29 febbraio 2024
L’Africa non è un vaso vuoto da riempire. La critica del presidente della commissione dell’Unione africana Moussa Faki Mahamat, intervenuto durante la Conferenza Italia-Africa del 29 gennaio scorso a Roma, lo ribadisce con orgoglio: "Sul piano Mattei ci sarebbe piaciuto essere consultati prima – ha detto Moussa Faki rivolgendosi al governo Meloni –, l’Africa non vuole tendere la mano, non siamo mendicanti". Anche l’assenza dal summit di leader importanti, come il presidente nigeriano Bola Tinubu, che ha scelto di disertare l’appuntamento per restare in vacanza a Parigi, solleva interrogativi sull’evoluzione dei rapporti tra il Continente e l’Europa.
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"È cambiato molto nei rapporti tra Africa e mondo – spiega Francesco Strazzari, politologo esperto in relazioni internazionali –. Lo sguardo che riflette l’abitudine di origine coloniale a considerare quel continente come uno scacchiere passivo è obsoleto. Si continua a leggerlo come un territorio distante, remoto, esotico, in cui usufruire di risorse contribuendo ad avviare alcuni processi di sviluppo, ma sostanzialmente incapace di agency, ossia di avere iniziativa". Invece in Africa c’è anche politica. "Le politiche dei paesi africani. Certo persistono delle forti differenze; se parliamo di Nigeria, Etiopia, Algeria, Sudafrica o Somalia ci riferiamo a situazioni completamente diverse l’una dall’altra. Ma non vedere che queste nazioni esprimono propri interessi diversificati significa condannarsi alla miopia".
Strazzari, anche sulle guerre russo-ucraina e israelo-palestinese alcuni paesi africani hanno mantenuto posizioni “non allineate” rispetto al blocco occidentale. Come interpretare queste scelte?
"Le leadership si sono chieste perché i conflitti africani, come quelli in Sudan dove ci sono sette milioni di profughi, non destano la medesima reazione politica"
Nel Sud del mondo, e in Africa in modo più conclamato, si avverte forte l’insofferenza per la richiesta continua e pressante di allinearsi a una visione del mondo che predica principi universali, ma che poi spesso si piega dinanzi a obiettivi politici e interessi parziali. I popoli africani e le loro leadership tendono a vedere nel sostegno di Israele da parte dell’Occidente l’esempio più conclamato di questo doppio standard. Il Sudafrica ha fatto un passo avanti, portando Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia (Cig) e appellandosi alle regole sottoscritte dagli stessi paesi occidentali. Le stesse ragioni hanno prevalso sul caso dell’Ucraina.
La gran parte dei leader africani si è allineato con il resto del mondo quando si è trattato di votare in sede di Nazioni unite attorno al tema dell’intangibilità dello spazio nazionale, ma si è disallineato sul principio della violazione dei diritti fondamentali connessi all’invasione russa. Le leadership si sono chieste perché i conflitti africani, come quelli in Sudan dove ci sono sette milioni di profughi, non destano la medesima reazione politica. Quando vediamo che gli Stati Uniti non riescono a influire sulla presidenza del Ruanda di Paul Kagame, candidato per la quarta volta alle elezioni nonostante le pressioni di Washington, allora ci rendiamo conto della difficile capacità di influenza sul corso della politica africana, fino a qualche tempo fa considerata indiscussa.
Kagame è probabilmente uno dei più grandi accusatori dell’“ipocrisia” occidentale. Un argomento reale, che però si presta anche a usi strumentali.
La retorica anticoloniale è forte e monta anche da una certa sinistra africana, in chiave di liberazione nazionale. Più in generale, le leadership africane sono sempre più propense a scegliere forme di partenariato ritenute convenienti con paesi privi di una storia di colonialismo diretto. È qui, ad esempio, che si apre lo spazio per la Russia, che ha poco da offrire dal punto di vista umanitario ed economico, molto sul piano delle soluzioni militari. A partire dal caso della Repubblica centrafricana, dove le presenze militari russe sono state usate per consolidare il controllo degli apparati di governo contro le opposizioni, prima che contro le formazioni islamiste e radicali. Queste scelte sono accompagnate dalla retorica secondo cui la Russia non avrebbe un passato coloniale, un assunto storicamente molto criticabile.
Ci spieghi meglio.
"Come la Russia e la Cina, anche la Turchia ha un passato imperiale. Eppure questi tre paesi vengono percepiti come elementi di liberazione"
Nella sua fase imperiale la Russia ha provato ad avere un appiglio coloniale in Africa, e continua ad avere una spinta imperialista che si è recentemente tradotta nell’invasione dell’Ucraina. Al pari la Turchia, che sta aprendo ambasciate in tutti i 54 paesi del continente ed è presente in numerosi investimenti infrastrutturali. Come la Russia e la Cina, anche la Turchia ha un passato imperiale. Eppure questi tre paesi vengono percepiti come elementi di liberazione rispetto al nefasto e oppressivo calcolo occidentale. La loro presenza offre alternative rispetto all’unico schema di gioco precedente. Non ultimo, conta il fatto che il mondo liberal-democratico occidentale tende a produrre rapporti di lungo termine, con socializzazione di norme e principi, adesione a un ordine internazionale tessuto di fondi monetari e banche mondiali. Mentre i paesi a più recente vocazione africana offrono relazioni, opportunità e investimenti da cogliere a breve termine.
Quanto pesa su queste scelte il desiderio di crescere economicamente?
Alcuni paesi africani stanno provando ad avviare percorsi che li proiettino velocemente in avanti; e dove è maggiore l’impegno su settori ad alta innovazione, con la realizzazione di linee ad alta velocità, digitalizzazione, infrastrutture portuali ad alto controllo tecnologico, si scelgono anche partnership internazionali che favoriscono questo tipo di sviluppo. Come quelle cinesi.
L’Europa si sta attrezzando in modo adeguato nei confronti di queste trasformazioni?
"È una follia pensare che quello di venire in Europa sia un sogno comune"
L’ultimo summit Europa-Africa è andato molto male. I rapporti sono avvelenati dalla questione migratoria, che resta il punto nodale del rapporto tra i due continenti. L’Europa tende a rappresentare l’Africa come una bomba demografica, pronta a invadere i nostri confini, quindi da gestire attraverso meccanismi di controllo e di sicurezza. Ma si tratta di una lettura falsa. La mobilità della forza lavoro nel continente africano è in larga parte legata a migrazioni regionali e stagionali, e resta interna al continente. È una follia pensare che quello di venire in Europa sia un sogno comune: continuare a interpretare il presente attraverso questo schema fobico alimenta politiche di contenimento e oppressione che impediscono alle persone di circolare in risposta a esigenze legate ai cambiamenti climatici, alla necessità di curarsi o di studiare. Militarizzare questa mobilità naturale delle popolazioni genera circuiti illegali e costi umani molto alti, di cui i paesi africani sono consapevoli. Perciò non vogliono più partecipare a un tavolo che non gli appartiene.
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