6 novembre 2023
Qualche tempo fa sui social andava forte tra le madri un meme, uno di quelli con millemila condivisioni. Diceva: "Cosa vorresti che facesse tuo figlio da grande? Medico, avvocato, ingegnere?". La risposta: "Felice, vorrei semplicemente che fosse felice!".
Vengo da luoghi in cui la tristezza era culturalmente più approfondita, insomma, mi sento più ferrata sull’argomento. So diverse cose sulla tristezza, per esempio che è diversa dall’infelicità
Da dove arrivo io i genitori non erano soliti chiederci se fossimo felici, noi volevamo fare i calciatori, gli insegnanti, gli astronauti e non gli adulti contenti. Ho ricevuto un’educazione cattolica, non ricordo che i Vangeli parlassero di felicità, di beatitudine certo sì, ma Gesù non era felice o almeno così mi pare ancora oggi, era una figura davvero interessante, con infinite preoccupazioni e le idee chiare, ma felice non direi.
La felicità è il coraggio di rischiare. Leggi l'editoriale del numero
Vengo da luoghi in cui la tristezza era culturalmente più approfondita, insomma, mi sento più ferrata sull’argomento. So diverse cose sulla tristezza, per esempio che è diversa dall’infelicità, crea anticorpi per ricondurti alla guarigione, mentre l’infelicità è appiccicosa, endemica, a volte posturale. So che la tristezza ha una densità, una tangibilità, mentre la felicità è aleatoria, inconsistente. Però è vero che siccome la tristezza è tangibile si può attraversare, prenderla con le mani e buttare nell’umido.
Per assurdo so che Tristezza per favore vai via è una canzone che mi fa sorridere e mi mette di buon umore, mentre Felicità mi getta nello sconforto più abissale; pensare ad Al Bano con quel sorriso che gli mangia gli occhi come fessure mi fa pentire di essere nata. A parte gli scherzi, mi rendo conto che la felicità è una scoperta degli ultimi anni, un brand esportato dall’America che addirittura l’happiness la mette nella costituzione come diritto inalienabile.
Negli Stati Uniti è diventata una vera industria globale, se si considera che il solo business del coaching genera oltre due miliardi di dollari l’anno. Quel tipo di ricerca della felicità come obiettivo ammetto che mi spaventa, se la felicità è una scelta, mi dico, continuare a essere tristi è una colpa? Non credo. Se togliamo alla felicità lo status di scopo, la gravosa valenza di responsabilità morale, le sfumature progettuali, forse diventerà quello che è, ovvero un delizioso effetto collaterale del vivere, un’emozione che ti viene a stanare sotto il tavolo, il più dolce degli imprevisti. La felicità capita ogni tanto, non è un piano quinquennale, è un accadimento piuttosto raro, così raro che fatichiamo a riconoscerlo.
La felicità è fare di se stessi fiamma, scrive Fabio Anibaldi Cantelli
Abbastanza è una parola sottovalutata, evoca mediocrità, e invece no, è tempo di riportarla al suo significato originario, come sinonimo di “assai”
Siamo felici quando abbiamo consapevolezza dell’abbastanza. Abbastanza è una parola sottovalutata, evoca mediocrità, è un 61 alla maturità, un 99 all’università. E invece no, è tempo di riportarla al suo significato originario, a interpretarla come sinonimo di “assai”, parola gemella. Ad satis e a bastanza in antichità volevano dire la stessa cosa, solo che l’uso del primo si è allargato per eccesso a coprire il senso di “molto”, il secondo è sceso per difetto a coprire il senso di “sufficiente”. Per fare caso alla felicità conviene considerare abbastanza come un assai.
E quando abbastanza è assai? L’abbastanza è assai quando sei così di buonumore da non voler andare a dormire, per goderti il momento ancora qualche minuto, ma alla fine ti addormenti perché non ce la fai proprio più dalla stanchezza. Predico bene e razzolo male perché io non riconosco quasi mai il mio abbastanza e ho un rapporto ambivalente con la felicità. Nei periodi in cui le cose vanno bene continua a scorrere in me un fiume sotterraneo. La felicità è un’emozione, mentre quel fiume sotterraneo è un sentimento, una percezione della realtà dolorosa che non si secca mai del tutto, che non si assorbe.
Quando la tristezza arriva in superficie, per motivi contingenti, è la felicità a scorrere sotto, un desiderio di vita che non si tacita, di nuovo un sentimento, mentre la tristezza diventa emozione dominante e, per fortuna, passeggera. La mia natura compensa, è un ridere nel pianto, un piangere nel riso. Un ridere di quella che sono, un piangere per quello che non sarò mai. E viceversa. E tra l’altro non sono diventata né medico, né avvocato, né ingegnere. Ma un adulto a tratti contento per mia fortuna sì.
Da lavialibera n° 23, Cosa è la felicità?
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