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Fame chimica, nuove droghe e vecchie politiche
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11 febbraio 2025
Prima le parole del ministro degli Esteri Antonio Tajani, per il quale “l’Italia non arresterà”, se mai arrivasse da noi, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, su cui pende un mandato d’arresto della Corte penale internazionale per i presunti crimini di guerra israeliani a Gaza. Dopo, il caso Almasri, il generale libico accusato di omicidi, torture e violenze nella prigione di Mitiga: arrestato, è stato subito rilasciato e rimpatriato, nonostante anche lui fosse destinatario di un ordine d’arresto della Cpi. Infine l’allineamento del governo di Roma alla posizione degli Usa di Donald Trump, che hanno deciso di sanzionare i magistrati dell’Aja e i loro familiari come ritorsioni per l’indagine contro i crimini israeliani a Gaza.
Cos'è, a cosa serve e come funziona la Corte penale internazionale
E dire che l’Italia ha avuto un ruolo centrale per la creazione di questo tribunale internazionale capace di perseguire i crimini di guerra e contro l’umanità, le aggressioni e i genocidi, nato sulla base dello Statuto di Roma del 1998. “L’Italia ha speso molto in termini di impegno e denaro per la conferenza di Roma”, afferma Flavia Lattanzi, professoressa di diritto internazionale che molto ha lavorato per questo evento cruciale e che, in seguito, è stata giudice del Tribunale penale internazionale per il Ruanda (2003-2006) e di quello per la ex Yugoslavia.
L’assemblea generale dell’Onu aveva convocato una conferenza diplomatica per la creazione della Corte penale internazionale. “La nostra delegazione era quella più numerosa – ricorda Lattanzi –. Avevo partecipato al comitato preparatorio, con ben otto riunioni a New York per questo statuto. Tutti noi ci tenevamo moltissimo, tra cui Emma Bonino, che si era spesa molto”.
Quella conferenza culminò con la firma dello Statuto di Roma, il trattato internazionale che istituisce il tribunale incaricato di perseguire i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, il crimine di aggressione e il genocidio e tenta di perseguire i diretti responsabili, politici e militari che siano. Sono 124 gli Stati che lo hanno ratificato: tra gli loro mancano però Usa, Russia, Cina, India, Israele. I loro vertici possono però essere perseguiti dalla Cpi se le loro azioni danneggiano gli Stati che hanno sottoscritto lo Statuto, come è il caso dell’Ucraina per la Russia o della Palestina per Israele.
Gli effetti sulla pace dei processi per i crimini di guerra
Gli attacchi politici alla Cpi, arrivati da parlamentari ed esponenti del governo, “sono la scomposta reazione con cui si cerca di nascondere la propria inettitudine – sostiene Cuno Tarfusser, magistrato italiano che è stato giudice e vicepresidente della corte dell’Aja –. È evidente che l’Italia, Digos esclusa, ha fatto degli errori. La polizia è stata l’unica istituzione italiana che non ha sbagliato”. Un errore del ministero guidato da Carlo Nordio, ma anche dei magistrati di Roma. Nei loro confronti, Tarfusser valuta le circostanze attenuanti: “Ritengo che gli errori siano stati fatti per scarsa conoscenza della norme, più che per malafede. La normativa italiana che recepisce lo Statuto di Roma è confusa, ma i giudici della Corte d’appello di Roma hanno dato una interpretazione che rende impossibile in futuro l’arresto di qualsiasi persona ricercata”.
Quando però la Cpi emette un mandato di arresto e chiede la consegna di un sospettato, la legge non ammette dubbi: “Non è un’estradizione che deve essere valutata. Con la ratifica, lo Statuto di Roma e la Corte fanno parte del nostro ordinamento e il mandato deve essere eseguito. Per la legge, il procuratore generale ricevuti gli atti chiede – e non 'può chiedere' – la custodia cautelare e la corte d’appello provvede – e non 'può provvedere' – con un’ordinanza. Non c’è scampo”, dice citando l’articolo 11 della legge 237 del 2012.
Quanto fatto dall’Italia sul caso Almasri, aggiunge Lattanzi, “è giuridicamente del tutto infondato: il ministro Nordio non aveva nessun diritto di sindacare su quanto fatto dalla Corte. Lui ha detto che non voleva essere il passacarte, ma l’Italia ha ratificato lo Statuto con cui si è deciso di seguire una procedura e l’Italia ha accettato di farlo”. Quindi, il ministro doveva soltanto trasmettere gli atti senza alcuna valutazione. “Le uniche verifiche spettavano ai giudici della Corte d’appello riguardavano l’identità della persona e il rispetto basilare dei principi fondamentali”. Inoltre “il modo in cui Nordio ha strumentalizzato l’opinione dissidente (di uno dei giudici della Cpi sul mandato d’arresto, ndr) grida vendetta: è normale che una decisione collegiale venga presa a maggioranza”, aggiunge la professoressa.
Se l’Italia voleva evitare la consegna, avrebbe potuto avvalersi dei 20 giorni di tempo previsti per legge, spiega Tarfusser: “In qui giorni il ministro avrebbe potuto trovare argomenti migliori per poi prendere la sua decisione di rimpatriare Almasri. In questo caso avrebbe violato sì l’obbligo di cooperazione, ma avrebbe potuto dare una spiegazione più plausibile alla Cpi, che avrebbe anche potuto chiudere la procedura di infrazione contro l’Italia”.
Sempre sulla procedura, alcuni politici di destra hanno ventilato possibili complotti e giochi ai danni dell’Italia, mettendo in dubbio il sistema di allerta diramato, prima blu per la sorveglianza, e poi rosso per l’arresto, all’arrivo in Italia di Almasri, e sottolineando gli errori nel mandato d’arresto: “Si dà troppa capacità strategica alla corte. Perché mai dovrebbe farlo? – premette Tarfusser –. Almasri è stato segnalato in Europa, l’Interpol lo ha comunicato alla Corte che preparato il mandato d'arresto. A quel punto il bollino diventa da blu a rosso. L’urgenza di emettere il provvedimento nasce dal momento in cui sa che è sul territorio. Scrivere un mandato in pochi giorni avendo studiato tutti gli allegati alla richiesta del procuratore è un'attività complessa e il ministro dovrebbe saperlo”.
Almasri, l'Italia libera l'ufficiale libico, la Corte dell'Aia chiede spiegazioni
"Vero è che gli Usa non hanno ratificato lo Statuto di Roma, ma è altrettanto vero che insieme a Russia e India sono stati tra gli Stati che hanno partecipato in maniera molto attiva, ragione per cui sono state fatte delle concessioni alle loro richieste. Lo Statuto di Roma è un’espressione della comunità internazionale nel suo insieme"Flavia Lattanzi - Giurista ed ex giudice internazionale
A questo caso tutto italiano, si è aggiunto poi l’ordine di Donald Trump di sanzionare i componenti della Cpi, rei di “intraprendere azioni illegali contro gli Stati Uniti e il nostro stretto alleato Israele”. Ben 79 Stati dell'Onu hanno firmato una lettera a tutela del tribunale, ma non l'Italia, depositaria dello Statuto, né l'Ungheria. Netanyahu ringrazia Trump e rilancia, definendo "scandalosa e corrotta" la corte dell'Aja.
L’atteggiamento degli Usa non è nuovo e già nel 2020 Trump aveva sanzionato i vertici della Corte per via delle indagini sui crimini di guerra in Afghanistan: “Quanto accaduto dura da un po’, ma con Trump si è acuito – afferma Lattanzi –. Vero è che gli Usa non hanno ratificato lo Statuto di Roma, ma è altrettanto vero che insieme a Russia e India sono stati tra gli Stati che hanno partecipato in maniera molto attiva, ragione per cui sono state fatte delle concessioni alle loro richieste. Lo Statuto di Roma è un’espressione della comunità internazionale nel suo insieme”.
Ora però si è arrivati ai nuovi provvedimenti voluti da Trump in risposta al mandato di arresto contro Netanyahu: “Le sanzioni contro giudici e parenti sono inaudite, una follia”, aggiunge la professoressa. “Che l’Italia contribuisca con altri ‘personaggi canaglia’ agli attacchi contro la Cpi è una vergogna – aggiunge Tarfusser –. Per 40 anni ho lavorato per questo paese, culla del diritto, e ora mi vergogno di questa deriva. Sono fortemente preoccupato. La Cpi si fonda sullo Statuto di Roma. Fior di diplomatici, giuristi e funzionari hanno lavorato per non far fallire la conferenza e per far funzionare la struttura che certamente ha delle criticità. Si deve però lavorare per migliorala e non per distruggerla. I crimini internazionali non hanno alcun colore politico e men che meno esistono i crimini buoni e quelli cattivi in ragione di chi li commette”. Anche Lattanzi non usa mezzi termini: “Mi fa male vedere quanto sta avvenendo – afferma l’ex giudice del Tribunale per il Ruanda e di quello per l’ex Yugoslavia –. Posso dire che come italiana mi vergogno. Fino a pochi mesi fa rappresentavo gli Stati occidentali in un gruppo di lavoro alla Cpi e ora non oso neppure scrivere alle persone che erano con me”.
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Politica all'attacco della magistratura. Il governo italiano, come quello di altri paesi occidentali, mostra insofferenza verso alcuni limiti imposti dallo stato di diritto delegittimando giudici e poteri di controllo
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