sono minori non accompagnati e molti hanno raccontato di aver subito violenze sessuali. 

Le ultime tragedie nel Mediterraneo e gli appelli per una nuova Mare Nostrum

“Per anni i nostri approdi di riferimento sono stati Pozzallo, Augusta, Porto Empedocle o Catania. Adesso veniamo destinati ad Ancona, Salerno o La Spezia”Riccardo Gatti - Responsabile operazioni ricerca e soccorso nel Mediterraneo

Intanto, nel Mediterraneo si continua a morire. Quattro sopravvissuti a un naufragio, salvati dalla Guardia costiera, hanno detto di aver visto inabissarsi al largo di Lampedusa il barcone con cui erano partiti da Sfax, in Tunisia. A bordo, 41 persone, tra cui tre bambini. Ma potrebbero non essere state le uniche vittime. Il 4 agosto l’Ong Alarm Phone ha comunicato alle autorità italiane di essere in contatto con oltre 20 imbarcazioni in pericolo nel Mediterraneo centrale, lanciando l’allarme: “Il tempo sta peggiorando. Occorre avviare subito vaste operazioni Sar. Altrimenti non sopravviveranno alla notte”. Quanti siano riusciti a raggiungere le coste è difficile dirlo. Secondo Repubblica, potrebbero essere morte 150-200 persone.

Non esistono falsi profughi: il dossier de lavialibera sulle migrazioni

Tragedie che in queste ore hanno spinto le Nazioni unite a “ribadire la necessità di meccanismi coordinati di ricerca e soccorso", chiedendo agli Stati Ue di “aumentare le risorse e le capacità per far fronte efficacemente alle loro responsabilità”. Appello condiviso da molte organizzazioni umanitarie, come la Comunità di Sant'Egidio, che in una nota ha scritto: "Di fronte alla morte di 41 persone, tra cui 3 bambini, non ci si può limitare allo sdegno o al freddo aggiornamento delle cifre drammatiche delle vittime dei viaggi della disperazione nel Mediterraneo: occorre scuotersi dal torpore e investire risorse nel salvataggio della vita di chi è in pericolo (...). La Commissione europea se ne faccia ulteriormente carico con tutti gli strumenti, di cui dispone, per una urgente azione di salvataggio". 

D'accordo anche i vertici del Pd. “Per salvare i migranti serve una nuova Mare Nostrum europea”, è da tempo la posizione dell'attuale segretaria del partito, Elly Schlein. Sul naufragio avvenuto vicino alle coste siciliane è intervenuto anche Papa Francesco. "Ho appreso con dolore la notizia di un nuovo naufragio di migranti nel Mediterraneo. Non rimaniamo indifferenti davanti a queste tragedie e preghiamo per le vittime e i loro familiari", ha fatto sapere con un tweet.

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