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Fame chimica, nuove droghe e vecchie politiche
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12 febbraio 2025
Questo articolo sulla lobby dei pfas è stato scritto in collaborazione con Lieselot Bisschop ed Emilie Rosso
“Il presidente, Kimura Naoyuki, desidera informarsi sulle polizze assicurative stipulate da Miteni per garantire la società da possibili rischi di richieste di risarcimento danni da parte di dipendenti, causati dalla tossicità delle ns materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti, tossicità che potrebbe essere accertata in epoca successiva alla stipula delle polizze”.
Con questa email spedita da un account Miteni a un dipendente della società broker AON, nel 2003 la dirigenza della società che produceva pfas chiedeva consigli su come affrontare possibili rischi di cause sanitarie portate avanti dai propri operai. Erano state le analisi del sangue dei dipendenti dell’azienda a mostrare livelli oltre il limite di pfoa e l’industria voleva trovare un modo per tutelarsi, chiedendo pareri ad assicurazioni.
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A fine 2001 gli operai Miteni iniziano a ricevere referti di analisi del sangue diversi dal solito. Pochi mesi prima, il medico interno di Miteni Giovanni Costa aveva deciso di ricercare per la prima volta in vent’anni, il pfoa, capostipite della vasta famiglia dei pfas, nel sangue degli operai nella fabbrica dove si produceva quel composto.
La scelta era stata dettata dagli assidui confronti intercorsi con i tossicologi delle altre sorelle produttrici (DuPont, 3M, Ausimont, Daikin, Clariant, ICI Asahi, Dyneon, Arkema) durante i quali erano emersi alti valori di pfoa nel sangue degli operai di una delle fabbriche: la 3M.
Costa invia i primi campioni a un laboratorio di 3M a Denver (Colorado), poi decide di spedire gli altri in un laboratorio a Brema, in Germania. In questo carico inserisce anche le provette delle analisi degli operati Ausimont, un polo chimico italiano dove si producono pfas. La soglia da non superare per non rischiare di ammalarsi è fissata a cinque microgrammi per litro. A fine 2000, sia i campioni di Miteni che di Ausimont superano i limiti. Visti i risultati, Costa avverte la dirigenza Miteni.
Ad agosto 2003, il dirigente Fabio Esposito e il presidente Kimura incontrano due tecnici di Aon per chiedere dell'esistenza di un’eventuale copertura assicurativa. Di questa riunione lavialibera viene a conoscenza grazie ad un riassunto spedito via mail da Esposito a un altro dirigente di Miteni, Carlo Maria Gloria, nell’agosto 2003.
Durante l’incontro Miteni-Aon si decide di contattare la società Generali, che dalla fine degli anni Novanta assicurava Miteni contro i danni ambientali, per una polizza che avrebbe preso in carico le conseguenze delle possibili malattie insorte dopo una lunga esposizione. Tra il 1996 e il 1998, una richiesta analoga era stata fatta da Mitsubishi alla Tokio Marine insurance. In quel caso, la polizza per rischi sanitari era stata negata visto che l’assicurazione considerava “alto il rischio associato all’industria chimica, in termini di responsabilità civile, operai e ambiente”. (doc1) Dai documenti di cui lavialibera è venuta in possesso non risulta l’accensione di una ulteriore assicurazione da parte di Generali a tutela della salute dei lavoratori di Miteni.
Nonostante i livelli di pfoa fossero sopra il limite considerato sicuro per la salute, già dai primi anni 2000 la società Miteni incrementa la produzione del composto, attraverso un accordo nel 2001 con l’azienda DuPont e chiede, in una nota spedita dal direttore commerciale Guglielmo di Pierro, un aiuto per migliorare la polimerizzazione del pfoa (ossia la creazione di molecole composte da molte parti uguali in sequenza, ndr) per la produzione del suo Teflon.
La collaborazione economica tra Miteni e Dupont è minata quasi da subito da un secondo rischio, oltre a quello sanitario emerso nel 2003: quello per l’ambiente. L’agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti (EPA) ad aprile 2003 aveva chiesto a DuPont i dati della quantità di pfoa contenuta nei fiumi vicini ai suoi poli di produzione. Un campanello d’allarme che risuona alle orecchie della dirigenza giapponese di Miteni: a luglio 2004, il presidente Kimura richiede un parere legale al suo consulente di fiducia, lo studio Zambelli Luzzati Meregalli di Milano.
Come si legge in alcune mail consultate da lavialibera, il dirigente giapponese si rivolge all’avvocato Paolo Zambelli per sapere se Miteni sia obbligata a rispondere alla richiesta di informazioni diramata da EPA verso le produttrici di pfoa.
Zambelli, che oltre a essere consulente di Mitsubishi è anche procuratore dell'azienda Miteni tra il 2002 e il 2009, risponde (doc 2): “nessuno è vincolato dall'avviso a fornire informazioni, ma allo stesso tempo nessuno riceverà richieste speciali di informazioni da EPA. (...) se Mitsubishi non è a conoscenza di alcun rischio legato al PFOA che non sia stato dichiarato o spiegato nell'avviso, la vostra società non ha alcun obbligo, al momento, di prendere alcuna iniziativa in materia”.
Alla domanda del pubblico ministero Paolo Fietta se ricordasse di aver avuto richieste di pareri in relazioni alla problematica dei Pfas, l’avvocato risponde “Pfas cosa vuol dire? Io so che Miteni era un’industria chimica, però la produzione esattamente non la conoscevo”
All’Epa, quindi, non vengono inviati i documenti. Lo stesso Zambelli è chiamato a testimoniare al processo Miteni, a febbraio 2024, ma gli vengono chieste solo informazioni societarie in quanto procuratore. Alla domanda del pubblico ministero Paolo Fietta se ricordasse di aver avuto richieste di pareri in relazioni alla problematica dei Pfas, l’avvocato, andato in pensione nel 2019 e che non ha risposto alla richiesta d’intervista, risponde “Pfas cosa vuol dire? Io so che Miteni era un’industria chimica, però la produzione esattamente non la conoscevo”.
Mentre Miteni riceve solleciti internazionali e richiede pareri legali, nel 2002 l’azienda sorella italiana Ausimont viene comprata, attraverso una joint venture finanziaria composta dalle società Agorà e Longside International, dalla multinazionale Solvay. Con l’acquisto degli impianti – sei siti industriali italiani e altri all’estero – la società belga ottiene il diritto di utilizzare i brevetti di Ausimont e assorbe all’interno dell’azienda le figure dirigenziali.
Tra queste passano dalla gestione italiana a quella belga Giuseppe Malinverno, di cui lavialibera ha già raccontato nel primo capitolo di questa lunga storia di lobby, Ilaria Colombo ed Enrico Marchese. Queste ultime due figure – responsabile sicurezza e ambiente la prima, chimico il secondo – hanno un ruolo centrale nella produzione di composti pfas di Solvay Solexis, nuovo nome di Ausimont una volta acquisita da Solvay.
Ilaria Colombo ha il compito di spiegare il comportamento del pfoa negli esseri viventi e studiarne il bioaccumulo, ossia il processo con cui le sostanze tossiche si accumulano all’interno dell’organismo. Il motivo è importante: se il pfoa hanno questa caratteristica, potrebbero essere inclusi tra le sostanze da mettere al bando a livello europeo perché pericolose per la salute.
Così Colombo partecipa alle riunioni del gruppo europeo Apfo ad hoc toxicology working group voluto dall’associazione di categoria, l’Associazione europea dei produttori di materie plastiche (Apme) già a inizio anni 2000 e affianca Giuseppe Malinverno nell’approfondimento degli effetti sanitari causati dall’esposizione ai pfas. Contattata per un’intervista spiega che questo gruppo ha come scopo quello di “contribuire ad aumentare la conoscenza in un dialogo costruttivo basato su prove scientifiche, supportando i regolatori nei loro sforzi per comprendere meglio il PFOA”.
È il 2005 quando vengono pubblicati alcuni studi statunitensi condotti da Epa e il primo report sui pfas: da quel momento, il pfoa sono riconosciuti come tossici e la stessa agenzia per la protezione ambientale sancisce che i composti si accumulano nell’organismo
Dalla consultazione dei documenti ricevuti come Forever Lobbying Project spicca una mail di metà 2005 di Colombo inviata al direttore di stabilimento di Spinetta Marengo, Giorgio Canti, e al medico Paolo Bonetti, in cui si allegano gli studi di DuPont presentati all’EPA che dimostrano gli effetti negativi del pfoa.
È il 2005 quando vengono pubblicati alcuni studi statunitensi condotti da Epa e il primo report sui pfas: da quel momento, il pfoa sono riconosciuti come tossici e la stessa agenzia per la protezione ambientale sancisce che i composti si accumulano nell’organismo. In un meeting del 2006, Colombo presenta i dati raccolti sui pesci, in cui si conferma il bioaccumulo.
È in questo momento che entra in scena Enrico Marchese, che non ha risposto alle domande de lavialibera. Chimico laureato al politecnico di Torino, viene assunto come ricercatore a metà degli anni Ottanta nel centro di ricerca di Ausimont a Bollate, vicino a Milano. Insieme a Marco Apostolo, attuale direttore del sito di Bollate e da poco anche gestore del polo di Spinetta Marengo insieme a Federico Frosini, pubblica e brevetta composti fin dagli anni Novanta.
Marchese utilizza il pfoa comprato da Miteni e cerca sostituti per quando la sua produzione mondiale dovrà smettere, vista la sua pericolosità per salute e ambiente. Assume un ruolo decisionale come responsabile tecnico di Solvay a una riunione presso lo stabilimento Miteni di Trissino a maggio 2008. Il meeting serve per discutere la produzione pilota del nuovo prodotto che rimpiazzerà il pfoa: il cC6O4.
In questa occasione emergono diversi punti critici per la produzione dei pfas, come la difficoltà di ottenere il prodotto finale (chiamato PTFE) con questo nuovo sostituto e il rischio di una catalogazione presso il registro europeo delle sostanze chimiche (Reach) per la carcinogenicità del pfoa.
Ma c’è un altro punto del meeting che racconta in maniera più approfondita il rapporto tra Miteni e Solvay: il prodotto Triton. Già da gennaio 2005 Solvay Solexis aveva iniziato a spedire a Trissino un composto particolare: resine a scambio ionico che servivano durante la produzione in cui si utilizza il pfoa.
Solvay chiede di estrarre il pfoa rimasto nelle resine così da poterlo riutilizzare per produzioni successive.
Una estrazione, difficile ma essenziale, per non perdere troppo prodotto. Nel 2005 arrivano 60 tonnellate di queste resine sporche, che gli operai specializzati Miteni devono ripulire con acqua e rispedire una volta trattate nuovamente a Spinetta Marengo. Ma questa operazione genera residui di pfoa che rimangono in acqua e già nel 2006 Miteni spedisce camion cisterna a un terziario indicato da Solvay, che deve smaltire il contenuto. La società ricevente all’epoca si chiamava So.Ri.S: tra il 2006 e il 2008, come si legge dai documenti consultati, riceve mensilmente oltre 20mila litri di acqua da scaricare.
Non essendoci autorizzazione ambientale dedicata agli scarichi reflui contenenti pfoa, lo scarico può avvenire anche nei torrenti e nei fiumi. La normativa piemontese per evitare questa pratica è implementata solo nel 2021.
Ricostruendo i vari passaggi societari di So.Ri.S lavialibera è arrivata alla Nuova Solmine, industria chimica toscana che ha un impianto di gestione rifiuti a Serravalle Scrivia, a pochi metri dal torrente Scrivia dove sono stati riscontrati alti valori di pfoa nell’acqua.
Ilaria Colombo opera ancora per Syensqo, la nuova Solvay. Nel 2025 è la responsabile dello “Studio statistico-epidemiologico su eventuali effetti precoci da potenziale esposizione a tensioattivi fluorurati (PFOA, ADV e cC6O4)”, un progetto di ricerca finanziato dalla multinazionale al Policlinico di Milano.
Enrico Marchese, dopo il 2008 è stato responsabile della produzione di diversi pfas comprati da Miteni, tenendo le fila del lavoro con un altro dirigente, Brian McGlynn, già inserito in Ausimont e poi in MIteni, attualmente a processo davanti alla Corte di Assise di Vicenza.
L’inchiesta cross-border Forever Lobbying Project è stata coordinata da Le Monde e ha coinvolto oltre 46 giornalisti e 29 media partners provenienti da 16 paesi: Rtbf (Belgio); Denik Referendum (Repubblica Ceca); Investigative Reporting Denmark (Danimarca); Yle (Finlandia); Le Monde e France Télévisions (Francia); Mit Technology Review Germany, Ndr, Wdr e Süddeutsche Zeitung, (Germania); Reporters United (Grecia); L'Espresso, Radar Magazine, Il Bo Live, Facta.eu e Lavialibera (Italy); Investico, De Groene Amsterdammer e Financieele Dagblad (Paesi Bassi); Klassekampen (Norvegia); Oštro (Slovenia); Datadista/elDiario.es (Spagna); Sveriges Radio e Dagens Etc (Svezia); Srf (Svizzera); The Black Sea (Turchia); Watershed Investigations / The Guardian (Regno Unito), con una partnership editoriale con Arena for Journalism in Europe, e in collaborazione con l’Osservatorio no profit sulle lobby Corporate Europe Observatory.
L’inchiesta è basata su oltre 14,000 documenti fin qui mai pubblicati sui pfas; le sostanze chimiche persistenti, detti perciò anche forever chemicals. Il lavoro ha incluso la sottomissione di 184 richieste di accesso agli atti (Foia), 66 dei quali sono state condivise con il nostro progetto dal Corporate europe observatory.
L’inchiesta ha sviluppato ulteriormente l’esperimento di giornalismo ‘expert-reviewed’ (rivisto e verificato da esperti) inaugurato nel 2023 con il Forever Pollution Project attraverso la costituzione di un gruppo di esperti composto da 18 esperti accademici internazionali e avvocati.
Il progetto è stato supportato finanziariamente dal Pulitzer Center, la Broad Reach Foundation, Journalismfund Europe, e IJ4EU. Il sito di riferimento del progetto internazionale è: https://foreverpollution.eu.
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Politica all'attacco della magistratura. Il governo italiano, come quello di altri paesi occidentali, mostra insofferenza verso alcuni limiti imposti dallo stato di diritto delegittimando giudici e poteri di controllo
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