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17 giugno 2025
L’8 giugno 2025 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha preso il controllo di 2mila soldati della Guardia nazionale californiana – un esercito di riservisti controllati dai singoli Stati – per sedare le proteste scoppiate a Los Angeles contro la deportazione di immigrati ordinata da Washington. La decisione ha aperto uno scontro sui limiti del potere presidenziale con il governatore democratico della California Gavin Newsom, che per legge ha il controllo delle truppe. Di norma, infatti, la Guardia nazionale risponde agli ordini dei governatori dei singoli Stati federali.
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Secondo Tom Homan, funzionario dell'immigrazione e commentatore politico per Fox News, soprannominato lo “zar delle frontiere”, se le proteste dovessero diffondersi nel resto del Paese, Trump potrebbe dispiegare l’esercito in altre città. Ne abbiamo parlato con il professore di Storia internazionale all’Università Sciences Po di Parigi Mario Del Pero, che segue da vicino le vicende d’Oltreoceano. “Abbiamo visto diversi elementi funzionali a un progetto di Trump che non esito a definire autoritario, di profondo rafforzamento delle prerogative dei poteri e delle competenze dell'esecutivo a dispetto degli altri rami di governo, ma anche di affermazione del primato federale che contribuisce a sua volta a rafforzare l'esecutivo”. “Trump – continua Del Pero – vuole portare lo scontro su un terreno dove è più popolare, quello dell’immigrazione irregolare, rispetto ad altre questioni come le politiche commerciali o la legge di bilancio ancora in discussione al Congresso, decisamente più scivolose. Un'azione draconiana che prevede controlli più rigorosi alla frontiera e l’espulsione di immigrati regolari, azioni che soddisfano l’elettorato del presidente”.
Qual è nel dettaglio la strategia di Trump sul tema immigrazione?
Il presidente porta avanti una politica aggressiva di rastrellamenti, arresti ed espulsioni, e il tutto avviene in modo molto discrezionale e arbitrario. Le persone che cadono in queste retate non hanno il diritto di fare appello o ricorso, vengono subito trasferite in carceri dell'Immigration and customs enforcement (Ice), l'Agenzia federale controllata dal Dipartimento di sicurezza, quindi la diplomazia americana cerca di negoziare con i paesi di origine o con paesi terzi la loro espulsione. Un processo complicato e non velocissimo, tanto da generare frustrazione nel presidente e nel suo consigliere Stephen Miller, che ha chiesto all'Ice di velocizzare le pratiche. Miller, in particolare, punta a ottenere almeno 3mila arresti ed espulsioni al giorno, questo spiega come mai nelle ultime settimane abbiamo assistito a una escalation.
"Il presidente porta avanti una politica aggressiva di rastrellamenti, arresti ed espulsioni, e il tutto avviene in modo molto discrezionale e arbitrario"
Chi sono gli arrestati?
Al pari di milioni di persone che vivono negli Usa, non hanno uno status regolare, ma questo non significa che sono membri di gang criminali. Spesso sono persone occupate in servizi a bassa qualifica e a basso reddito. Le retate avvengono sui luoghi di lavoro: supermercati, pompe di benzina, autolavaggi, ristoranti. La sensazione è che si cerchi deliberatamente di colpire roccaforti democratiche, come è accaduto a Los Angeles. Hanno arrestato dei genitori alla cerimonia di diploma o fuori dalle scuole dei figli, sono state colpite persone che magari stavano cercando di regolarizzare il loro status o altre che non c’entravano nulla, perché agendo in questo modo è inevitabile fare degli errori.
Pensa sia stato questo “metodo” a generare le proteste a Los Angeles?
Esattamente. In alcuni quartieri le persone si sono ribellate, hanno protestato davanti all'ufficio federale dell'Ice e cercato di bloccare i rastrellamenti, è stata una forma di resistenza civile. Ci sono stati degli atti di vandalismo, qualche violenza condannabile, ma molto meno di quel che succede in una città americana quando si festeggia un successo sportivo. Trump e i suoi hanno strumentalizzato la vicenda e trovato il pretesto per federalizzare la Guardia nazionale. Anche nel 1965, in Alabama, il presidente di allora (Lyndon B. Johnson ndr) aveva schierato l’esercito di riservisti, ma quella volta era servito per proteggere i manifestanti di Montgomery, che protestavano per i diritti civili e contro la violenza delle forze statali di polizia municipale.
In alcuni quartieri di Los Angeles le persone si sono ribellate, hanno cercato di bloccare i rastrellamenti, è stata una forma di resistenza civile
Perché Trump a Los Angeles ha deciso di reprimere il dissenso?
Il presidente vuole imporre la forza del governo federale su quello statale, nel caso specifico della California. L’azione, più che mantenere l'ordine pubblico, serve a veicolare un chiaro messaggio al suo elettorato: c’è un governo federale che rimette ordine dentro spazi urbani multirazziali disordinati per definizione. A Los Angeles circa metà della popolazione si dichiara ispanica; la maggior parte sono immigrati regolari ma c'è anche un numero di irregolari. I bianchi sono poco più del 25 per cento. La California democratica, libera, anti Trump è un'area urbana metropolitana invisa, se non odiata, da una maggioranza della popolazione extraurbana rurale bianca che vota il presidente, quindi a Trump fa gioco inserire i disordini dentro una caratterizzazione apocalittica e distopica. Città sopraffatte da ‘animali’, come dice lui, è un modo per raccontare gli ‘altri’: stranieri, ispanici, neri. Razza, etnia, lingua e nazionalità definiscono gli ‘altri’, che contaminano il sangue dell'America, come detto in campagna elettorale. Nella narrazione del presidente Los Angeles diventa l’esempio di un'America travolta da queste dinamiche migratorie che creano violenza, disordine, che inquinano il corpo sano del Paese.
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Quindi c’entra anche il razzismo?
Nel racconto trumpiano è un elemento centrale, ma se andiamo a vedere il tasso di omicidi a Los Angeles e in California in realtà è calato. Il paradosso è che con la crescita di migranti irregolari c'è stato un calo dei reati violenti: in trent'anni gli omicidi in California si sono più che dimezzati, oggi sono meno di un terzo di quelli che si verificano in Alabama o in Mississippi. Riguardo alle vittime di overdose da oppiacei, nella contea di Los Angeles sono circa un quinto di quelli registrati in alcune contee della West Virginia o del Kentucky. Los Angeles è una città che ha sicuramente dei problemi, ma i numeri hanno già smentito Trump.
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