12 gennaio 2022
Otto persone sono state uccise domenica notte da uomini armati in un villaggio nel territorio di Beni, nell’est della Repubblica democratica del Congo (Rdc). Lo riferisce la stampa locale citando le autorità locali. Nello stesso territorio di Beni, i ribelli delle Forze democratiche alleate (Adf), un gruppo armato di origine ugandese, hanno assediato il villaggio di Kazaraho nelle prime ore del primo giorno dell’anno.
Questa notizia, apparsa solo un paio di settimane fa nelle agenzie stampa internazionali, è tra le più comuni per quanto riguarda la regione est della Repubblica democratica del Congo. A variare sono solitamente i numeri che nell’insieme al terminare dell’anno sembrano descrivere un Paese in perenne conflitto. Al conflitto, poi, si aggiunge anche la cleptocrazia: Radio France Internationale, insieme a De Standard, Le Soir, Der Spiegel, Bloomberg, Bbc Africa Eye con l’inchiesta congiunta Congo Hold-up hanno rivelato come 138 milioni di dollari prelevati dalla casse dello Stato tra il 2013 e il 2018 siano divenuti una sorte di “tassa Kabila” (dal nome dell’ex presidente del Paese, Joseph Kabila) con la complicità di una banca commerciale e di una società-schermo. Nell’affare, sostengono i media, sono implicate la società dei trasporti e dei porti, i fondi per la manutenzione delle strade e la società mineraria Gecamines. Ancora una volta, un’inchiesta rivela il malgoverno, il sistema cleptocratico e la corruzione di un Paese che tuttavia non si arrende.
Lo dimostrano i delegati della Repubblica democratica del Congo all’iniziativa Last20, progetto che vuole rappresentare i venti paesi più “impoveriti” del nostro pianeta, promosso da Fondazione Terre des Hommes Italia, Fondazione Casa della Carità, Associazione Laudato si’, Associazione East River e Itinerari turistico-religiosi interculturali accessibili (Itria). Al loro impegno si aggiunge anche Libera contro le mafie che con il rinnovato impegno in Africa Sub Sahariana (già in rete con realtà provenienti da quindici paesi del continente) inserisce la Repubblica democratica del Congo in una campagna che, nei prossimi mesi del 2022, vuole dare risalto a realtà e movimenti sociali come alternativa concreta di pace e giustizia contro corruzione, violenza armata e inumana.
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Testo a cura dei delegati congolesi a Last20
I sopravvissuti hanno abbandonato i loro campi, mentre gli assassini hanno gradualmente occupato le aree abbandonate e utilizzato le coltivazioni. Questo indica chiaramente un certo (chiaro) desiderio e disegno di occupare la loro terra
L'uomo non ha imparato nulla dalla Prima e, purtroppo, nemmeno dalla Seconda guerra mondiale. Illuso è chiunque pensi il contrario. Nemmeno Auschwitz è servito a far capire al mondo il senso del limite: la storia si ripete. Con una intollerabile indifferenza legata al tempo e al complice silenzio: più di 20 anni di genocidio eseguito materialmente da alcuni paesi membri delle Nazioni unite confinanti la Rdc, complici le autorità locali. Nella Repubblica democratica del Congo si sta consumando un’uccisione di massa della popolazione, un vero genocidio, con l’occupazione delle terre e la sostituzione degli autoctoni con dei soggetti Tutsi dal Ruanda e dall’Uganda. I popoli Nande e Fuliro all’Est del Congo, i Luba de Kamuena Nsapu in Centro, i Kongo di Bundu dia Kongo a Ovest e milioni di altre persone attraverso la nazione hanno perso la vita: fosse comuni, omicidi, rapimenti, avvelenamenti. Dietro a una situazione volutamente opacizzata, ma chiara nel numero di morti che miete. La popolazione Nande, ad esempio, è arrivata a una progressiva decimazione per crimini perpetrati contro di essa, fino a totalizzare la morte del 95 per cento della comunità – prima del 1996, data dell’inizio della guerra – come evidenziato dal recente rapporto Yotama (sul massacro dei Beni e degli Irumu). Dall’inizio dei massacri i sopravvissuti indigeni hanno abbandonato i loro campi, mentre gli assassini hanno gradualmente occupato le aree abbandonate e utilizzato le coltivazioni. Questo indica chiaramente un certo (chiaro) desiderio e disegno di occupare la loro terra.
L’olocausto che subisce il popolo congolese da più di vent’anni continua a mietere vittime. Il primo a denunciare l’inferno che si preparava ad abbattersi su donne, bambini e uomini in Congo era Monsignor Christophe Munzihirwa, arcivescovo di Bukavu, assassinato il 29 ottobre 1996, da lì in poi solo numeri da capogiro nella tristissima e angosciante contabilità della morte congolese. Nella sola notte del 13 novembre 2021 sono state decapitate 60 persone nei villaggi di Kisunga e Kamwanga del territorio di Beni all’Est. Tutti questi crimini avvengono sotto gli occhi di un testimone privilegiato, l'Onu, tramite la sua “Missione per la pace in Congo” (Monusco). Gli esperti delle stesse Nazioni unite hanno realizzato dei resoconti dettagliati dei crimini di guerra contro l’umanità che tra il 1993 e il 2003 avevano causato la morte di circa sei milioni di persone e centinaia di migliaia di sfollati. Si tratta del Rapporto Mapping (tradotto in italiano) pubblicato il 1° ottobre 2010: in più di seicento pagine denuncia ben 617 casi di violazioni gravi dei diritti umani e dei diritti internazionali umanitari e 700 massacri, classificati come crimini di guerra, crimini contro l’umanità e alcuni come crimini di genocidio. Mettere in pratica le indicazioni del rapporto avrebbe potuto fermare i criminali e loro complici e risparmiare la vita a milioni di persone, soprattutto perché il rapporto Mapping è comprensivo di una lista (tenuta ovviamente segreta) di nomi di tutti i responsabili. A dieci anni dalla pubblicazione del Rapporto Mapping le violenze perpetrate contro la popolazione non sono ancora cessate e il numero delle vittime inermi è più che raddoppiato: oltre 12 milioni di congolesi assassinati.
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La Rdc è diventata una terra di nessuno dove sono concessi omicidi, atrocità e sperimenti (...) al prezzo del sangue del popolo autoctono
Nel mese di dicembre 2013 Antonio Mazzeo scriveva su Scomunicando: “I droni-spia sorvolano dal 3 dicembre scorso la regione orientale del Nord Kivu, al confine con il Ruanda, per 'monitorare' i movimenti dei gruppi armati antigovernativi e gli spostamenti delle popolazioni civili”. Il “Falco” – un aereo di produzione italiana presso lo stabilimento di Selex ES di Ronchi dei Legionari (Gorizia) a pilotaggio remoto in grado di volare a medie altitudini – ha un raggio di azione di 250 km, un’autonomia superiore alle 12 ore di volo e può trasportare carichi differenti, tra cui sensori radar ad alta risoluzione che consentono di individuare, di giorno e di notte, obiettivi in tempo reale e a notevole distanza.
Per questa operazione Hervé Ladsous, responsabile Onu per le operazioni di peacekeeping dell’epoca affermava: “Useremo queste macchine disarmate e senza equipaggio nella convinzione del loro forte effetto deterrente (...). Abbiamo bisogno di avere un quadro più preciso di quanto sta succedendo nella Repubblica democratica del Congo e se l’uso dei droni avrà successo, potrebbero essere utilizzati anche in altre missioni di pace dell’Onu”. Queste affermazioni dimostrano quanto la Repubblica democratica del Congo sia diventata una terra di nessuno dove sono concessi omicidi, atrocità ed esperimenti, tra l’industria di armamenti e terreno dei mercenari pilotati a distanza, proprio come i droni-spia, al prezzo del sangue del popolo autoctono.
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Chi arma le 122 fazioni di ribelli? Cambiano i nomi, si avvistano continuamente loschi personaggi che attraversano le frontiere in provenienza dai paesi confinanti, soprattutto dal Ruanda e dall’Uganda. Tutto questo senza nessuna reazione delle autorità locali di oggi, così come di quelle precedenti. Come scriveva Ermes Ronchi: “Dio non è neutrale e nemmeno la sua pace”. Oggi, come ieri, siamo allineati all’appello di Denis Mukwege, premio Nobel per la Pace 2018 che, oltre a chiedere riparazione e ripristino della dignità alle vittime del genocidio congolese, insiste sull'attuazione delle misure proposte nel Rapporto Mapping, senza la quale la pace non sarà possibile in Congo. Senza la meritata punizione degli autori dei crimini di guerra attraverso l'istituzione di un tribunale internazionale. Bisogna mettere fine all'impunità, alla guerra e ai tradimenti.
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