Senato, informativa del Presidente del Consiglio sugli esiti del Consiglio europeo. Foto F.Attili/Palazzo Chigi/LaPresse
Senato, informativa del Presidente del Consiglio sugli esiti del Consiglio europeo. Foto F.Attili/Palazzo Chigi/LaPresse

La prevenzione debole

Ottenuto il Recovery Fund, chi controllerà come saranno usati quei fondi se la politica si affida ai supercommissari, l'Anac è in ginocchio e la società civile distratta?

Leonardo Ferrante

Leonardo FerranteReferente Anticorruzione civica Gruppo Abele e Libera

22 luglio 2020

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Chi lavora nel campo delle strategie di prevenzione della corruzione, sa che esse si riducono prettamente a tre: trasparenza, trasparenza, trasparenza.

Quale trasparenza sul Recovery Fund?

Prima strategia: trasparenza intesa come “rendere conto” di ogni voce di spesa effettuata per l’interesse collettivo, di ogni decisione pubblica e forma di organizzazione. Esistono virtuosi esempi di accountability pubblica, ma nello scenario politico e nel dibattito tra decisori, al netto di richiami per lo più evocativi alla legalità, finora non si è sentito alcun riferimento all‘intenzione di rendere trasparenti le risorse messe a disposizione nel post Covid-19, fossero anche quelle comunitarie. 

Basterebbe prendere esempi luminosi, uno su tutti il portale Opencoesione – che riporta ogni dato aggiornato sui fondi comunitari destinati a questo tipo di politiche – e scegliere di avanzare in quella direzione. Lo Stato, le competenze le avrebbe per applicare quei modelli al Recovery Fund: è una questione di scelte. Persino i confronti attorno alla digitalizzazione della Pubblica amministrazione non danno priorità alla questione della prevenzione del malaffare, nonostante i molti appelli di magistratura, società civile, esperti del campo. Se si parla di lotta al fenomeno, spuntano idee quanto più annesse a “supercommissari”, a generici “fidatevi di noi”, a strategie di semplificazione che vogliono eliminare controlli formali senza prevedere controlli sostanziali e di risultato. Sicuramente esisteranno valide riflessioni in cantiere, ma non sono dominanti in un momento storico in cui dovrebbero esserlo.

Lo smantellamento dell'Anac

Seconda strategia: trasparenza intesa come capacità di monitoraggio istituzionale a opera di un’Authority predisposta, che ha il compito di vigilare su tutti allo scopo di fare prevenzione. In tutto il mondo esistono realtà come in Italia è l’Autorità Nazionale AntiCorruzione. Ebbene, oggi, proprio quando ne abbiamo più bisogno, l’Anac è debolissima. Debole perché, fin dall’inizio, costretta a integrarsi con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture senza poter scegliere il suo stesso personale. Debole perché in mandato scaduto e prorogato per i suoi commissari (perdendo anche un pezzo, Michele Corradino, che via facebook ha espresso il suo rientro in Consiglio di Stato).

Senza un presidente di nomina da un anno ossia da quando Raffaele Cantone ha dato le dimissioni nel luglio 2019. Ciò che è più preoccupante, senza un’idea di cosa accadrà nel futuro, quasi a figurarsi come vittima sacrificale di un accordo di governo che resta incerto sui temi della lotta al fenomeno corruttivo, come è stato per la riforma della prescrizione. Debole perché la normativa che l’ha istituita, la legge 190 del 2012 sulla prevenzione della corruzione, è considerata l’ultima ruota del carro nella lotta al fenomeno, in assenza di qualunque forza politica che ne evidenzi viceversa la centralità. Si considera migliore la narrativa dello “spazzare via i corrotti”, come fosse un problema di decoro urbano, si concentrano gli sforzi solo sul lato del contrasto e si lascia al palo un impianto di prevenzione ancora in forma embrionale, desideroso di netti miglioramenti ma non certo di riduzioni. Oggi, gli echi di una “Anac che non funziona” non si trasformano in un impegno per farla girare al meglio, come occorrerebbe: c’è da credere che spesso le accuse siano strumentali, finalizzate ad ampliare il margine di discrezionalità delle decisioni pubbliche all’interno del quale corrotti e corruttori sono abilissimi a muoversi.

Il passaggio tra “questo modello di prevenzione è da implementare” a “il modello della prevenzione non serve” è stato reso drammaticamente breve nel dibattito politico. In uno scenario del genere, l’ottimo Report annuale 2019 di Anac è parso più un togliersi dei sassolini dalle scarpe da parte di chi ha ricoperto il ruolo in Autorità, piuttosto che uno strumento in grado di indicare alla politica il da farsi.

Società civile (dis)organizzata

Terza strategia: trasparenza intesa come capacità della società civile di esercitare un controllo diffuso dal basso verso la gestione dei beni comuni. Se la cosa collettiva è trasparente, ciascuno di noi può monitorarla: iniziative istituzionali mirate a generare tale cultura, come lo è l’Open Government, inclusa quella in salsa italiana posta in capo al Ministero della Funzione pubblica, nascono con la finalità di far incontrare società civile e istituzioni al fine di riflettere su questi (e altri) temi. 

Ebbene, dal lockdown a ora in Italia non c’è stata una sola convocazione del Forum finalizzata ad affrontare insieme questa fase storica. Le associazioni provano a offrirsi spazi a vicenda, di visibilità e pensiero collettivo, si contattano tra di loro ma spesso condividendo un senso di fatica. Però occorre dirselo, senza viverla come una critica distruttiva o come una forma di giudizio: anche noi, società civile generalmente intesa, siamo deboli. Resi tali dalla continua ricerca di progettazioni per sopravvivere, a volte dall’incapacità anche interna di valorizzare idee e prospettive originali o di valorizzare nuove forme di attivismo generazionale come quelle del Fridays for future. Resi deboli dal credere che separando si moltiplica. A volte resi deboli dall’innamoramento a concetti più che a cause. Forse anche la società civile organizzata italiana non sta riuscendo a farsi trovare davvero pronta al momento, incapace di considerare le proprie storie meno importanti della Storia. 

Dirselo non significa mettere un macigno sulle proprie stesse spalle, né significa abbandonarsi a un nostalgico e autocommiserativo amarcord di altri tempi. Soprattutto, non vuole tradursi in ulteriore disimpegno e ritiro nel privato. 

Serve solo come sprono, come atto d’amore utile ad ardere di più insieme, davvero consci del tempo che stiamo vivendo. Adesso occorre tutta la determinazione del caso, mettendo insieme le migliori forze, civiche e istituzionali, per porre una questione politica necessaria all’attenzione nazionale. Siamo a un bivio: o sapremo evolvere verso una democrazia monitorante, che metta al centro la vigilanza istituzionale e civica su chi decide, spende, amministra per tutti, o rischiamo di andare verso una non-democrazia opaca, in grado di favorire il dirottamento delle risorse verso interessi illegittimi ad opera di corrotti, corruttori e clan criminali. Facendo attenzione al fatto che la via dell’inferno può essere anche quella lastricata da buone intenzioni.

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