Aggiornato il giorno 24 maggio 2024
Chi negli ultimi anni ha partecipato, per la prima volta, alle manifestazioni nazionali in memoria delle vittime innocenti di mafia, non poteva non notarlo. Vincenzo Agostino si poteva individuare facilmente: alto, occhi azzurri e con una lunga barba bianca, lunga quanto la sua ricerca di verità sull’omicidio del figlio, l'agente di polizia Nino Agostino, e della nuora incinta, Ida Castelluccio, uccisi da Cosa nostra il 5 agosto 1989 a Carini (Palermo): a quel punto l'uomo aveva deciso che non l’avrebbe mai rasata fino a quando non avrebbe trovato verità e giustizia. Insieme alla moglie Augusta Schiera, scomparsa nel febbraio 2019, Vincenzo Agostino era diventato un rappresentante di tutti quei familiari di vittime delle mafie impegnati in una dignitosa battaglia per ottenere giustizia e verità. Non c'era nell'ultima manifestazione, quella del 21 marzo scorso a Roma, fermato dal male che l'ha portato via domenica 21 aprile, all'età di 87 anni.
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“Era un riferimento importante per tutti i familiari di vittime delle mafie per la sua compostezza e la sua rivoluzione gentile – spiega Daniela Marcone, dell’ufficio di presidenza di Libera e responsabile del settore Vittime –. Determinato, mai fuori posto, nonostante la rabbia. Se ne va un pezzo importante della nostra rete”.
“Nostro compagno di percorso, guida preziosa e unica per tutte e tutti coloro che sono in cammino per conoscere la verità su una grave ingiustizia subita – lo ricorda Libera –. Come lui e la sua amata moglie Augusta, le sue figlie e figlio, che hanno vissuto un dolore insopportabile per la perdita del figlio Nino e della nuora Ida. Eppure, Vincenzo ha trovato la forza e il coraggio di costruire un percorso di memoria e impegno verso l’obiettivo della verità , una vera e propria rivoluzione gentile che ha segnato le tappe per tante e tanti". Vincenzo Agostino, insieme alla moglie, hanno sempre portato la loro testimonianza dove necessario. Alcuni lo ricordano intervenire nelle scuole e nei campi estivi in Sicilia, a incontrare giovani arrivati da tutta Italia a cui raccontava la storia del figlio e della nuora.
“Si può fare finalmente luce sulle morti?”, chiese agli investigatori dopo l'arresto di Matteo Messina Denaro
Una delle ultime uscite pubbliche di Vincenzo Agostino è stata la mattina del 19 ottobre scorso al Senato, in occasione della proiezione del documentario Io lo so chi siete, dedicato alla trentennale battaglia della sua famiglia. “È entrato al Senato con tutti gli onori, sono venuti anche il capo della Polizia Vittorio Pisani e il direttore generale della Rai, a cui abbiamo chiesto di trasmettere il documentario sulla tv di Stato”, dice la senatrice Pd Enza Rando, a lungo in Libera. Il film di Alessandro Colizzi e Silvia Cossu, prodotto da Film Daedalus e Moviheart, andrà in onda su Raitre venerdì 24 maggio alle 21.20 insieme a una puntata speciale di Presadiretta dedicata a Vincenzo Agostino.
All’incontro a Palazzo Madama avevano assistito molti senatori, la presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo e molti studenti di Roma e di Modena. “Vincenzo non ha mai abbassato la testa – prosegue la senatrice –, ha sempre ribadito che suo figlio Nino era un bravo ragazzo che indossava la divisa con onore. Ha fatto di tutto per avere giustizia”. Insieme a lui, in quell'occasione solenne, c'era anche il nipote Nino Morana, figlio di Flora e nipote dell'agente ucciso (di cui porta lo stesso nome), un giovane che sin da bambino a seguito i nonni e la madre nelle manifestazioni antimafia: "La nostra lotta non si fermerà oggi, continuerò a lottare per te", ha scritto in un post su Facebook.
Con discrezione, Agostino era andato a seguire la conferenza stampa dell’arresto di Matteo Messina Denaro, intervenendo con una domanda rivolta al procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia, e ai carabinieri: “Si può fare finalmente luce sulle morti?”. D'altronde sugli omicidi del 5 agosto 1989 non è ancora stata fatta piena luce, ragione per cui Agostino ha continuato a portare la lunga barba bianca.
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A ottobre la corte d'assise d'appello di Palermo ha confermato la condanna all'ergastolo del boss Antonino Madonia, accusato dell’omicidio dell'agente di polizia Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio. Madonia viene ritenuto un mafioso in contatto con i servizi segreti. Altri due imputati, il boss dell’Arenella Gaetano Scotto, accusato di omicidio, e di Francesco Paolo Rizzuto, un amico della vittima imputato di favoreggiamento, sono i protagonisti nel processo che si svolge con rito ordinario e sta arrivando alle fasi finali. I procedimenti sono cominciati molto tardi. Per anni le indagini non hanno portato a nulla.
Alla fine del 2016 la Procura di Palermo ritenendo di non avere abbastanza elementi per sostenere l'accusa: "L'attività di indagine svolta in esecuzione dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari– scrivevano i pm Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene nella richiesta di archiviazione – non ha consentito di acquisire quegli auspicati riscontri individualizzanti in termini di certezza probatoria sufficiente a esercitare proficuamente l'azione penale". Dopo l'opposizione della famiglia, la procura generale (guidata da Roberto Scarpinato) aveva preso in mano il fascicolo arrivando a conclusioni differenti, che hanno portato ai processi in corso.
Nino Agostino era un agente di polizia della Squadra volanti (le pattuglie impegnate nel pronto intervento) del commissariato San Lorenzo, ma collaborava con i servizi segreti alle indagini per la cattura dei grandi latitanti di mafia. Insieme a Emanuele Piazza, anche lui assassinato, Giovanni Aiello, detto “Faccia di mostro”, morto d'infarto pochi anni fa, Guido Paolilli, agente di polizia e ad altri componenti allora di vertice dei Servizi di sicurezza, avrebbe fatto parte di una struttura di intelligence che teneva rapporti con alcuni esponenti di Cosa nostra per arrivare alla cattura di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Rapporti che, secondo alcuni, erano opachi. Opache, però, sono state anche le prime indagini sull’omicidio. Paolilli, ad esempio, è stato condannato in sede civile a risarcire la famiglia dopo il proscioglimento dall’accusa di depistaggio (avrebbe sottratto dalla casa di Agostino dei documenti poi distrutti) avvenuta per la prescrizione del reato.
Nella sentenza di primo grado contro il boss Madonia, il giudice per l'udienza preliminare Alfredo Montalto ha scritto che il movente degli omicidi è "collegato alla ricerca dei latitanti a cui Agostino si dedicava" e che la cosca dei Madonia aveva rapporti "con esponenti importanti delle forze dell'ordine soprattutto collegati ai servizi di sicurezza dello Stato". Il gup ha citato in maniera esplicita le relazioni di alcuni soggetti appartenenti alle forze dell'ordine e la cosca, come Bruno Contrada (ex numero due del Sisde, già condannato per concorso in associazione mafiosa) e l'agente segreto Giovanni Aiello, nel frattempo deceduto. I Madonia dunque avrebbero deciso di eliminare il poliziotto "che pericolosamente si aggirava nel territorio dagli stessi controllato e teatro di incontri particolarmente riservati".
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