Xi e Putin al vertice BRICS del 2019
Xi e Putin al vertice BRICS del 2019

Africa, questione di interessi

Mentre Cina, Russia e Turchia tessono relazioni per conquistare terreno e potere nel nuovo assetto geopolitico, l'Europa sembra essersi defilata. E anche gli Stati Uniti guardano in altre direzioni

Matteo Giusti

Matteo GiustiGiornalista

13 luglio 2022

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L’Africa è il continente a noi più vicino, quello con la popolazione più giovane e con una crescita economica continua, ma per l’Europa – dopo secoli di politiche predatorie – non è mai stato così lontano. Al contrario, paesi come Cina, Russia e Turchia hanno pianificato una strategia diversa, fondata sulla convinzione che il continente rappresenti uno snodo fondamentale nell’assetto geopolitico del futuro. 

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La strategia di Pechino

La Cina non interferisce negli affari politici interni degli Stati, appoggiando qualsiasi dittatore che prenda il potere, a patto che difenda gli interessi in loco di Pechino

I primi a muoversi sono stati i cinesi, che nel Duemila hanno organizzato il Forum on China Africa Cooperation (Focac), poi replicato con cadenza triennale. A differenza della Russia e della Turchia, la politica estera cinese non è caratterizzata da un uomo chiave come Vladimir Putin o Recep Erdogan, ma da un partito: il Partito comunista cinese guidato da Xi Jinping, l’uomo che ha rilanciato il marchio del Paese in tutto il globo. Per Pechino il continente africano è un obiettivo commerciale primario, sia in termini di risorse naturali sia come nuovo mercato per vendere i propri prodotti. Negli ultimi quindici anni – secondo uno studio del China Africa research initiative – gli investimenti sono cresciuti in maniera costante, passando da 75 milioni di dollari nel 2003 ai 254 miliardi nel 2021. L’Africa ha invece esportato 105,9 miliardi di dollari di merci in Cina, un valore in crescita del 43,7 per cento rispetto al biennio precedente. Pechino utilizza una strategia commerciale tutt’altro che aggressiva, facendo camminare di pari passo la conquista di fette di mercato con grandi investimenti strutturali. Un approccio di lungo termine e del tutto nuovo rispetto a quello utilizzato dalle potenze del passato, pensato in funzione di un progetto “madre”, vale a dire il potenziamento della Via della Seta (One Belt, One Road), che coinvolge tutta la costa dell’Africa orientale e si allarga a macchia d’olio a metà continente. La Cina ha dalla sua un altro vantaggio rispetto agli occidentali: non interferisce negli affari politici interni degli Stati, appoggiando qualsiasi dittatore che prenda il potere, a patto che difenda gli interessi in loco di Pechino. 

Ritorno al passato

La corsa all’Africa della Russia rinasce con l’ascesa di Vladimir Putin, che dalla metà degli anni Duemila è tornato a concentrarsi sui vecchi obiettivi sovietici.

La corsa all’Africa della Russia rinasce, invece, con l’ascesa di Vladimir Putin, che dalla metà degli anni Duemila è tornato a concentrarsi sui vecchi obiettivi sovietici. L’approccio è completamente diverso rispetto a quello cinese e punta allo scontro diretto con ciò che rimane del potere europeo in Africa, specificatamente con la Francia. Mosca utilizza il commercio delle armi (di cui è il primo importatore nel continente) e l’addestramento delle truppe per ottenere in cambio benefici e corsie preferenziali. In Sudan, il Cremlino ha difeso il presidente Bashir, ricercato dalla Corte penale internazionale, in cambio del controllo delle miniere e della promessa di un porto sul Mar Rosso. Nella Repubblica centrafricana e in Libia, Mosca utilizza il suo braccio armato ufficioso – il Wagner group, una compagnia militare privata – per ottenere il controllo dello Stato. In Libia le cose non sono andate per il verso giusto con la marcia del generale Haftar sulla capitale Tripoli, mentre in Centrafrica un gruppo di mercenari protegge il presidente in carica, in cambio del controllo delle miniere di oro e diamanti. La Russia negli ultimi mesi ha esteso il suo dominio anche a Mali, Guinea e Burkina Faso, orchestrando tre colpi di stato perfettamente riusciti e scalzando la Francia da una fetta d’Africa che riteneva sua. Putin fa leva sul sentimento anti-colonialista delle popolazioni locali e addestra una nuova generazione di militari che scalpita per prendere il potere e consegnarlo ai russi. Nel frattempo la Francia, dopo il fallimento delle operazioni militari nel Sahel contro gli jihadisti, ha dovuto ritirare i soldati dal Mali, dove la popolazione locale ha manifestato sventolando bandiere russe. Per Putin l’Africa è un affare colossale – a livello economico e geopolitico – che sta dando i suoi frutti. Non a caso alle Nazioni unite diciassette stati africani non hanno condannato l’invasione dell’Ucraina e altri sei hanno preferito astenersi dal voto, per evitare ogni tipo di imbarazzo. 

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Questione di fede

Come in Russia, anche le nuove mire della Turchia hanno un nome e un cognome: Recep Erdogan. La politica estera del premier è concentrata sul continente africano con l’idea di rinverdire i fasti dell’impero Ottomano. La Turchia ha investito molto in infrastrutture, soprattutto in Africa Orientale, puntando al controllo del Mar Rosso come grande via di comunicazione e commercio. Ankara, inoltre, ha utilizzato l’Islam come grimaldello per avvicinare le popolazioni musulmane del continente, costruendo moschee, scuole coraniche e centri di aggregazione dove crescere dei “fedelissimi”. Naturalmente, i turchi non disdegnano la mano forte come avvenuto in Somalia, dove hanno creato una forza militare in grado di sostenere il barcollante governo di Mogadiscio, oppure in Libia, dove se il Governo di unità nazionale riconosciuto dalle Nazioni unite esiste ancora è solo grazie ai militari turchi schierati sul campo, a difesa dall’attacco dei miliziani armati e organizzati dai russi. 

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La Turchia ha utilizzato l’Islam come grimaldello per avvicinare le popolazioni musulmane del continente

Un gioco molto complesso e articolato quello africano, che vede questi tre giganti agire in modo differente (e anche concorrenziale) ma mai in aperto conflitto, a eccezione di quanto avvenuto in Libia. Cina e Russia organizzano anche esercitazioni militari congiunte, mentre la Turchia, conscia dei propri limiti rispetto ai due avversari, si muove di conseguenza. Nel frattempo in Africa si fanno notare anche Israele, che vende sicurezza e tecnologia nel campo dell’agricoltura, e i Paesi del Golfo, che allungano le mani sul Corno d’Africa. L’India pensa di utilizzare la propria diaspora per aprire canali commerciali, mentre gli Stati Uniti restano fuori per una scelta di politica estera, che la nuova amministrazione Biden sta cercando di cambiare. Infine l’Europa, che si presenta come una sorta di nano politico, continua ad agire esclusivamente a livello di singolo Stato e vede ridurre sempre di più la sua influenza. 

La corsa dei coloni

In passato, le potenze coloniali del Vecchio continente fecero a gara per spartirsi le coste africane e fu necessaria una conferenza organizzata a Berlino, alla fine dell’Ottocento, per evitare lo scontro fra Gran Bretagna, Francia e impero tedesco, culminata con la creazione dell’enorme stato-cuscinetto del Congo belga, finalizzata a evitare qualsiasi contatto diretto fra le superpotenze dell’epoca. Il dominio europeo sull’Africa terminò ufficialmente negli anni Sessanta del secolo scorso, quando uno dopo l’altro tutti i Paesi ottennero l’indipendenza, almeno sulla carta. La Gran Bretagna, infatti, inserì nel Commonwealth la maggior parte delle ex colonie, continuando ad avere rapporti economici e politici strettissimi. La Francia fece di peggio, creando due entità economiche per il controllo dell’ex impero coloniale: la Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale e l’Unione economica e monetaria dell’Africa dell’Ovest, due organizzazioni legate da una moneta unica, il Franco dell’Africa Occidentale. La stabilità economica di questa moneta è garantita dal Tesoro di Parigi, che la stampa e distribuisce, tutto in cambio delle materie prime dei Paesi coinvolti e di un controllo economico e politico serratissimo. Un sistema collaudato e articolato quello europeo, non scalfito neppure dall’inserimento degli Stati Uniti, che avevano preso piede in Africa con basi militari e investimenti. Al crollo del primo sistema coloniale europeo erano comparsi nuovi attori che avevano appoggiato i Paesi emergenti, puntellando governi politicamente a loro favorevoli. L’Unione Sovietica e la Repubblica popolare cinese avevano finanziato a piene mani tutti i governi “socialisteggianti” degli anni Sessanta e Settanta, cercando di creare una base nel continente africano. Alcuni avevano avuto successo, come l’Etiopia dello "Stalin nero" Hailè Mariam Menghistu o l’Angola di Agostino Neto, ma al crollo dell’impero sovietico i russi decisero di abbandonare il palcoscenico. Adesso, però, i tempi sembrano essere cambiati e nel Risiko di Putin l’Africa torna a essere una pedina fondamentale.

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