26 luglio 2022
“Rita Atria vedeva oltre”. Lo scrive Luigi Ciotti in un intervento pubblicato oggi, 26 luglio 2022, da La Stampa e gli altri quotidiani locali del gruppo Gedi, a trent’anni dal suicidio della 17enne testimone di giustizia che aveva affidato le sue confidenze a Paolo Borsellino, divenuto per lei una figura di riferimento, quasi un secondo e nuovo padre.
"Rita Atria vedeva oltre i condizionamenti culturali del contesto nel quale era cresciuta. Oltre la paura che l'avvolgeva da quando quel contesto aveva deciso di lasciare, consapevole dei rischi"Luigi Ciotti
Nata in una famiglia mafiosa di Partanna (Trapani) il 4 settembre 1974, Rita Atria perse il padre Vito, affiliato a Cosa nostra ucciso da un gruppo rivale. Alla morte del genitore, la giovane si strinse di più al fratello Nicola e alla cognata Piera Aiello. Nel giugno 1991, Nicola Atria – che secondo le cronache si era intestardito a cercare gli assassini del padre – fu ucciso dalla mafia e a quel punto sua moglie Piera Aiello decise di cominciare a collaborare con la giustizia. Rita, soltanto diciassettenne, nel novembre 1991 fece lo stesso passo sulle orme della cognata confidandosi ai magistrati della procura di Marsala, guidati da Borsellino. Le deposizioni delle due donne testimoni di giustizia (e quelle di Rosalba Triolo, amante del killer di Nicola Atria) permisero di fare luce sulla mafia del Belice e alcuni omicidi, di arrestare diversi mafiosi e di avviare un'indagine sul deputato della Democrazia cristiana Vincenzino Culicchia, per trent'anni sindaco di Partanna.
Secondo Ciotti, Rita Atria – cresciuta in una famiglia mafiosa – vedeva “oltre i condizionamenti culturali del contesto nel quale era cresciuta. Oltre la paura che l'avvolgeva da quando quel contesto aveva deciso di lasciare, consapevole dei rischi. Oltre le analisi stupefatte dei giornali, parole arrabbiate ma impotenti di fronte all'ennesima strage di mafia”, quella di via D’Amelio in cui sono stati uccisi Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Per la giovane, che si era affidata ai magistrati di Marsala (oltre a Borsellino, Alessandra Camassa e Morena Plazzi), l’attentato fu un duro colpo.
Stragi di mafia, trent'anni di depistaggi, pigrizia e collusioni
Borsellino “seppe accogliere e indirizzare le emozioni della ‘picciridda’, come era solito chiamarla, le sue aspirazioni di giustizia, di integrità, di libertà da un destino già scritto. Lei gli si legò come a un secondo padre. E per questo non resse al dolore della sua scomparsa: “Sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta”, aveva scritto la giovane sul suo diario. Una settimana dopo l'attentato di via D'Amelio, il 26 luglio 1992, Rita, che da pochi giorni viveva sotto protezione a Roma, si butta dal balcone dell'appartamento dove si era appena trasferita: "In quell'attimo le fu impossibile vedere oltre - oltre il buio e la disperazione - la possibilità di un futuro felice”. “La diciassettenne Rita fu la settima vittima della strage, anche se raramente leggiamo il suo nome associato a quello del magistrato e degli agenti di scorta”, prosegue il fondatore di Libera.
Neanche dopo il suicidio, Rita Atria ebbe pace: il parroco dovette chiedere alla Curia una deroga perché non erano permessi i funerali dei suicidi, il paese non partecipò al corteo, “la tomba venne più volte vandalizzata – ricorda Ciotti –. E sua madre, una persona annientata dai lutti e schiacciata sotto il peso di codici mafiosi più forti persino degli affetti, rifiutò qualsiasi parola di pietà verso la figlia”, al punto di danneggiare la lapide al cimitero pochi mesi dopo la sepoltura.
Leggi il numero speciale sui trent'anni dalle stragi di mafia del 1992
Atria sognava “un altro mondo, fatto di cose semplici ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di quella persona o perché hai pagato per farti fare quel favore”
“Da questa storia disperata, oggi incredibilmente germoglia speranza”, prosegue Ciotti citando, ad esempio, la cooperativa Rita Atria che oggi “coltiva le terre confiscate ai boss proprio nel suo territorio di nascita”, ma anche il progetto Liberi di scegliere per permettere ai giovani e alle giovani nati in contesti mafiosi di poter avere un’alternativa di vita, “percorsi protetti, opportunità di studio e volontariato, esperienze professionali, ma soprattutto ascolto, sostegno, relazione: quello che a Rita offrì Paolo, e che ciascuno di loro ha bisogno”.
"Liberi di scegliere, un modo diverso di fare antimafia"
Un modo “per vedere cosa c'è ‘oltre’”, prosegue Ciotti per citare poi le parole scritta da Rita Atria sul suo diario: “Un altro mondo, fatto di cose semplici ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di quella persona o perché hai pagato per farti fare quel favore”. Comportamenti mafiosi che esistono anche oltre l’appartenenza a un gruppo criminale, ma “affini e funzionali” a quel mondo: “Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici; la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci”.
“Non è morta Rita, Rita vive e noi siamo qui per abbracciarla", ha detto la mattina del 26 luglio, in viale Amelia, Luigi Ciotti nel corso della commemorazione organizzata da Libera. "Non dobbiamo solo fare celebrazioni. Ne abbiamo viste tante questi giorni in cui si parla del 95 per cento del passato. Noi a Rita vogliamo dire cosa è il presente oggi. Quando Rita è andata dai magistrati è andata a protestare contro quei giornali che scrivevano che suo padre e suo fratello erano mafiosi, era andata a protestare contro i magistrati che dicevano quelle cose. Ma lì ha trovato due giovani magistrate e poi Paolo Borsellino che hanno saputo accogliere quel grido e l’hanno aiutata a capire. E lì ha trovato questa forza dirompente di essere una testimone di giustizia". Per questo Ciotti ha ricordato che se oggi se c’è un progetto che si chiama Liberi di scegliere “lo si deve anche al suo coraggio”.
“Ricordare questa figura significa ricordare come sono andare le cose nel nostro Paese – ha detto il presidente della Camera Roberto Fico –. Ricorda questa vittima dà un valore aggiunto maggiore alla lotta alla mafia e alla comprensione di quello che accade ed è accaduto”.
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