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23 aprile 2025
“Lo slancio vitale verso un futuro che sembra impossibile da raggiungere”. Carlo Greppi, 43 anni, storico e scrittore torinese, riassume così l’eredità più importante della Resistenza: la capacità di immaginare un domani diverso, anche quando sembra impraticabile. Come fecero ragazzi, ragazze e giovani adulti antifascisti, che inseguirono un “futuro inimmaginabile” anche a costo della vita. “L'antifascismo storico e il movimento di liberazione puntarono con determinazione al cambiamento, mettendo in gioco tutte le energie disponibili: affrontarono anni di carcere e di confino, furono braccati dai sicari fascisti in tutta Europa. Quella spinta, che a volte fu anche confusa, ci ricorda la forza dell’utopia”.
Nel racconto dello storico, la tensione di quegli anni parla al presente: “Penso alla grande lotta contro il cambiamento climatico e ad altre battaglie analoghe: progettare un futuro che sembra irraggiungibile è un modo per fare buon uso di questa storia”.
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Così dovrebbe essere, ma non lo è. Purtroppo sono ancora forti le nostalgie per il ventennio e per i terribili venti mesi di combattimenti che precedettero la Liberazione. Per i fascisti, che possiamo rinominare con tutti i prefissi che vogliamo, è un mantra ripetere ossessivamente che il 25 aprile è divisivo. Ma per chi conosce la storia della Resistenza è evidente che in quella lotta fossero presenti tutte le anime politiche dell'epoca, dagli anarchici ai monarchici, ad eccezione dei fascisti della Repubblica Sociale.
"La Resistenza è la storia di uomini e donne che, proprio perché umani, erano pieni di sporcature. Ma proprio questo rende grande ciò che riuscirono a realizzare insieme"
La retorica riduce il potenziale di una data come questa. Calvino, nella prefazione alla ristampa de Il sentiero dei nidi di ragno, scrive che i detrattori e i sacerdoti della Resistenza sono i suoi principali nemici. Eppure un po’ di retorica è fisiologica ed è difficile evitarla perché, per quanto breve, la Resistenza fu la migliore stagione della storia unitaria di questo Paese. Fu la storia di uomini e donne che, proprio perché umani, avevano pregi e difetti e quindi erano pieni di sporcature. Ma proprio questo rende grande ciò che riuscirono a realizzare insieme.
Perché un esercito di volontari, in maniera del tutto gratuita e libera, scelse di prendere le armi per sconfiggere il fascismo nel Paese che l'aveva inventato. E per provare a ricostruire una collettività. Non era mai successo prima, sicuramente non in termini numericamente così importanti: parliamo di un esercito che arrivò a superare i 200mila effettivi. Fu una stagione breve: per fortuna, perché finì la guerra; purtroppo, perché molte di quelle energie si dispersero nella storia della prima Repubblica.
Credo sia il grande tema, spesso eluso negli ultimi decenni, comprensibilmente, perché siamo educati alla pace, alla nonviolenza e a un modo diverso di intendere la politica. Ma sarebbe anacronistico dimenticare che all'epoca si confrontarono due violenze antitetiche: quella fascista, per la quale la violenza era ed è un valore, così come la sopraffazione era ed è un obiettivo a cui tendere, e quella della Resistenza, che usò le armi come scelta dolorosamente necessaria per accelerare la fine della guerra e chiudere un ventennio di soprusi, sopraffazione e educazione alla morte.
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Sicuramente c'è poca consapevolezza diffusa, soprattutto di come il fascismo nasce e di come muore, uccidendo. Che tenne il potere sempre ricorrendo alla violenza, in maniera mirata in patria e in maniera incontrollata fuori dai confini. Un altro aspetto poco presente nella memoria collettiva è che il regime fu sempre in guerra, per tutto il ventennio. Chi ritiene che “fece anche cose buone”, di fatto ne oscura l'essenza stessa.
L'antifascismo è stato sempre una categoria talmente ampia e controversa che al suo interno possiamo trovare di tutto. Un po’ provocatoriamente direi che fu così anche allora. All'interno dell'ultimo antifascismo, quello resistenziale, c'erano i Gap, i gruppi speciali il cui compito era fare “terrorismo urbano”, e c'erano i partigiani non violenti, un'ampia fascia di resistenza civile e senza armi. Tutte queste forme impararono a convivere, seppure in maniera non semplice e non sempre pacifica. Lo vediamo anche in altri movimenti: pensiamo all'apparente dicotomia tra la disobbedienza civile e la nonviolenza di Martin Luther King e l'autodifesa proposta da Malcolm X, che invece prevedeva l’uso della forza. Erano considerate, dagli stessi leader, due strade entrambe legittime, che non si escludevano a vicenda.
Sì, ne abbiamo scritto anche nel libro curato con Chiara Colombini nel 2024, Storia Internazionale della resistenza italiana. È un tema che negli ultimi anni ha ricevuto una maggiore attenzione. La storia della Resistenza conteneva già in sé i semi delle comunità multiculturali che sarebbero emerse nell'era della globalizzazione. Conoscere la dimensione internazionale di questa stagione permette anche a chi è arrivato in Italia più di recente di riconoscersi in una grande storia di lotta comune. È però un processo delicato, cui bisogna fare attenzione, perché fa leva su sentimenti identitari che possono innescare meccanismi pericolosi.
"L'antifascismo è stato la convergenza di una pluralità di visioni, un’educazione fatta anche di conflitto e di radicalità. Questa spinta collettiva manca al mondo contemporaneo"
L'antifascismo è stato la convergenza di una pluralità di visioni, che ha educato una generazione di ventenni alla politica. Un’educazione fatta anche di conflitto e di radicalità, cioè della volontà di risolvere i problemi alla radice, e di credere che fosse possibile progettare un futuro anche diametralmente opposto al presente asfittico in cui viviamo. Questa spinta collettiva manca al mondo contemporaneo. Ed è una delle eredità cruciali della storia dell'antifascismo.
Farò l'orazione ufficiale a Cuneo il 24 sera e poi a Collegno il 25, dove ho diretto la scuola di resistenza: un esperimento entusiasmante, con ragazze e ragazzi davvero giovani. Poi raggiungerò un gruppo di amici, perché il 25 aprile bisogna anche ricordarsi di festeggiare.
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