Donne combattenti in Congo. Dal reportage Ms Kalashnikov di Matchbox Media Collective (Flickr)
Donne combattenti in Congo. Dal reportage Ms Kalashnikov di Matchbox Media Collective (Flickr)

Mario Giro: "Le guerre in Africa vanno prese sul serio. Da lì passa ciò che arriva a noi"

Nel suo ultimo libro, "Guerre nere", il professore di relazioni internazionali ed ex viceministro degli Esteri Mario Giro analizza le condizioni e le prospettive del continente africano

Monica Usai

Monica UsaiReferente del settore internazionale di Libera - area africana

3 giugno 2021

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54 paesi, una popolazione di circa un miliardo e mezzo di persone e una crescita che porterà l'Africa a essere abitata da più di due miliardi di persone entro il 2050, con paesi come la Nigeria che arriveranno ad avere più abitanti dell’Europa intera. Abbiamo incontrato Mario Giro, docente di geopolitica e già viceministro degli Esteri, per discutere con lui della situazione della regione sub-sahariana e della presenza internazionale nel continente. Tema di cui tratta nel suo ultimo libro, Guerre Nere. Guida ai conflitti nell’Africa contemporanea (Guerini e associati editore).

Professore, cosa significa che in Africa violenza criminale terroristica e gruppi organizzati assumono sempre più una forma ibrida?

Le grandi reti criminali sono molto più globalizzate e flessibili di quanto lo fossero una volta. I narco-Stati di un tempo non sono più un modello valido. Ad esempio, la Guinea-Bissau negli anni ‘90 era un hub in cui arrivava la droga dall'America Latina, che poi da lì veniva distribuita. Oggi non ha più la stessa valenza. Da paese a paese la criminalità si muove con assoluta flessibilità cambiando aspetto, mimetizzandosi. La globalizzazione ha cambiato tutto.

Un'ibridazione che mescola reti legali e illegali.

Direi che questo è un fenomeno che in Africa si vede meglio. Non che non succeda da noi o in America Latina o in Asia. In Africa, in un mese puoi trovare un gruppo di jihadisti che combatte con un registro ideologico-religioso e il mese successivo lo stesso gruppo fa banditismo, quindi rapisce per soldi, o traffica in armi o droga e così via. Non si tratta di un’immagine caricaturale. Ormai il mestiere della guerra o delle armi è perfettamente legale, quindi dobbiamo trovare nuove parole e imparare a ridenominare certi fenomeni. Dice bene il filosofo camerunense Achille Mbembe quando afferma che in Africa vediamo i cambiamenti sociologici e antropologici in maniera più chiara di quanto si possa fare in Europa e in generale in Occidente. Abbiamo due ragioni per prendere sul serio le guerre africane: perché gli africani non sono dei selvaggi e perché attraverso l'Africa passa tutto quello che poi arriva anche a noi.

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Perchè il caso del Mozambico è così significativo?

Per capire come si mischiano o meglio si “ibridano” la violenza diffusa, l’autoritarismo politico, la criminalità organizzata e le reti transfrontaliere commerciali, legali e illegali, è necessario guardare al Nord del Mozambico, che rimane l'ultimo luogo dove emerge uno jihadismo organizzato. Pochi sanno che il Mozambico è il più grosso produttore di rubini al mondo. In quel contesto la multinazionale britannica Gemfields crea un doppio registro, legale e illegale: quello legale che produce il pesantissimo sfruttamento; e quello illegale che a un certo punto diventa anche più accessibile e remunerativo. La multinazionale stessa paga le forze di sicurezza e di polizia perché tengano lontani i cercatori “liberi”, che a loro volta devono cercare il modo di mettere il prodotto sul mercato e in genere si incontrano con intermediari dalla dubbia fama. Poi mettiamoci pure il traffico legno teak, scaglie di pangolino, a cui si aggiungono le grandi aziende del petrolio, in particolare da Usa e Cina, che si moltiplicano e godono di un terreno già destrutturato.

Non sorprende alla fine che molti giovani in questo caos rimangono soli. A colmare questa mancanza arrivano capi jihadisti o predicatori jihadisti: un processo non difforme da quello dei foreign fighters occidentali che pur non essendo musulmani si convertivano davanti al monitor e partivano a combattere in Siria. 

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E la pandemia?

Sicuramente dal punto di vista della pandemia possiamo dire che l'Africa, almeno per una volta, è stata risparmiata nella prima ondata dall'insorgere di una nuova pandemia. Si sono ammalati i rappresentanti dell'élite africana prima di altri, cioè coloro che viaggiavano in Europa. Una legge del contrappasso. Tra questi alcuni sono deceduti, come il presidente della Tanzania che è stato un forte negazionista. La prima ondata è molto più debole anche perché il 60 per cento degli africani sono sotto i trent'anni e noi sappiamo che questa malattia è sopportata meglio dai giovani e probabilmente c'è anche una differenza di sistema immunitario. Detto questo si è vista in maniera evidente la mancanza assoluta di un sistema sanitario nazionale dovuta all’aver portato avanti il pensiero unico liberista occidentale dagli anni 80 a oggi, un sistema che non ha lasciato nulla. Cosa dobbiamo fare? Innanzitutto, ricostruire il welfare

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