
Autonomia differenziata, referendum bocciato. Avanti su cittadinanza

9 aprile 2025
“Sono stato svegliato alle tre di notte dal suono delle bombe e degli aerei. Mentre scappavamo, con le fiamme che ci bruciavano, è arrivato il secondo attacco. Due minuti dopo, il terzo missile è caduto sulla casa di mio fratello e il quarto sulla mia. Non ci credevo, non c’è nessun obiettivo militare vicino”. “Abbiamo trovato il corpo di mio zio fuori casa, vicino al pozzo, e i pezzi di quelli di sua moglie, incinta di cinque mesi, e dei quattro bambini ammucchiati 50 metri più in là”. È la notte dell’8 ottobre 2016 quando il villaggio di Deir Al-Hajari, nel nord-ovest dello Yemen, viene svegliato da un raid aereo della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, che dal marzo dell’anno precedente combatte contro i ribelli Houthi. L’attacco uccide una famiglia di sei persone – padre, madre incinta e quattro figli – e ferisce una donna.
Da ex produttore di bombe a sminatore: "Le armi italiane sono una responsabilità collettiva"
A raccogliere le testimonianze dei superstiti, l’indomani, sono gli operatori dell’ong yemenita Mwatana, che reperiscono e fotografano anche ciò che resta degli ordigni: un anello di sospensione, accerteranno le perizie, appartiene a una delle bombe MK80 prodotte da Rwm Italia Spa nello stabilimento di Domusnovas, in Sardegna, ed esportate verso Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti – che pure partecipano alla coalizione – con il via libera dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama) della Farnesina. A dieci anni dall’inizio del conflitto, i familiari delle vittime continuano a chiedere le risposte che non hanno ottenuto dalla giustizia italiana: dopo l’archiviazione decisa dal tribunale di Roma, il caso è ora al vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo, da cui si attende una decisione sull’ammissibilità del ricorso. Proprio mentre continua l’iter parlamentare della riforma, voluta dal governo, della legge 185/1990, che punta a rendere l’export delle armi ancora meno trasparente.
All’origine dell’iniziativa legale, accanto a Mwatana e ai familiari delle vittime dell’attacco, ci sono l’European center for constitutional and human rights (Ecchr) e la Rete italiana pace e disarmo, che il 17 aprile 2018 hanno depositato una denuncia presso la procura di Roma chiedendole di indagare sulle responsabilità penali dei vertici di Rwm Italia e dell’Uama per complicità in omicidio plurimo, lesioni e abuso d’ufficio. “Sosteniamo – spiega a lavialiberaFrancesca Cancellaro, avvocata partner di Ecchr – che l’Uama abbia concesso a Rwm Italia l’autorizzazione all’esportazione di armamenti verso l’Arabia saudita e gli Emirati arabi uniti nonostante la consapevolezza della sistematica violazione del diritto internazionale umanitario da parte loro, contravvenendo così alla legge italiana 185 del 1990, alla posizione comune europea 944 del 2008 e al Trattato delle Nazioni unite sul commercio delle armi del 2014”.
"Abbiamo le prove che quelle bombe sono state usate per commettere crimini di guerra: hanno un raggio d'errore inferiore ai 10 metri e l’obiettivo militare più vicino ne distava 300"Francesco Vignarca - Rete italiana pace e disarmo
“In questa vicenda abbiamo tre elementi che non abbiamo mai avuto in nessun caso di export di armi – aggiunge Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana pace e disarmo –. Innanzitutto, abbiamo la certezza che le armi italiane non solo sono state autorizzate ed esportate, ma anche utilizzate. Secondo, siamo risaliti con assoluta precisione all’azienda produttrice e all’autorizzazione. Terzo, abbiamo le prove che quelle bombe sono state usate per commettere crimini di guerra: hanno un raggio d'errore inferiore ai 10 metri e l’obiettivo militare più vicino ne distava 300”.
A seguito della denuncia, la procura di Roma ha aperto un fascicolo per abuso d’ufficio, scartando invece le ipotesi di omicidio e lesioni. Terminate le indagini, il 18 settembre 2019 ha chiesto l’archiviazione del caso sostenendo che l’autorizzazione data dall’Uama all’esportazione fosse legittimata dall’interesse pubblico di tutelare i posti di lavoro nel settore degli armamenti e non fosse frutto di un accordo criminoso finalizzato ad avvantaggiare Rwm Italia, il che escluderebbe l’abuso d’ufficio. Nel febbraio del 2021, il giudice per le indagini preliminari (gip) di Roma ha però respinto la richiesta di archiviazione e ordinato la prosecuzione delle indagini, sostenendo che “il pur doveroso, imprescindibile impegno dello Stato per salvaguardare i livelli occupazionali non può, nemmeno in astratto, giustificare una consapevole, deliberata violazione di norme che vietino l'esportazione di armi verso Paesi responsabili di gravi crimini di guerra e contro popolazioni civili”.
Il gip ha archiviato il caso pur riconoscendo la violazione dei trattati, perché l'Uama "era certamente consapevole del possibile impiego delle armi nel conflitto in Yemen a danno di civili"
Nel dicembre del 2021, i pm hanno avanzato una seconda richiesta di archiviazione, che questa volta verrà accolta dal gip nel marzo del 2023. La decisione, anche se sfavorevole nell’esito, ha fornito alle associazioni importanti elementi di conferma: “L’Uama – scrive il giudice – era certamente consapevole del possibile impiego delle armi vendute dalla Rwm all’Arabia nel conflitto in Yemen a danno di civili”, eppure ha “continuato a rilasciare autorizzazioni all’esportazione anche negli anni successivi, in violazione quantomeno degli articoli 6 e 7 del trattato sul commercio di armi”.
“Come è possibile che un giudice dica che è stato violato un trattato internazionale e non succeda niente?”, si chiede Vignarca. Di qui la scelta di rivolgersi alla Corte di Strasburgo: “Ci appelliamo all’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che riguarda il diritto alla vita – spiega Cancellaro –. Riteniamo che l’Italia l’abbia violato sotto il profilo procedurale, perché ha omesso di condurre indagini penali effettive, e sostanziale, perché non ha garantito il rispetto della disciplina sul commercio internazionale di armi, mancanze che hanno causato la morte e le lesioni delle persone che assistiamo”.
Ora si attende che la Corte decida sull’ammissibilità del ricorso, mentre per un’eventuale sentenza ci vorranno anni. Intanto, nella primavera del 2023 il governo Meloni ha deciso di riprendere le esportazioni di missili e bombe d’aereo verso l’Arabia saudita e gli Emirati arabi uniti revocando lo stop deciso dal governo Conte nel gennaio del 2021 proprio alla luce delle violazioni commesse dai due Paesi in Yemen. Nel 2024, secondo i dati trasmessi annualmente dal governo al parlamento, l’Uama ha autorizzato esportazioni di armamenti per 96 milioni di euro verso Riad e 294 milioni verso Abu Dhabi.
Non solo: nell’ottobre del 2023, il governo ha presentato una proposta di riforma della legge 185 del 1990 che regola le esportazioni di armi. Il disegno di legge, approvato dal Senato nel febbraio del 2024 e ora in discussione in commissione alla Camera, punta innanzitutto a modificare i contenuti della relazione che ogni anno il governo è tenuto a trasmettere al parlamento, rendendo meno dettagliata l’analisi sulle autorizzazioni e le esportazioni e eliminando il capitolo sull’attività delle banche attive nel settore degli armamenti. Verrebbe poi reintrodotto il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd), che era stato abolito nel 1993. Presieduto dal presidente del Consiglio con la partecipazione dei ministri di Esteri, Difesa, Interno, Economia e Imprese, avrebbe il compito di formulare gli “indirizzi generali per l’applicazione della legge” e decidere su eventuali divieti all’esportazione, di fatto scavalcando il vaglio tecnico dell’Uama.
"Basta favore ai mercanti di armi": l'intervento di Luigi Ciotti
“È importante che ci sia una presa di responsabilità politica sulle autorizzazioni, ma così si rischia che venga dato un ok preventivo a tutte le esportazioni, anche perché il Cisd non potrà riunirsi ogni volta che arriva una richiesta”, commenta Vignarca. Così, se la legge venisse approvata e si presentassero casi simili a quello dello Yemen, “non solo avremmo maggiori difficoltà a reperire le informazioni dalla relazione annuale, ma anche avendole non potremmo più mettere in questione l’illegalità dell’autorizzazione, perché il via libera dipenderebbe esclusivamente da valutazioni politiche”. Complicano ulteriormente le cose il rifiuto da parte del governo di inserire nella legge un riferimento esplicito al Trattato sul commercio delle armi e l’abolizione del reato d’abuso d’ufficio approvata la scorsa estate nell’ambito della riforma Nordio.
"Chiediamo alla politica italiana di fare un passo indietro rispetto a questo progetto pericoloso e irresponsabile. Esigere trasparenza e responsabilità nel commercio delle armi è l’unico modo per garantire la giustizia ed evitare la complicità nelle violazioni dei diritti umani"Khawla Al-Rowaishan - Mwatana, ong yemenita
Per salvare la legge 185, 84 organizzazioni della società civile, tra cui Libera e Gruppo Abele, hanno lanciato la campagna “Basta favori ai mercanti di armi!”, a cui hanno aderito altre 146 associazioni e 17mila cittadini. Il sostegno arriva anche dallo Yemen: “Chiediamo alla politica italiana di fare un passo indietro rispetto a questo progetto pericoloso e irresponsabile – dice a lavialiberaKhawla Al-Rowaishan, direttrice del settore accountability e ricorsi di Mwatana –. Esigere trasparenza e responsabilità nel commercio delle armi, ponendo fine a una politica di impunità, è l’unico modo per garantire la giustizia ed evitare la complicità nei crimini e nelle violazioni dei diritti umani commessi in Yemen come nel resto del mondo”.
Crediamo in un giornalismo di servizio di cittadine e cittadini, in notizie che non scadono il giorno dopo. Aiutaci a offrire un'informazione di qualità, sostieni lavialibera
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti
NUMERO SPECIALE: Libera compie trent'anni e guarda avanti: l'impegno per l'affermazione della libertà contro ogni forma di potere mafioso è più che mai attuale
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti