25 aprile 1945, parata a Reggio Emilia (Fototeca Panizzi, Comune di Reggio Emilia)
25 aprile 1945, parata a Reggio Emilia (Fototeca Panizzi, Comune di Reggio Emilia)

25 aprile, Greppi: "La Liberazione ci ricorda la forza dell'utopia"

Intervista allo storico Carlo Greppi: "La resistenza antifascista è stata la convergenza di una pluralità di visioni, un'educazione fatta anche di conflitto e di radicalità". Una "spinta collettiva" verso il cambiamento che parla al presente

Elena Ciccarello

Elena CiccarelloDirettrice responsabile lavialibera

23 aprile 2025

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“Lo slancio vitale verso un futuro che sembra impossibile da raggiungere”. Carlo Greppi, 43 anni, storico e scrittore torinese, riassume così l’eredità più importante della Resistenza: la capacità di immaginare un domani diverso, anche quando sembra impraticabile. Come fecero ragazzi, ragazze e giovani adulti antifascisti, che inseguirono un “futuro inimmaginabile” anche a costo della vita. “L'antifascismo storico e il movimento di liberazione puntarono con determinazione al cambiamento, mettendo in gioco tutte le energie disponibili: affrontarono anni di carcere e di confino, furono braccati dai sicari fascisti in tutta Europa. Quella spinta, che a volte fu anche confusa, ci ricorda la forza dell’utopia”. 

Nel racconto dello storico, la tensione di quegli anni parla al presente: “Penso alla grande lotta contro il cambiamento climatico e ad altre battaglie analoghe: progettare un futuro che sembra irraggiungibile è un modo per fare buon uso di questa storia”. 

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Greppi, il 25 aprile è una festa per tutte e tutti? 

Così dovrebbe essere, ma non lo è. Purtroppo sono ancora forti le nostalgie per il ventennio e per i terribili venti mesi di combattimenti che precedettero la Liberazione. Per i fascisti, che possiamo rinominare con tutti i prefissi che vogliamo, è un mantra ripetere ossessivamente che il 25 aprile è divisivo. Ma per chi conosce la storia della Resistenza è evidente che in quella lotta fossero presenti tutte le anime politiche dell'epoca, dagli anarchici ai monarchici, ad eccezione dei fascisti della Repubblica Sociale

Come storico, le pesa il portato di retorica che hanno le celebrazioni? 

"La Resistenza è la storia di uomini e donne che, proprio perché umani, erano pieni di sporcature. Ma proprio questo rende grande ciò che riuscirono a realizzare insieme"

La retorica riduce il potenziale di una data come questa. Calvino, nella prefazione alla ristampa de Il sentiero dei nidi di ragno, scrive che i detrattori e i sacerdoti della Resistenza sono i suoi principali nemici. Eppure un po’ di retorica è fisiologica ed è difficile evitarla perché, per quanto breve, la Resistenza fu la migliore stagione della storia unitaria di questo Paese. Fu la storia di uomini e donne che, proprio perché umani, avevano pregi e difetti e quindi erano pieni di sporcature. Ma proprio questo rende grande ciò che riuscirono a realizzare insieme.

Perché dice che fu la stagione migliore della nostra storia recente? 

Perché un esercito di volontari, in maniera del tutto gratuita e libera, scelse di prendere le armi per sconfiggere il fascismo nel Paese che l'aveva inventato. E per provare a ricostruire una collettività. Non era mai successo prima, sicuramente non in termini numericamente così importanti: parliamo di un esercito che arrivò a superare i 200mila effettivi. Fu una stagione breve: per fortuna, perché finì la guerra; purtroppo, perché molte di quelle energie si dispersero nella storia della prima Repubblica.

Nel libro L’antifascismo non serve più a niente, pubblicato nella collana Fact Checking di Laterza, elenca una serie di passaggi utili a capire l’antifascismo. Uno riguarda la scelta delle armi. Come spiegare oggi la “violenza giusta”? 

Credo sia il grande tema, spesso eluso negli ultimi decenni, comprensibilmente, perché siamo educati alla pace, alla nonviolenza e a un modo diverso di intendere la politica. Ma sarebbe anacronistico dimenticare che all'epoca si confrontarono due violenze antitetiche: quella fascista, per la quale la violenza era ed è un valore, così come la sopraffazione era ed è un obiettivo a cui tendere, e quella della Resistenza, che usò le armi come scelta dolorosamente necessaria per accelerare la fine della guerra e chiudere un ventennio di soprusi, sopraffazione e educazione alla morte. 

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Il fascismo nacque con e per la violenza, e di fatto occupò le istituzioni e si autolegittimò con la forza e l’appoggio di industriali e proprietari terrieri. Questa però è una dimensione che tendiamo a dimenticare. 

Sicuramente c'è poca consapevolezza diffusa, soprattutto di come il fascismo nasce e di come muore, uccidendo. Che tenne il potere sempre ricorrendo alla violenza, in maniera mirata in patria e in maniera incontrollata fuori dai confini. Un altro aspetto poco presente nella memoria collettiva è che il regime fu sempre in guerra, per tutto il ventennio. Chi ritiene che “fece anche cose buone”, di fatto ne oscura l'essenza stessa. 

Oggi il termine antifascista viene usato per descrivere posizioni molto diverse tra loro: da quelle non violente a quelle più radicali. È possibile dare un’interpretazione univoca? 

L'antifascismo è stato sempre una categoria talmente ampia e controversa che al suo interno possiamo trovare di tutto. Un po’ provocatoriamente direi che fu così anche allora. All'interno dell'ultimo antifascismo, quello resistenziale, c'erano i Gap, i gruppi speciali il cui compito era fare “terrorismo urbano”, e c'erano i partigiani non violenti, un'ampia fascia di resistenza civile e senza armi. Tutte queste forme impararono a convivere, seppure in maniera non semplice e non sempre pacifica. Lo vediamo anche in altri movimenti: pensiamo all'apparente dicotomia tra la disobbedienza civile e la nonviolenza di Martin Luther King e l'autodifesa proposta da Malcolm X, che invece prevedeva l’uso della forza. Erano considerate, dagli stessi leader, due strade entrambe legittime, che non si escludevano a vicenda. 

C’è poi un aspetto meno noto di questa storia, la dimensione internazionale.

Sì, ne abbiamo scritto anche nel libro curato con Chiara Colombini nel 2024, Storia Internazionale della resistenza italiana. È un tema che negli ultimi anni ha ricevuto una maggiore attenzione. La storia della Resistenza conteneva già in sé i semi delle comunità multiculturali che sarebbero emerse nell'era della globalizzazione.  Conoscere la dimensione internazionale di questa stagione permette anche a chi è arrivato in Italia più di recente di riconoscersi in una grande storia di lotta comune. È però un processo delicato, cui bisogna fare attenzione, perché fa leva su sentimenti identitari che possono innescare meccanismi pericolosi.

Tirando le somme, l'antifascismo serve ancora? 

"L'antifascismo è stato la convergenza di una pluralità di visioni, un’educazione fatta anche di conflitto e di radicalità. Questa spinta collettiva manca al mondo contemporaneo"

L'antifascismo è stato la convergenza di una pluralità di visioni, che ha educato una generazione di ventenni alla politica. Un’educazione fatta anche di conflitto e di radicalità, cioè della volontà di risolvere i problemi alla radice, e di credere che fosse possibile progettare un futuro anche diametralmente opposto al presente asfittico in cui viviamo. Questa spinta collettiva manca al mondo contemporaneo. Ed è una delle eredità cruciali della storia dell'antifascismo.

Dove sarà il prossimo 25 aprile? 

Farò l'orazione ufficiale a Cuneo il 24 sera e poi a Collegno il 25, dove ho diretto la scuola di resistenza: un esperimento entusiasmante, con ragazze e ragazzi davvero giovani. Poi raggiungerò un gruppo di amici, perché il 25 aprile bisogna anche ricordarsi di festeggiare.

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