Messina, 21 marzo 2016. Nino Morana e Vincenzo Agostino marciano durante la Giornata dell'impegno e della memoria per le vittime innocenti delle mafie
Messina, 21 marzo 2016. Nino Morana e Vincenzo Agostino marciano durante la Giornata dell'impegno e della memoria per le vittime innocenti delle mafie

21 marzo, ancora in marcia per i miei zii vittime di mafia

Questa Giornata della memoria e dell'impegno sarà diversa: la prima senza i miei nonni, la prima dopo la sentenza della Cassazione che ha annullato la condanna per l'omicidio dei miei zii, Nino Agostino e Ida Castelluccio. A Trapani rinnoviamo una lotta collettiva

Nino Morana Agostino

Nino Morana AgostinoStudente e attivista

20 marzo 2025

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Il 21 marzo, a Trapani, celebreremo la trentesima Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Quest’anno dal palco leggeremo 1.101 nomi, 1.101 vite stroncate brutalmente dalla violenza mafiosa. Tra queste ci sono i miei zii Nino Agostino e Ida Castelluccio

Nei miei 23 anni di vita ho vissuto molti 21 marzo. Il primo ricordo che ho risale al 2006, a Torino, quando avevo 4 anni. Negli archivi fotografici di Libera si può trovare una foto di mia madre, Flora, che mi trasporta nel passeggino. Da allora, la mia famiglia non mi ha mai fatto perdere una sola Giornata della memoria. Sono cresciuto marciando accanto ai familiari, non ho rinunciato nemmeno durante la pandemia, nel 2021, quando sono stato l’unico familiare palermitano a partire per Roma, in rappresentanza della mia famiglia e dei familiari siciliani. Ricordo che stringevo le mani ai miei nonni Vincenzo e Augusta, e attorno al collo portavo una foto più grande di me che ritraeva i miei zii. Attorno a noi c’era sempre un cordone di scout, quasi sempre miei coetanei, che ci accompagnavano durante la marcia, come se ci stessero abbracciando. Dietro di noi, migliaia di persone, ragazzi e ragazze, meno giovani, compagni di scuola, amici, tutti uniti in un coro di urla, canti e gioia di solidarietà che mi hanno sempre dato un enorme orgoglio per la famiglia in cui sono nato, per la storia che porto nel sangue e per il nome che mi è stato dato il giorno della mia nascita, che per pura casualità coincide con la data in cui sono stati uccisi i miei zii: il 5 agosto.

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Ma il ricordo più bello resta sempre l’essere accanto ai miei nonni, accompagnarli passo dopo passo, vederli stringere innumerevoli mani e fare altrettante interviste, ma sempre con quella dignità, umiltà e nobiltà d’animo che li caratterizzava. Alla fine della marcia, ci fermavamo sotto il palco, rigorosamente in prima fila, e, come se fossero in costante apnea, sentivo i miei nonni affannarsi fino a quando non sentivano leggere il nome del loro figlio. Poi vedevo questa coppia di genitori, insieme da sessant’anni, stringersi le mani e far tornare privato quel dolore che ormai era diventato pubblico e di tutti.

Vedevo i miei nonni consumarsi da quel desiderio di verità e giustizia che questo Stato non gli ha mai dato, ma quel il fuoco di speranza ardeva sempre

Crescendo, e lo faccio tutt’ora, mi chiedevo sempre come facessero questi due genitori a essere sopravvissuti a un dolore così grande e lancinante quale è la morte di un figlio, soprattutto se ucciso in modo così vigliacco insieme alla moglie incinta. Mi chiedo come riuscissero a mantenere viva la speranza e aggrapparsi ad essa per sopravvivere a un dolore così disumano. Come ogni nipote che ama i propri nonni, anno dopo anno vedevo i miei invecchiare: la barba di mio nonno, da argentea, diventava bianca, mia nonna diventava sempre più minuta. Li vedevo consumarsi da quel desiderio di verità e giustizia che questo Stato di diritto non gli ha mai dato, ma vedevo che non cessava mai quel fuoco di speranza che ardeva dentro di loro.

Questo non sarà un 21 marzo come gli altri. Per la prima volta, marcerò senza entrambi i miei nonni in vita. Già l’anno scorso, a Roma, nonno Vincenzo non era in grado di affrontare un viaggio così pesante fisicamente ed emotivamente, ma non sapevamo che le sue condizioni si stavano aggravando. Quando sono intervenuto in suo nome durante l’assemblea dei familiari, parlavo con la stessa speranza che avevano mantenuto pazientemente i miei nonni per più di trent’anni. Il boss Nino Madonia era stato condannato in primo grado il 19 marzo 2021 e in secondo grado il 5 ottobre 2023, mentre per Gaetano Scotto stava per concludersi quel lunghissimo processo. Una parte di giustizia l’avevamo ottenuta. Avevo concluso il mio intervento promettendo che il 21 marzo 2025 avremmo visto tutti mio nonno senza la barba e i capelli lunghi che per 35 anni lo avevano reso il monumento vivente dell’antimafia, onorando la promessa di radersi soltanto quando avesse ottenuto verità e giustizia. Non potevo sapere che, un mese dopo, il 21 aprile, avrei visto mio nonno ricongiungersi con sua moglie e suo figlio, e che avrei dovuto seppellirlo con quella barba che odiavo, che nascondeva il volto dell’uomo che mi aveva cresciuto, che mi aveva fatto da padre, e che la mafia e i pezzi deviati di questo Stato non mi hanno mai permesso di conoscere.

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Non potevo neanche sapere che, il 30 gennaio 2025, la prima sezione penale della Suprema corte di Cassazione avrebbe annullato con rinvio il processo in appello di Madonia per l’omicidio di mio zio Nino, e annullato senza rinvio quello per mia zia Ida, prescrivendo così il reato. Uno degli ultimi momenti di gioia vissuti con mio nonno è stato cancellato con poche parole fredde, quasi disumane, come se Nino e Ida fossero soltanto dei nomi scritti su un foglio di carta, come se non avessero vissuto, come se non si fossero amati, come se non avessero appena creato una famiglia.

Questo 21 marzo marcerò per le strade di Trapani, le stesse strade dove mio zio indagava su Gladio e “naschiava” latitanti, ripercorrerò i suoi passi nello stesso “verminaio” in cui si era infilato

Questo 21 marzo marcerò per le strade di Trapani, le stesse strade dove mio zio indagava su Gladio, dove “naschiava” (in siciliano significa cercare) latitanti, ripercorrerò i suoi passi nello stesso “verminaio” in cui si era infilato. Nino era un poliziotto coraggioso, un uomo dai valori morali alti, che sapeva di star andando incontro alla sua morte, ma ha continuato a lottare solo per fare in modo che in questa bellissima isola, che tanto amava, si potesse oggi parlare di mafia. Oggi, anche grazie a lui, tutti noi possiamo affrontarla. Il 21 marzo porterò la sua foto e camminerò insieme a lui per le stesse strade che hanno portato al suo sacrificio. Quest’anno marcerò con un peso maggiore sulle spalle, con un’eredità che mi sono autoimposto, con la consapevolezza che tocca a me chiedere giustizia per i miei zii, che tocca a me urlare contro quella terribile prescrizione dell’omicidio di una ragazza di 19 anni, incinta. 

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Dall’età adolescenziale, ogni 21 marzo mi interrogavo insieme ad altri “familiari di seconda generazione”, che come me hanno vissuto un lutto ancor prima di nascere. Ci chiedevamo come portare il peso di storie che non sono propriamente nostre, ma che abbiamo vissuto indirettamente attraverso il dolore dei nostri genitori, zii e nonni. Ancora oggi me lo chiedo, non so esattamente cosa fare, come farlo, come mantenere viva l’incredibile lotta trentennale dei miei nonni, come mantenere viva e attiva la memoria dei miei zii. È un peso troppo grande a 23 anni, ma riesco a sopportarlo grazie alla stessa comunità che i miei nonni hanno costruito in tutti questi anni. Nella vasta rete di Libera, in tutta Italia ci sono persone che, insieme a me, chiedono verità e giustizia per Nino, per Ida e per la creatura che portava in grembo. A Trapani sarò insieme a loro, consolidando quella che è ormai una lotta collettiva, una memoria condivisa. Marceremo fino a quando non avremo quelle verità che ancora ci mancano, quelle che la maggior parte dei familiari non ha. Questi delitti impuniti macchiano il nostro Paese e la nostra democrazia con il sangue dei nostri caduti. Solo quando avremo delle reali verità potremo definirci uno Stato di diritto, uno Stato in cui finalmente potremo essere Liberi.

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