6 novembre 2023
Nelle ore in cui scrivo questo editoriale di presentazione all’edizione speciale de lavialibera dedicata alla felicità, sono trascorsi 30 giorni dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas. Circa 1400 israeliani sono stati trucidati durante l’invasione del 7 ottobre e più di 200 sono stati presi in ostaggio. Da allora è iniziato il massacro dei civili palestinesi, con l’esclusione di 2,2 milioni di persone da cibo, acqua, medicine, elettricità e carburante. Al 5 novembre, secondo il ministero della Sanità di Gaza, ne sono state uccise 9500, di cui 3900 bambini. "Quando è troppo è troppo. Tutto questo deve finire ora" hanno scritto i vertici delle 18 principali agenzie delle Nazioni unite. La dichiarazione congiunta, evento raro per gli ambienti paludati dell’organizzazione, segue le dimissioni dello scorso 28 ottobre del direttore dell’ufficio dell’Alto commissariato per i diritti umani di New York, Craig Mokhiber, che ha lasciato l’incarico denunciando il fallimento dell’ufficio di fronte all’ennesimo genocidio. Non posso che partire da qui, dal senso di impotenza e dal gesto isolato di Mokhiber, per spiegare il senso delle pagine che seguono.
Quando abbiamo ideato questo numero della rivista pensavamo di riflettere collettivamente sul senso profondo delle cose che ci pareva di avere prima afferrato, e immediatamente dopo tradito, con l’emergenza covid. L’intenzione era provare a capire quanto malcontento, calcolo e individualismo ci stiano travolgendo, spingendo verso consolazioni immediate per la paura di fallire su ambizioni più ampie e radicali. La strage in corso a Gaza ha alzato ulteriormente l’asticella.
In questi giorni le parole del direttore Mokhiber, pur nella loro amarezza, hanno acceso una luce sull’abisso. Sono il tentativo estremo di fare, nonostante tutto. "Il fallimento delle Nazioni unite in Palestina finora non è un motivo per ritirarci. Piuttosto dovrebbe darci il coraggio di abbandonare il paradigma fallimentare del passato per abbracciare pienamente un corso più orientato ai principi – scrive il funzionario –. Lascerò definitivamente l’ufficio in pochi giorni, dopo più di tre decenni di servizio. Ma per favore non esitate a cercarmi se posso essere d’aiuto in futuro".
La felicità è fare di se stessi fiamma, scrive Fabio Anibaldi Cantelli
Può sembrare un paradosso, non lo è. Quella lettera di dimissioni contiene l’essenza della felicità evocata in gran parte degli interventi raccolti in questo numero. Una ricerca incessante di senso, che nasce dall’inquietudine e si manifesta come tensione continua a non lasciarsi vivere. Il desiderio di un rapporto armonico con il mondo, costruito nella consapevolezza dei propri limiti e delle difficoltà, ma che non rinuncia all’impegno, alla responsabilità e a riconoscere la felicità quando l’incontra. Insomma il contrario della chiusura intimista, della resa o dell’indifferenza. Un compito non facile, cui anche Papa Francesco ha dedicato un recente manifesto. "Non confondere la felicità con un divano. Rischia – ha esortato il pontefice –. Ti chiedo di ribellarti. Abbi il coraggio di essere felice".
Da lavialibera n° 23, Cosa è la felicità?
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