La guerra per le terre rare unisce Ucraina, Congo e Groenlandia

I materiali critici per l'industria elettronica e le energie rinnovabili sono al centro di tensioni geopolitiche, sfruttamento e nuovi colonialismi. Mentre Trump le mette al centro della sua agenda politica, l'Europa cerca un difficile equilibrio tra sicurezza e sostenibilità

Giuliana Barus

Giuliana BărușStagista de lavialibera

15 maggio 2025

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Sono il filo rosso che collega l’accordo minerario tra Stati Uniti e Ucraina, la guerra civile in Congo e le mire di Trump sulla Groenlandia. Vitali per la produzione di dispositivi elettronici e per le energie rinnovabili, sono al centro di conflitti e tensioni geopolitiche, ma anche di sfruttamento e iniquità. Le terre rare (rare earth metals in inglese, spesso abbreviate con la sigla Ree) sono un gruppo di 17 elementi chimici facenti parte della famiglia dei metalli. La denominazione non è dovuta alla scarsa disponibilità di questi elementi chimici: sono presenti in abbondanza nei minerali terrestri. Tuttavia, è raro trovarli in una concentrazione tale da supportare un’estrazione profittevole. A determinare la scelta terminologica è dunque la difficile identificazione, e soprattutto la complessità del processo di estrazione e lavorazione del minerale puro.

Nel 1787 fu Carl Axel Arrhenius, un tenente dell’esercito svedese, che per primo scoprì un minerale contenente una miscela di terre rare. Nel 1803, venne isolato un campione puro del primo elemento: il Cerio. La quasi totalità dei metalli rari è stata poi scoperta nella seconda metà dell’Ottocento. 

Cina, Russia e Turchia guardano sempre più all'Africa per i loro affari

A cosa servono le terre rare

Le terre rare sono gli elementi strategici dell'economia del futuro. Anzi, già del presente: un mercato globale dal valore di quasi 11 miliardi di dollari, destinato a raddoppiare entro il 2031

Dalla produzione di smartphone e auto elettriche fino all’economia rinnovabile, militare e aerospaziale, le terre rare sono indispensabili per la creazione di tutti i dispositivi elettronici di ultima generazione, perché consentono lo stoccaggio di energia in batterie e accumulatori elettrici. Sono gli elementi strategici dell'economia del futuro. Anzi, già del presente: un mercato globale dal valore di quasi 11 miliardi di dollari, destinato a raddoppiare entro il 2031. 

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Cina, leader delle terre rare

La Cina è oggi l’esportatore principale di terre rare al mondo, con una produzione annua di 240mila tonnellate (dati dell’Agenzia geologica statunitense, US Geological Survey) e la presenza di oltre un terzo delle riserve globali. Una manciata di Paesi ne controlla i giacimenti più redditizi: estrazione, raffinazione ed export sono gestiti in un regime quasi monopolistico. Per le terre rare non esiste un mercato ufficiale, di conseguenza raffinatori e acquirenti conducono trattative private, con prezzi fissati di volta in volta: un mercato non regolamentato che subisce importanti oscillazioni dettate dalle decisioni di Pechino, responsabile di circa l’80% della produzione mondiale.

L’accordo Ucraina-Usa

L'accordo Kyiv-Washington è un’impresa proiettata in un domani ipotetico: una scommessa sul futuro dell’Ucraina, e sull’arricchimento dell’America

Nel continente europeo, l’Ucraina è tra i maggiori potenziali fornitori di terre rare. Il Ministero della protezione ambientale e delle risorse naturali di Kyiv afferma che il Paese detiene il primato per i giacimenti di titanio, di interesse per l’industria aerospaziale e della difesa, oltre al potenziale estrattivo di litio, grafite e manganese, risorse cruciali per la produzione di batterie elettriche. Una ricchezza che negli ultimi mesi è diventata merce di scambio nei negoziati per la fine della guerra. Il 30 aprile scorso, Kyiv e Washington hanno siglato un’intesa cruciale, che attribuisce agli Usa diritti di prelazione sull’estrazione mineraria nel Paese dell’Est Europa. Lo Stato ucraino manterrà la proprietà del sottosuolo e sarà il governo a decidere cosa e dove verrà estratto. 

Alla fine, il governo di Volodymyr Zelensky ha convinto il presidente Donald Trump ad abbandonare le richieste più controverse. Inizialmente, infatti, la Casa Bianca aveva chiesto una quota di 500 miliardi di dollari di terre rare e altri minerali strategici in cambio degli aiuti militari già forniti al Paese invaso. L’accordo raggiunto, pubblicato da The Kyiv Independent il primo maggio, stabilisce invece che sarà creato un fondo comune di investimento per la ricostruzione (Reconstruction Investment Fund), gestito da Ucraina e Stati Uniti, dove confluirà la metà dei soldi che Kyiv incasserà dai giacimenti di minerali e gas e dai pozzi di petrolio che saranno aperti in futuro, non da quelli già in funzione.

Lo sfruttamento dei potenziali giacimenti ucraini su cui Kyiv e Washington hanno concluso l’accordo è un’impresa proiettata in un futuro ipotetico. Nonostante l’intesa raggiunta getti delle basi più eque per il possibile sfruttamento delle risorse minerarie, rimangono incertezze sulle capacità dell’Ucraina di essere un fornitore duraturo e affidabile: dipenderà dalla situazione politico-militare (molti giacimenti si trovano nel Donbass, dove si combatte e dove sono posizionate le truppe russe), dallo stato delle infrastrutture di un Paese da oltre tre anni in guerra e dal supporto di Usa e alleati. Gli statunitensi potrebbero dare un aiuto fondamentale agli ucraini per trovare, finanziare e rendere sfruttabili giacimenti che ancora non esistono. Una scommessa sul futuro dell’Ucraina, e sull’arricchimento dell’America.

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La guerra civile in Congo è una sanguinosa guerra economica per impossessarsi delle sue materie prime, tanto abbondanti quanto a basso costo

Gli interessi statunitensi per le terre rare giocano un ruolo anche nella guerra nella Repubblica democratica del Congo. La ragione è la ricchezza mineraria del più grande Paese africano del Sub-Sahara. Secondo il Dipartimento del Commercio americano, nella regione del Nord Kivu ci sono 24mila miliardi di dollari in depositi di minerali che servono per lo sviluppo della tecnologia globale. Nella sola regione di Kivu si concentra infatti il 70% delle riserve mondiali di “coltan”, una lega di columbite e tantalite che costituisce la parte fondamentale dei micro-condensatori, i componenti che servono a immagazzinare e gestire la corrente nei dispositivi elettronici: in breve, il “coltan” è essenziale per le batterie di veicoli elettrici, computer e smartphone. 

Il risultato di questa straordinaria concentrazione di risorse preziose? Il tentativo di appropriarsene da parte di tutti i Paesi confinanti e delle grandi potenze internazionali: la guerra civile in Congo è una sanguinosa guerra economica per impossessarsi delle sue materie prime, tanto abbondanti quanto a basso costo.

La Repubblica Democratica del Congo è stata inserita nell’economia mondiale in condizioni di profonda iniquità come fornitore di materie prime strategiche. Gran parte del valore di questi materiali è trattenuta dalle multinazionali del settore, mentre i tentativi di sfidare lo status quo sono stati finora impediti dalle potenze straniere che hanno interessi sul campo, Stati Uniti e Cina in primis. L’industria estrattiva in Congo si è così arricchita sfruttando l’arretratezza legislativa in termini di tutela ambientale e sicurezza dei lavoratori: l’estrazione mineraria è infatti pericolosa e inquinante. Ma la domanda di minerali critici e terre rare è in crescita esponenziale. 

Il coinvolgimento americano è cominciato a inizio anno, quando il presidente di Kinshasa ha offerto a Washington l’accesso alle risorse del Paese. In cambio lo Stato africano dovrebbe ottenere il sostegno statunitense contro l'offensiva delle milizie ribelli M23, che dal 2021, sostenute dal Ruanda, combattono contro l’esercito regolare nella regione del Nord Kivu. 

L’accordo minerario tra Usa e Congo ricalca il modello di quello che l’amministrazione Trump ha stipulato con l’Ucraina, finalizzato anche a ridurre l’influenza di Pechino sull’attività di estrazione mineraria nella Repubblica africana. Meno chiaro è invece quali garanzie di sicurezza gli Stati Uniti offrano a Kinshasa, e soprattutto quale sarà il ruolo di M23 e delle varie milizie presenti sul suolo congolese nelle trattative con Washington.

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Groenlandia contesa

Nella lotta di potere per l’approvvigionamento delle risorse minerarie critiche, la Groenlandia rappresenta l’ultima frontiera degli appetiti statunitensi, tanto che il presidente Trump ha dichiarato esplicitamente la volontà di annetterla. Contesa tra America, Russia e Cina, è il luogo con il sottosuolo più ricco di terre rare al mondo. Ma anche una delle aree maggiormente esposte agli effetti del cambiamento climatico, che le attività estrattive rischierebbero di acuire.

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Terre rare, le mosse di Europa e Italia

La strategia europea per i “materiali critici”

I Paesi dell’Unione europea importano la quasi totalità delle terre rare che consumano e il 97% viene dalla Cina. Per far fronte alla crescente domanda e garantire un “futuro sostenibile e digitale”, come ha promesso Ursula von der Leyen, la Commissione ha approvato il Critical Raw Materials Act, entrato in vigore il 24 maggio 2024. Due sono le direttrici: da un lato, la ricerca e l’estrazione sul suolo europeo; dall’altro, la messa a punto di una strategia per assicurarsi una fornitura regolare e conveniente dall’estero.

Il testo impone agli Stati membri di dotarsi di un programma minerario nazionale per valorizzare i “materiali critici” presenti nel territorio di ciascuno, cioè le “materie prime caratterizzate da un’elevata importanza strategica per l’economia e la difesa europee, e da previsti squilibri globali tra domanda e offerta”. Non ne esiste un elenco esaustivo: varierà in base alle esigenze dell’industria europea, alle condizioni geopolitiche e alle forniture globali dei materiali. Non solo terre rare, quindi, ma anche litio, cobalto e coltan, costituenti fondamentali per oggetti di uso quotidiano: semiconduttori di telefoni e veicoli elettrici, ma anche turbine eoliche, pannelli fotovoltaici, fibre ottiche e microchip. 

Italia: dove cercare terre rare? 

Nel nostro Paese, la maggior parte dell'attività estrattiva nazionale è cessata da decenni: più conveniente importare a basso costo risorse naturali da altri Paesi. Con il Green Deal europeo e la guerra in Ucraina, però, in Italia come negli altri Stati europei, è iniziata la corsa alle terre rare. 

L’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha individuato oltre 3mila siti nella penisola, tra vecchie miniere abbandonate da decenni e nuovi possibili giacimenti. Secondo il database GeMMA (Geologico, Minerario, Museale e Ambientale), le riserve si concentrano soprattutto nelle regioni dell’arco alpino, dal Piemonte al Friuli, e poi in Liguria, Toscana, Lazio settentrionale, Abruzzo e Sardegna. Si può trovare cobalto sotto le Alpi piemontesi, in Lombardia, Trentino e Friuli. La Liguria invece possiede il maggior giacimento europeo di titanio (collocato però nel geoparco del Beigua, area naturale protetta e sito Unesco), oltre a essere ricca di rame e manganese, come la Toscana. Nel nord del Lazio c’è invece litio, la cui estrazione sarebbe altamente sostenibile.  

Perché è difficile estrarre terre rare in Europa

In Italia e in Europa ci sono terre rare, ma estrarle non è facile

In Italia e in Europa ci sono dunque terre rare; estrarle però non è facile. Il vero problema è di natura burocratica e logistica, oltre ai dannosi effetti sull’ecosistema. Se l’apertura di una nuova miniera in Cina richiede tre mesi, nell’Ue e in Italia possono passare dai 10 ai 15 anni tra le fasi di esplorazione fino all’effettiva produzione (dati dell’IEA, Agenzia internazionale dell’energia). Estratte le materie prime, va poi considerata la loro raffinazione, attività energivora e spesso altamente inquinante. L’estrazione di una tonnellata di litio, per esempio, richiede 500mila litri d’acqua e produce emissioni di CO2 tutt’altro che trascurabili. Nel caso del cobalto, i danni collaterali sono pure peggiori: oltre a essere energivora, l’attività estrattiva di questo metallo richiede spesso cariche di esplosivo, che rilasciano nell’atmosfera polveri sottili e particolato. 

La risposta potrebbe trovarsi in una strategia che integri pratiche di economia circolare (il riciclo e recupero delle terre rare esistenti in Europa potrebbe coprire fino al 32% del fabbisogno annuo, stima calcolata a maggio 2023 da The European House Ambrosetti), utilizzo di materiali sostitutivi, attività estrattive sostenibili e sviluppo di collaborazioni con Paesi esteri affidabili.

Oggi si possono estrarre gli stessi elementi in varie parti del mondo con processi molto diversi: alcuni con costi elevati ma a ridotto impatto ambientale; altri più redditizi ma fortemente inquinanti. Se la maggior parte delle miniere si trova in nazioni del Sud globale non è quindi casuale: si tratta di Paesi dove spesso non esiste una legislazione ambientale e dove le norme sulla sicurezza dei lavoratori sono pressoché inesistenti. Il risultato iniquo di globalizzazione e delocalizzazione. 

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