Milano, 21 marzo 2023. Alcuni familiari di vittime innocenti della mafia sfilano per le vie del centro nella giornata dedicata al ricordo dei loro cari (Foto di Marco Donatiello)
Milano, 21 marzo 2023. Alcuni familiari di vittime innocenti della mafia sfilano per le vie del centro nella giornata dedicata al ricordo dei loro cari (Foto di Marco Donatiello)

21 marzo, dare dignità ai parenti delle vittime. Quello che lo Stato non sempre fa

La Giornata della memoria in ricordo delle vittime di mafia, organizzata a Roma, ripropone il dibattito sui criteri stabiliti dal ministero dell'Interno per riconoscere lo status di vittima. Intanto, nel suo elenco Libera ha inserito 12 nomi nuovi, tra cui quello di Berta Caceres, l'attivista ambientale uccisa in Honduras

Marco Panzarella

Marco PanzarellaRedattore lavialibera

11 marzo 2024

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“Chi ha perduto i propri cari per mano mafiosa prova una sofferenza profonda e il mancato riconoscimento dello status di vittima da parte dello Stato acuisce questo dolore. È ora che i criteri per l'attribuzione dello status vengano rivisti, anche al fine di riconoscere dignità a chi non c’è più, contribuendo ad alleviare le pene di chi ha subito quel lutto”. Così Daniela Marcone, responsabile dell’area Memoria di Libera e figlia di Franco Marcone, direttore dell’Ufficio del registro di Foggia ucciso il 31 marzo 1995.

21 marzo, la giornata per le vittime di mafia torna a Roma

L’ennesimo appello rivolto allo Stato arriva a pochi giorni dal 21 marzo, la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia, quest’anno organizzata a Roma. “Molti familiari – spiega Marcone – ci hanno contattato negli anni chiedendoci di inserire i nomi dei loro cari nell’elenco di Libera che, lo ricordo, non coincide con lo status di vittima riconosciuto dallo Stato. Quest’ultimo, che prevede misure di sostegno alle vittime, viene attribuito sulla base di criteri estremamente rigidi che non si conciliano con quelli che dovrebbero essere veri e propri diritti delle vittime. Tra questi criteri vi è il limite temporale del 1 gennaio 1961 (alle vittime uccise prima di quella data non viene riconosciuto lo status) o la valutazione fino al quarto grado di parentela della estraneità con soggetti che hanno commesso determinati crimini, ignorando la singola casistica e determinando gravi ingiustizie, a nostro parere”.

Lia Pipitone, una targa non basta

Per spiegare l’assurdità della “regola” sul grado di parentela, Marcone cita il caso di Rosalia “Lia” Pipitone, uccisa a 24 anni il 23 settembre 1983 a Palermo perché aveva osato ribellarsi alla mafia e alla sua famiglia criminale. Il padre di Lia, infatti, è Antonino “Nino” Pipitone, boss del quartiere Acquasanta e uomo di fiducia dell'allora boss di Cosa nostraTotò Riina.

Mafie senza pietà: bambini vittime delle faide

Proprio qualche giorno fa Palermo ha dedicato una targa alla memoria di Lia che, come disse qualche anno fa dinanzi al pm Francesco Del Bene il pentito Francesco Di Carlo “era nata per la libertà ed è morta per la sua libertà”. Nonostante le sentenze dei tribunali dimostrino che Lia sia morta per essersi ribellata alla sua storia familiare, lo Stato continua a non considerarla meritevole del riconoscimento perché suo padre era un boss. Lo stesso padre che, stando alle dichiarazioni dei pentiti, avrebbe avallato l’omicidio di una ragazzaritenuta "troppo moderna".

Nonostante le sentenze dei tribunali dimostrino che Lia sia morta per essersi ribellata alla sua storia familiare, lo Stato continua a non considerarla meritevole del riconoscimento perché suo padre era un boss

Il figlio di Lia si chiama Alessio e quando la madre è stata uccisa aveva 4 anni. Lui continua a chiedere invano giustizia, ma dal ministero dell’Interno nessuno risponde. D’altronde la regola del grado di parentela non si presta a interpretazione, proprio per questo va cambiata. “Nella storia di Lia e in tante altre – dice Marcone – si crea un cortocircuito istituzionale. Un pezzo di Stato, la magistratura, ha fatto il suo corso accertando la dinamica dei fatti e una verità giudiziaria fuori discussione. Poi però l’altra mano dello Stato non riconosce il pronunciamento dei giudici. Un caos che annulla la memoria, in fondo i parenti delle vittime vorrebbero che almeno nel ricordo i loro cari continuassero a vivere”.

Le mafie che ammazzano i figli

Libera, 12 nomi nuovi

In attesa che lo Stato riveda le sue regole, l'elenco delle vittime innocenti delle mafie curato da Libera continua a includere nomi nuovi. Quest'anno sono 12, a cui se ne aggiungono altri che verranno letti sul palco allestito al Circo Massimo. Dodici storie segnalate da molti cittadini e cittadine, che di fatto hanno salvato dall'oblio episodi ormai dimenticati.

Rita Atria, 30 anni dalla morte della "picciridda"

Come nel caso di Salvatore Di Stefano, un vaccaro di 18 anni ucciso il 21 luglio 1898 a Torretta, in provincia di Palermo, perché testimone oculare di un omicidio di mafia. C'è poi la storia di Liborio Ansalone, comandante dei vigili urbani di Corleone, assassinato da un sicario del capomafia Michele Navarra per avere partecipato, vent'anni prima, alla retata ordinata dal prefetto Cesare Mori per scovare le abitazioni dei mafiosi di Corleone. 

Libera e l'elenco delle vittime di mafie, una scelta complicata

Mario Scuderi è, invece, una delle 108 persone che morirono il 23 dicembre 1978 nella strage aerea di Punta Raisi, l'aeroporto di Palermo costruito tra mare e montagna grazie all'"interesse" del boss di Cinisi Gaetano Badalamenti. Il tassista Gioacchino Rubino fu ucciso il 9 aprile del 1979 a San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo, perché chi ordinò il delitto ipotizzava fosse a conoscenze di informazioni "riservate" carpite proprio durante il suo lavoro.

I familiari delle vittime di mafia al Parlamento: "Diritti, non benefici"

Non si volle piegare al racket Giuseppe Napolitano, assassinato a 52 anni, il 22 febbraio del 1991, a Messina, davanti al suo negozio di giocattoli. Quellio stesso anno identica sorte toccò a Giuseppe Leone, agricoltore e orchestrale di 63 anni, ucciso a Surbo, in provincia di Lecce, perché testimone di un delitto di mafia.

Pio La Torre, un vero scassaminchia

Intricata la vicenda che costò la vita al giovane Giuseppe Torre, torturato e bruciato quando forse era ancora vivo ad appena 18 anni a Misterbianco, nel Catanese. I sicari lo sequestrarono e gli chiesero informazioni sul covo di Gaetano Nicotra, all’epoca latitante, rivale mafioso che aveva una relazione con la madre di Giuseppe, che però da tempo viveva con i nonni e non sapeva nulla. 

Giuseppe Torre fu torturato e bruciato a 18 anni a Misterbianco (Ct) perché sua madre aveva una relazione con Gaetano Nicotra, all’epoca latitante. I sicari volevano sapere dal ragazzo dove si trovasse il mafioso

Rosario "Saro" Adamo, proprietario di una gioielleria a Rosolini, in provincia di Siracusa, fu ammazzato il 7 novembre 1994 da quattro giovani appartenenti ad un clan mafioso, durante un tentativo di rapina. Giulio Giaccio, 26 anni, di Pianura, in provincia di Napoli, fu rapito e ucciso il 30 luglio 2000 da un gruppo di camorristi, scambiato per un altro uomo che aveva una relazione con la sorella dei due killer.

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Giuseppe Femia fu ucciso il 9 febbraio 2004 a Cittanova, in provincia di Reggio Calabria, perché suocero del collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese. Francesco Pio Maimone. 18 anni, morì a causa di un colpo di pistola vagante il 20 marzo 2023 a Mergellina, sul Lungomare di Napoli. 

Berta Caceres, l'attivista uccisa in Honduras

Il nome internazionale che completa gli inserimenti del 2024 è quello di Berta Caceres, attivista per i diritti umani e ambientali uccisa a Tegucigalpa, in Honduras, il 3 marzo 2016. Caceres, fra le altre cose, aveva denunciato la costruzione della diga di Agua Zarca sul Rio Gualcarque, un luogo considerato sacro dal popolo indigeno Lenca, di cui la donna era diventata leader.

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Che la sua vita fosse in pericolo era noto, tant’è che nel 2009 la Commissione interamericana dei diritti umani l’aveva inclusa nella lista di persone a rischio. Ciò che inquieta di questa storia di passione e sangue, per la quale nel 2019 sono stati condannati gli assassini materiali, sono le tante ombre sull'operato dello Stato. La stessa attivista aveva dichiarato pubblicamente di far parte di una lista nera di 18 nomi da “eliminare” nella mani dell’esercito honduregno. Una piccola consolazione per chi continua a chiedere giustizia è arrivata nel giugno 2022, quando è stato condannato Roberto David Castillo, ex capo della società di dighe idroelettriche Desarrollos Energéticos, reo di avere ordinato e pianificato l’omicidio. La sensazione, però, è che altri rappresentanti dello Stato l’abbiano fatta franca.

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