
Referendum 8 e 9 giugno, come votare da fuorisede e i quesiti

1 maggio 2025
Il vento politico che spira negli Stati Uniti prima o dopo toccherà anche l’Europa: in Italia già si avverte quell’aria maleodorante. L’allarme per la torsione autoritaria a opera della diarchia Trump-Musk – l’alleanza tra l’uomo più potente e quello più ricco al mondo – rischia però di oscurare un altro lato sinistro del loro operato. È un tratto coerente con il loro stile “patrimonialista” di governo, un approccio incline a trattare l’apparato statale come strumento nella loro piena disponibilità, utile soprattutto a soddisfare interessi personali.
Dopo il ritorno al potere di Trump, una raffica di decreti presidenziali ha avviato lo smantellamento dei principali presidi anticorruzione. A febbraio la sua amministrazione ha sancito la non applicabilità delle norme contro l’influenza di interessi economici stranieri, così azzerando i rischi legali per quelle aziende – guarda caso, come la sua Trump Organization – che si interfacciano indebitamente con imprese di altri paesi per strappare condizioni commerciali vantaggiose.
Di lì a poco è stata sospesa l’applicazione della legge sulla corruzione di funzionari esteri, il Corrupt foreign practices act del 1977, ispiratrice della convenzione Ocse grazie alla quale norme analoghe sono state introdotte in tutti i paesi democratici industrializzati, in Italia dal 2000. Un “liberi tutti” alla corruzione internazionale sintetizzabile in Make America corrupting again: le transazioni sottobanco con funzionari governativi esteri delle imprese della galassia trumpiana saranno così invulnerabili alla repressione giudiziaria. Non solo: il presidente può deliberare a suo arbitrio l’applicazione selettiva di quelle disposizioni oggi sospese, acquisendo un invisibile potere di pressione e di ricatto verso tutti gli operatori sospettati di agire disinvoltamente all’estero.
Multinazionali esportatrici di corruzione
Fedele al suo tormentone televisivo "You are fired!", il neo-presidente ha poi licenziato senza alcuna motivazione il capo dell’ufficio etico del governo, un’agenzia indipendente incaricata di vigilare sulle norme anticorruzione e sulle informazioni finanziarie del potere esecutivo. Con le stesse modalità è stato liquidato l’ispettore generale di Usaid – l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale – dopo che quest’ultimo aveva segnalato che il blocco delle spese e i tagli al personale avevano reso inefficace la sua azione di supervisione anticorruzione.
In totale, Trump ha licenziato ispettori generali in 19 agenzie, senza fornire ragioni plausibili e – secondo alcuni giudici, già bollati come "corrotti" dai social di Elon Musk – in modo illegale. Da ultimo, Trump ha indebolito le regole sul conflitto di interessi, dando via libera a quei governi stranieri come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, vogliosi di collaborare con la Trump Organization o sue affiliate in termini vantaggiosi dal punto di vista commerciale.
L'anticorruzione cerimoniale, il modo migliore per non debellare le tangenti
I fatti descritti sono notizie di pubblico dominio eppure non generano indignazione né proteste, se non da sparute minoranze
Una sentenza della Corte suprema del 2010 ha liberalizzato – in virtù di un’equivoca applicazione del principio del free speech – i finanziamenti privati alle campagne elettorali dei Pac, i comitati di azione politica. Di fatto, un’intera classe politica è stata messa al guinzaglio delle lobby e delle corporation più ricche, prodighe e interessate alle scelte politiche.
Durante l’ultima campagna presidenziale, Musk ha puntato una fiche di 277 milioni di dollari sul candidato vincente, incrementando il valore già incalcolabile della disponibilità della sua piattaforma social. Si può forse interpretare come contropartita l’affidamento al multimiliardario del ruolo di “ghigliottina” della macchina amministrativa federale, ossia il potere arbitrario di mettere mano alle stesse agenzie da cui riceve circa 20 miliardi annui di contratti pubblici?
La lobby del petrolio e del gas è stata ripagata dell’investimento elettorale di 75 milioni di dollari nella campagna trumpiana dal decreto di deregulation delle trivellazioni: solo nel gennaio 2025 la ricchezza dei 15 maggiori operatori petroliferi è aumentata di 2,5 miliardi di dollari, raggiungendo un incremento di 40 miliardi negli ultimi nove mesi.
L'industria fossile è l'elefante nella stanza
Lo stesso neoeletto presidente ha lanciato un meme-coin contestualmente al giuramento: un “oggetto virtuale” che ha incrementato la sua ricchezza virtuale di qualche decina di miliardi e i suoi conti bancari di molte decine di milioni di dollari: improbabile che l’autorità di controllo dei mercati finanziari, imbottita di funzionari a lui fedeli, contesti la natura truffaldina di questa acquisizione di capitali sottratti a investitori inesperti.
Queste vicende ci pongono una sfida interpretativa: come trattare quei casi in cui la corruzione si radica a tal punto da non essere più distorsione o perversione del sistema politico-istituzionale, ma sua componente costitutiva? I fatti sopra descritti sono notizie di pubblico dominio eppure non generano indignazione né proteste, se non da sparute minoranze già etichettate con l’infamante epiteto di woke.
È più che mai attuale l’analisi di Antonio Gramsci: l’egemonia culturale precede e legittima ogni conquista del potere politico. Una nascente oligarchia tecnocratica sta fondando la propria egemonia, impersonale e gelida come gli algoritmi che governano le interazioni social. Di qui l’assenso passivo di molti a questa vera e propria "cattura dello Stato", una forma di corruzione istituzionalizzata talmente macroscopica da non essere più riconosciuta come tale.
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