Margherita Asta (Foto Tita Raffetti)
Margherita Asta (Foto Tita Raffetti)

Strage di Pizzolungo, Margherita Asta: "Dobbiamo impegnarci per tutte le vittime e i sopravvissuti"

Il boss Vincenzo Galatolo condannato a 30 anni per la strage di Pizzolungo: la mafia voleva uccidere il giudice Carlo Palermo, ma morirono una madre coi due figli. Margherita, scampata all'attentato, racconta la sua esperienza

Rino Giacalone

Rino GiacaloneGiornalista e direttore di Alqamah.it

Aggiornato il giorno 14 giugno 2023

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Aggiornamento: Il 14 giugno 2023 la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 30 anni di carcere per Vincenzo Galatolo, processato (con rito abbreviato) per la strage di Pizzolungo (Trapani), avvenuta il 2 aprile 1985 contro l'allora pm trapanese Carlo Palermo, rimasto illeso. Per l'attentato morirono Barbara Rizzo, di 33 anni, e i suoi gemellini di 6 anni, Salvatore e Giuseppe Asta. In precedenza per la stessa strage sono stati condannati il boss di Corleone Totò Riina, il capo mafia di Trapani Vincenzo Virga e ancora Balduccio Di Maggio e Nino Madonia.

Barbara Rizzo Asta coi figli
Barbara Rizzo Asta coi figli

Era il 2 Aprile 1985. Un'auto imbottita di tritolo, ferma su una curva della strada che collega la costa di Pizzolungo con Trapani, di buon mattina, all’ora in cui si comincia ad andare al lavoro, viene fatta esplodere da un commando di assassini che usa un telecomando. Il gruppo è rimasto per un paio di ore appostato sulla terrazza di una casa, da lì attende che all’incirca verso le 8 da quella curva escano due auto, una blindata, una Fiat Argenta, e un semplice Fiat Ritmo, dove a bordo ci sono rispettivamente un magistrato della Procura, Carlo Palermo, e gli agenti della sua scorta. Per strada c'è anche un'altra auto, una Volkswagen Scirocco: a guidarla è una donna, Barbara Rizzo, sta accompagnando a scuola i suoi due figli, i gemellini di 6 anni, Salvatore e Giuseppe Asta. Il pulsante viene schiacciato lo stesso. Il botto è tremendo. Viene avvertito in città, trema ogni cosa, si pensa a un terremoto e invece è un attentato. Restano feriti il pm Palermo e gli agenti che lo scortavano, Raffaele Di Mercurio, Totò La Porta, Nino Ruggirello, l'autista della blindata Rosario Maggio. La scena che si presenta innanzi è fatta di auto e lamiere contorte, un profondo cratere sulla strada, mura e recinzioni divelte, tanto fumo, villette sfondate. C’è una macchia di sangue stampata sul punto più alto di una villetta. Subito qualcuno dice: "Siamo come in Libano con le bombe che sfondano i palazzi e lasciano macerie”. Sarebbe più facile dire che Pizzolungo si sovrappone a via Pipitone Federico nel giorno dell’attentato contro il capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo Rocco Chinnici. Era il 29 luglio 1983. Anche lì un’autobomba. Il primo che si accorge che sulla strada di Pizzolungo manca qualcosa è lo stesso magistrato scampato all’agguato. Racconta: “Scendo dall’auto mi guardo intorno, aiuto l’autista e i poliziotti a terra, gravemente feriti e però mi guardo attorno e ricordo come in un lampo un’altra auto che Maggio, il mio autista, stava lasciando alla sua destra mentre la sorpassava. In quel momento un lampo accecante, un rumore così forte. È esploso il motore della nostra auto? No, era l’attentato”. In quella scena da guerra non c’è l’auto di Barbara Rizzo, sparita, si troverà un pezzo di albero motore, un volante piegato. Cancellate per sempre le tre persone a bordo: di Barbara, Salvatore e Giuseppe non si troverà nulla. Il botto li ha inghiottiti e dilaniati.

Le mafie ammazzano i figli, la memoria salva dall'oblio

Sono trascorsi 35 anni da quella strage e le indagini, i processi, hanno attraversato tutti questi 35 anni. Trattandosi di un attentato a un magistrato di Trapani, per competenza il coordinamento e il giudizio spettano alla Procura e al Tribunale di Caltanissetta. Gli autori della strage, i componenti del commando che usò il telecomando, arrestati nell'immediatezza, sono stati condannati in primo grado, ma sono stati assolti col sigillo della Cassazione. Nei primi anni del 2000 vengono condannati all'ergastolo, in due distinti processi, in uno Totò Riina e il trapanese Vincenzo Virga; nell'altro i palermitani Nino Madonia e Balduccio Di Maggio. Riconosciuti come mandanti. In un altro processo è finito alla sbarra ancora come mandante il capo mafia dell'Acquasanta di Palermo, Vincenzo Galatolo. Il 13 novembre, sempre davanti al Tribunale di Caltanissetta, è arrivata la sentenza di condanna a trent'anni.

Dopo 35 anni la verità di quella strage non è stata ancora scritta con chiarezza. Gli assolti dal primo processo, all’epoca rimasti solamente indiziati, sono risultati grazie a successive indagini, anche su altri fatti della mafia trapanese, mafiosi di tutto punto ed esecutori della strage. Ma non possono essere più processati. Ne bis in idem, nessuno può essere processato per un reato per il quale è stato assolto in via definitiva. Qualcuno di loro è morto, qualcun'altro è in cella ancora. Come l'alcamese Nino Melodia, lui avrebbe premuto il tasto per scatenare l'esplosione, lui frequentava la casa di Vincenzo Galatolo. Quell'abitazione dentro vicolo Pipitone a Palermo che era "la sala operativa" di Cosa nostra palermitana, dove per i pm fu pianificata la strage di Pizzolungo e vennero decisi altri eclatanti delitti di quella stagione di mattanze degli anni '80. Anche la strage di via Pipitone Federico, l’omicidio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, i delitti politici, l’omicidio dell’agente Antonino Agostino, ammazzato assieme alla moglie Ida Castelluccio. In quel vicolo si decidevano delitti e stragi, da qual vicolo partivano i killer. E poi lì si tronava a festeggiare magari alla presenza di Totò Riina.

Lavialibera ha dedicato il suo primo numero alla mafia siciliana, cercando di capire come sia cambiata

Il 2 aprile 1985 Margherita Asta era appena una ragazzina. Aveva 10 anni. Lei doveva essere in auto con la mamma e i fratellini quel giorno. Ma preferì andare a scuola con una vicina di casa. È dovuta diventare donna matura molto presto Margherita, perché nel frattempo, nel 1993, moriva prematuramente anche suo padre, Nunzio Asta. Lei è diventata una testimone dei familiari delle vittime innocenti delle mafie, lavora con Libera, ha seguito passo passo tutti i processi per la strage di Pizzolungo. Oggi vive a Parma, sposata dal migliore uomo che poteva incontrare, Enrico e con un figlio, Dylan, che per comportamento e dispetti birbanti somiglia tantissimo a Salvatore e Giuseppe. Nelle settimane prima della sentenza, si raccontava a lavialibera.

Ancora oggi insegui nei palazzi giudiziari la verità e la giustizia. Quella verità e giustizia che come dice don Luigi Ciotti, scorre ancora per le vie di Trapani e non solo. Con grande maturità hai detto più volte che verità e giustizia non solo per l'atroce fine dei tuoi cari, ma anche per Carlo Palermo. La città di Trapani, la stessa dove nel 1985 si negò fortemente l'esistenza della mafia, forse voleva che tu maturassi l'odio per quel magistrato. Tuo padre Nunzio ti lasciò una precisa eredità, quella dell'amore. Quanto vedi ancora distante da te il traguardo di sapere finalmente perché Cosa nostra uccise tua mamma ed i tuoi fratelli e perché voleva uccidere il magistrato Carlo Palermo.

Mi immagino di essere rimasta per raccontare la storia di Barbara, Salvatore e Giuseppe. Una storia che a Trapani passata l'emozione del momento in pochi volevano ricordare. Oggi per fortuna la situazione è diversa, c’è maggiore impegno, c?è il lavoro che ogni giorno si fa nelle scuole, c’è il lavoro che svolge Libera con i suoi associati e volontari, oggi la cosa è diversa. Il ricordo oggi lo si compie pensando e progettando le cose migliori già per domani.

Giuseppe e Salvatore Asta
Giuseppe e Salvatore Asta

Barbara, Salvatore e Giuseppe uniti da un destino particolare.

Loro tre legati da un incredibile destino, nati lo stesso giorno, il 22 Febbraio, morti tutti e tre il 2 Aprile. A volte anche il senso di queste morti è dimenticato. Se pensiamo agli arresti che ci sono stati e ai fastidi provocati dalle sirene vuole dire che è ancora importante e fare memoria. Nel ricordo dei miei cari e non soli oggi c’è chi lavora per fare memoria e creare impegno.

Oggi siamo qui a cercare ancora la verità.

Per Pizzolungo attendiamo ancora verità e giustizia, e non è vero che la verità non si possa trovare, è necessario cercarla. Attendiamo verità e giustizia per Barbara, Salvatore e Giuseppe e nello stesso tempo vogliamo sapere, lo pretendiamo, perché Carlo Palermo doveva essere ucciso. Con Carlo Palermo siamo sullo stesso fronte, ognuno di noi ha perso qualcosa di importante, io la mia famiglia, lui la sua serenità e il suo lavoro. Stiamo arrivando alla sentenza grazie al lavoro infaticabile dei magistrati Amedeo Bertone, Gabriele Paci, Pasquale Pacifico. Questo processo può dare una svolta e rappresentare una chiave di lettura importante per capire il perché della morte di mia madre e dei miei fratelli, e perché si voleva la morte del giudice. Verrà scritta un’altra pagina di storia, un altro segmento che si unisce ad altri per comprendere la verità e per scoprire il perché di quella strage del 2 aprile del 1985. Ho vissuto con attenzione questo dibattimento con a fianco l’avvocato Enza Rando, perché comunque prima o poi sono sicura, verrà scritta tutta la verità. Sono molto fiduciosa.

Il nostro ordinamento giudiziario penale è “reo centrico” e invece si dovrebbe dare migliore rilevanza alle domande e alle istanze delle vittimeMargherita Asta

Tu definisci infaticabile l'azione della giustizia e in particolare quella dei magistrati di Caltanissetta, ma una giustizia molto lenta. Destino che è comune per tantissimi delitti commessi dalla mafia.

Purtroppo sì, abbiamo bisogno in un Paese democratico quale è il nostro di una giustizia più veloce, più certa, più attenta alla vittima. Il nostro ordinamento giudiziario penale è “reo centrico” e invece si dovrebbe dare migliore rilevanza a quelle che sono le domande e le istanze delle vittime. Purtroppo nel corso degli anni abbiamo assistito a depistaggi, assoluzioni di colpevoli, vedasi esecutori materiali, però non posso non ringraziare i magistrati che oggi operano a Caltanissetta, il procuratore Bertone, i magistrati Paci e Pacifico, che stanno contribuendo a scrivere un segmento di storia giudiziaria per la strage di Pizzolungo.

Torniamo a Trapani. I pm Paci e Pacifico, nella requisitoria di questo processo contro Galatolo, hanno indicato l'esistenza, nella tua città, di uno scenario di quegli anni dove dalla stessa parte dello Stato c'era chi indagava e chi invece ostacolava le indagini. Hanno descritto la società trapanese, pregna di cultura mafiosa, tra massoneria e servizi segreti, e una società resa incapace a reagire, e che aveva come unico disturbo quello delle sirene delle auto di scorta. Forse se il magistrato Palermo fosse rimasto in attività, oggi lo avrebbero bollato come magistrato antimafia più per dileggio che per apprezzamento.

Forse sì, io però dico peccato che non si è potuto indicare Palermo come magistrato antimafia: il 2 aprile dal punto di vista professionale abbiamo perso un magistrato che poteva illuminare delle verità che in parte ancora oggi restano nascoste come quelle delle connivenze tra mafia e massoneria, mafia e servizi segreti. Vicende passate? No, niente affatto: abbiamo potuto leggerle in atti giudiziari e reportage giornalistici anche recenti. Uno spaccato lo avete proposto anche voi sul primo numero de lavialibera.

A Trapani la criminalità mafiosa si intreccia a imprenditoria, banche e massoneria. Lì domina Matteo Messina Denaro

Il processo di oggi ha raccontato che la mafia poteva uccidere Palermo come voleva, magari sorprendendolo di sera quando usciva col suo cane come d'abitudine, ma scelse il fatto eclatante. Un po' come è accaduto al giudice Giovanni Falcone. I pm hanno raccontato come Palermo avesse intercettato gli affari di Cosa nostra seguendo, da giudice istruttore a Trento, la pista dei traffici internazionali di droga e il grande riciclaggio di denaro. Si arrivava in Sicilia, fino a Trapani dove decise di venire a lavorare dopo che il Csm stoppò quella indagine che conduceva a Trento e che lo avevano portato a guardare nei bilanci di società gestite da esponenti del Psi. Sfidò il potere politico e quello mafioso. Il governo dell’epoca, guidato dal socialista Bettino Craxi, gli fece togliere l’indagine, alla mafia il compito di fare il resto. Una storia da raccontare, ma la strage di Pizzolungo è finita nel dimenticatoio.

Purtroppo viviamo in un Paese in cui la memoria è molto corta e dove si fa distinzione tra morti di serie A, di serie B, di serie C, eccetera….e invece tutte le storie delle vittime rappresentano pezzi importanti che messi insieme sono la storia del nostro Paese e possono permetterci di guardare meglio al presente.

La scelta della figlia di Galatolo è importante: come altre ha rotto con le famiglie mafiose per dare un futuro ai figli. La incontrerei volentieriMargherita Asta

Il processo contro Galatolo si sta facendo grazie anche alla collaborazione di Giovanna Galatolo, la figlia del potente capo mafia. Tu e lei vi siete incontrate soltanto sulle carte giudiziariete. Diverse certamente, ma testarde. Anche coraggiose. In terra siciliana è cosa rara ascoltare una donna come Giovanna che denuncia, e che denuncia il proprio genitore perché mafioso, e un'altra donna, parlando di te, che decide di mettersi fuori da una società silenziosa. L'hai mai incontrata? Vorresti farlo? Cosa le diresti?

Di certo è importante la scelta della signora Galatolo, come penso siano importanti le scelte fatte da tante altre donne di mafia e di ‘ndrangheta che hanno rotto con le loro famiglie per dare un futuro diverso ai propri figli, per farli crescere liberi. Mi viene in mente il protocollo “Liberi di scegliere” sottoscritto per fornire ai giovani una opportunità. Giovani provenienti da famiglie mafiose che hanno scoperto valide alternative al contesto sociale caratterizzato dalla cultura mafiosa in cui vivevano Queste donne hanno scelto di far crescere i loro figli con punti di riferimento diversi. La signora Galatolo, non so spinta da che cosa, ma penso proprio che lei per se stessa e i suoi figli ha scelto la via di un futuro migliore, ha rotto il muro di omertà di cui è intrisa la cultura mafiosa. Come lei, secondo me, ciascuno di noi ha dentro un muro dell’omertà da rompere.

Tu l’hai mai incontrata?

Non l’ho mai incontrata. Se possibile, lo farei volentieri.

Cosa le diresti?

Ciascuno di noi può contribuire al cambiamento.

I familiari delle vittime di mafia al Parlamento: "Diritti, non benefici"

A Pizzolungo hai ottenuto ciò per cui ti sei battuta a lungo, la creazione – sul luogo della strage – di un centro di documentazione, il "Non ti scordar di me", dove è raccontata l'efferata azione mafiosa, ma anche altre storie di mafia. È soprattutto un luogo buono per far coltivare la memoria e creare impegno. Lì da anni arrivano decine e decine di scolaresche, forse a contarli superano il migliaio. Anche donne e uomini adulti, tutti vogliono conoscere e sapere. C'è appesa al muro, con i quaderni e le foto dei tuoi fratellini e di tua madre Barbara, la copia di un giornale col titolo "Vogliamo i responsabili", che resta attuale. Dovrebbe ingenerare sconforto e invece grazie anche alle tue parole chi arriva qui va via più ricco, con voglia di fare. Cosa dici in questi incontri?

Provo a raccontare la storia della mafia, la storia di mia madre, dei miei fratelli, delle loro vite spezzate, e dire chi erano prima di quella giornata,. Provo a raccontare delle mancate verità, però anche dei piccoli progressi che pian piano rispetto a giustizia e verità sono stati fatti. Dico che è importante non disperarsi e semmai è importante impegnarsi, creare rete e per questo una grande mano la dà Libera. Abbiamo scritto e parlato adesso con te di storie di donne. Mi piace ricordare un’altra donna, Rita Atria. Porto da sempre con me la sua lezione, l’importante è credere in un futuro diverso. Diceva che “forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo”. Ciascuno di noi può contribuire a scrivere la storia, che è l’insieme delle varie storie private. Non è un esercizio di memoria, ma serve molto per il quotidiano presente. Conoscendo il passato, conquistiamo conoscenza critica, cosa che ci permette di fare ogni giorno scelte responsabili per il nostro futuro ma non solo per il nostro.

Solo con te in un futuro aprile è il libro che hai dedicato alla tragica storia dei tuoi familiari e che con l’aiuto della giornalista Michela Gargiulo, hai tirato fuori dalla drammaticità, dal dolore, le cose più belle e migliori.

C’è voluta tanta forza, Michela è stata brava a tirare fuori tutto quello che avevo dentro, e la determinazione che dobbiamo vincere noi. Questa terra è Casa nostra e non di Cosa nostra. Quando per la prima volta con mio padre, in auto, tornando dai funerali di mia mamma e dei miei fratellini, ho attraversato per tornare a casa la strada di Pizzolungo, mi colpì quella macchia di sangue, in alto, sulla facciata di una terrazza. Chiesi a mio padre se era sangue nostro. Sì, era nostro e qualcuno voleva che rimanesse tale. A pensarlo anche chi come abbiamo saputo dal processo in corso, nel 1987 voleva riprovare a uccidere il giudice Palermo. Quella macchia di sangue oggi appartiene a chi ha preso consapevolezza che c’è un sistema criminale capace di colpire tutti. Per fortuna il giudice – oggi avvocato – Carlo Palermo non ha abbandonato l’intento e lavora per una rilettura complessiva della mafia come fenomeno diventato sistema che opera a livello internazionale.

Mafia, prime esperienze di giustizia riparativa

A livello processuale siamo arrivati al Pizzolungo quater. Il prossimo dovrebbe essere quello utile a colpire le connivenze tra mafia e pezzi dello Stato. Non è detto che possa essere così, però la società civile ha secondo te in mano tutte le carte per scrivere la condanna morale dei responsabili?

Mi auguro che venga scritta la verità all’interno delle aule giudiziarie. La società civile, attenta e responsabile, che si informa e viene informata in modo corretto, potrebbe condannare moralmente i responsabili. A questa pronuncia può arrivarci attraverso la lettura di atti giudiziari, delle inchieste giornalistiche. Ma, mi chiedo, la società civile lo vuol fare davvero? La mia è una provocazione, però a volte me lo chiedo. Dobbiamo continuare a impegnarci per tutte le vittime, per i sopravvissuti e per tutti noi che ogni giorno cerchiamo di reagire stando a testa alta. E allora, siamo a settembre, mi viene in mente quello che diceva don Pino Puglisi ucciso dalla mafia a Palermo il 15 Settembre del 1993. Diceva padre Pino che se ognuno fa qualcosa si può fare molto…Allora proviamoci!

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