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12 maggio 2025
Il Ruanda si conferma uno scaltro giocatore sul terreno della geopolitica, come dimostra l’apertura al trasferimento di migranti dagli Stati Uniti. Durante una conferenza stampa trasmessa dalla televisione nazionale, il ministro degli Esteri Olivier Nduhungirehe, pur spiegando che i colloqui con Washington sono ancora alle fasi iniziali, ha confermato la piena disponibilità del governo ad accogliere persone deportate dagli Stati Uniti.
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Il ministro non ha rivelato i dettagli del potenziale accordo, ma precedenti resoconti dei media locali suggeriscono che gli Stati Uniti potrebbero finanziare un programma per integrare i migranti nella società attraverso borse di studio e iniziative di assistenza occupazionale. Nduhungirehe ha aggiunto che l’accordo sarebbe coerente con l'impegno di lunga data del Ruanda nei confronti della cooperazione umanitaria e della ricerca di soluzioni alla migrazione. Parole di circostanza che, in linea con la linea politica del presidente della repubblica ruandese Paul Kagame, puntano in realtà ad aprire un canale preferenziale con la nuova amministrazione guidata da Donald Trump.
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Nel frattempo, Washington è impegnata nel portare avanti un piano di pace tra Ruanda e Congo, da decenni coinvolti in un conflitto sanguinario. L’accordo preliminare è stato firmato il 2 maggio e adesso non resta che definire una road map che in sessanta giorni dovrebbe portare al definitivo cessate il fuoco. L’intercessione americana non è a fondo perduto: negli ultimi anni il Congo ha firmato diversi accordi commerciali con la Cina, mettendo a disposizione di Pechino il suo enorme patrimonio minerario composto da coltan, cobalto, litio, terre rare, diamanti e oro, il che ha irritato, e non poco, gli Stati Uniti.
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“Questa regione è ricca di miniere di oro e argento gestite illegalmente dalle aziende cinesi – spiega don Davide Marcheselli, missionario a Kitutu, nel Kivu meridionale –. Il governo di Kinshasa (la capitale del Congo ndr) ha dato il via libera ai cercatori d’oro provenienti da Pechino, ma ora sembra che li vogliano cacciare via. Resta da capire come il presidente congolese FelixTshisekedi riuscirà a rompere gli accordi siglati con la Cina, che da anni ha in mano le preziose risorse del Paese. Mi meraviglia, inoltre, che i miliziani del M23 non siano coinvolti nei colloqui di pace: in Congo è già successo che i membri di un movimento, insoddisfatti degli accordi presi, diano vita a un nuovo gruppo”.
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Nei mesi scorsi sono arrivati in Ruanda i primi migranti allontanati dagli Usa: si tratta di cittadini iracheni sospettati anche da Bagdad di essere vicini allo Stato Islamico, il network del terrorismo internazionale rinato proprio in Africa. Washington ha aperto un canale anche con il piccolo paese centramericano di El Salvador, che dietro alla promessa di cancellazione di una parte del suo debito avrebbe già messo a disposizione una serie di strutture detentive.
Washington ha aperto un canale anche con il piccolo paese centramericano di El Salvador, che dietro alla promessa di cancellazione di una parte del debito avrebbe già messo a disposizione delle strutture detentive
Insieme al governo salvadoregno anche Panama e Costa Rica stanno valutando la ricollocazione di migranti provenienti soprattutto dall’America meridionale, ma ad oggi non sono stati firmati accordi. È stata, invece, smentita la notizia secondo cui la Libia si sarebbe resa disponibile ad accogliere gli “indesiderati” degli Stati Uniti, con Tripoli che ha ufficialmente negato di avere aperto un canale di comunicazione su questo tema.
La deportazione in paesi terzi non è una novità. Nel 2013 Israele è stata la prima nazione ad applicare il modello, grazie a un accordo con Ruanda e Uganda che prevedeva il trasferimento dei profughi eritrei e sudanesi nei due Paesi. Con l’Uganda l’accordo non ebbe alcun seguito, mentre quello con il governo ruandese inizialmente funzionò. Israele giocò la carta dei rimpatri volontari in cambio di piccoli risarcimenti, ma i migranti che accettarono il trasferimento furono numericamente esigui, tant’è che l’esperienza venne definitivamente accantonata.
Nel 2015 ci provò l’Australia, appoggiandosi sull’isola di Nauru e sulla Papua Nuova Guinea, ma anche in questo caso il progetto ebbe vita breve, travolto dalle polemiche e dai ricorsi giudiziari. Gli australiani avevano deciso di dividere gli uomini dalle donne, inviando i primi a Manus, un’isoletta della Papua Nuova Guinea, e le seconde nell’atollo sperduto di Nauru. La Conferenza episcopale della Nuova Guinea protestò per le condizioni in cui vivevano i rifugiati, abbandonati senza cure mediche e senza garanzie di sicurezza.
Centri migranti in Albania: tutte le falle del piano Meloni
Nonostante questi fallimenti, anche l’Europa ha tentato di utilizzare paesi “esterni” per risolvere la questione migranti. Nel 2022 la Gran Bretagna, guidata dal conservatore Boris Johnson, scelse ancora una volta il Ruanda, spostando alcune decine di persone all’interno del paese africano. Pochi mesi dopo, la pratica venne bloccata dalla magistratura britannica, che definì l’accordo illegale.
Sempre nel 2022 il governo socialdemocratico della Danimarca firmò un contratto con il Ruanda per trasferire nei centri di accoglienza tutte le persone richiedenti asilo durante il periodo di elaborazione delle loro richieste, ma anche Copenaghen presto fu costretta a tornare sui suoi passi. In Germania, il commissario tedesco per l’Immigrazione, Joachim Stamp, ha parlato di trasferire in Africa almeno 10mila migranti all’anno, ma al momento non c’è nulla di concreto.
Tutti i nodi dell'accordo Italia-Albania sui migranti
Diverso il discorso in Italia, che ha siglato un accordo per l’apertura di due centri in Albania, nelle località di Shengjin e di Gjader, dove destinare i migranti intercettati nel Mediterraneo. Il primo è nato come hotspot dedicato all’identificazione, mentre il secondo ospita un centro di trattenimento per richiedenti asilo (880 posti), un centro di permanenza per il rimpatrio (144 posti) e un penitenziario (20 posti). Il tentativo italiano, che ha attirato l’attenzione del primo ministro laburista inglese Keir Starmer, si inserisce nella serie di insuccessi che hanno costellato questi esperimenti in giro per il mondo. Il tribunale di Roma ha, infatti, disposto il rientro in Italia dei migranti portati in Albania, definendo i loro paesi di origine “non sicuri”.
Il governo italiano ha corretto il tiro cambiando ”la destinazione d'uso” dei centri albanesi, divenuti Cpr (Centri di permanenza per il rimpatrio). E quindi, non più luoghi per i migranti intercettati nelle acque internazionali, ma per gli irregolari già presenti in Italia. Lo scorso marzo, un portavoce della Commissione europea ha spiegato che il decreto italiano è in linea con la normativa comunitaria, aggiungendo che la legge nazionale italiana si applicherà ai centri, come finora per l'asilo.
La Commissione europea ha stilato una nuova lista dei paesi sicuri. Con l’ok del Consiglio e del Parlamento Ue, i migranti provenienti da questi luoghi potranno essere rimpatriati più velocemente
Intanto ad aprile la stessa Commissione ha stilato una nuova lista di paesi “sicuri” per i rimpatri, che comprende Tunisia, Egitto, Marocco, Colombia, Kosovo e, soprattutto, Bangladesh, il paese con i numeri migratori più alti verso l’Italia. Qualora la proposta diverrà operativa – è necessario l’ok del Consiglio Ue e del Parlamento europeo – i migranti provenienti da questi paesi avranno più difficoltà a ottenere l’asilo politico negli Stati Ue e, di conseguenza, potranno essere rimpatriati in tempi brevi.
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