20 ottobre 2020
Due risoluzioni italiane adottate in un’assemblea internazionale, una delle quali si inserisce nel solco dell’insegnamento di Giovanni Falcone. Venerdì 16 ottobre si è chiusa al Vienna International Centre, polo degli organismi internazionali presenti nella capitale austriaca, la Conferenza delle Parti sulla Convenzione Onu contro la criminalità transnazionale, una grande assemblea su quella che viene chiamata Convenzione di Palermo, il trattato internazionale contro le organizzazioni criminali nato esattamente venti anni fa. All’evento - organizzato dall'Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) - hanno partecipato circa mille persone in rappresentanza di 121 delegazioni da tutto il mondo per discutere dell’emergenza criminale a livello globale, diventata più grave per effetto dei mutamenti climatici, delle disuguaglianze economico-sociali, delle situazioni di instabilità politico-istituzionale e della pandemia. A rappresentare l’Italia c’erano le istituzioni (il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, l’ambasciatore italiano presso le organizzazioni internazionali di Vienna, Alessandro Cortese, il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, il procuratore generale di Roma Giovanni Salvi, il consigliere giuridico Antonio Balsamo e il capo della Polizia Franco Gabrielli, per citarne alcuni), ma anche alcune associazioni che lavorano quotidianamente sul campo, come Libera che, già presente ai lavori per la Convenzione di Palermo nel 2000, ha condiviso la necessità di intensificare strumenti quali il riutilizzo sociale dei beni confiscati.
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Tra le risoluzioni proposte dalla delegazione italiana e adottate a conclusione dei cinque giorni di confronto e dibattito tra gli Stati membri con il supporto delle organizzazioni della società civile accreditate, due quelle particolarmente rilevanti. Con la prima risoluzione si conferma la volontà da parte delle autorità italiane di facilitare l’attuazione degli obblighi - assunti da ciascun Stato membro - al fine di rendere operativo in maniera definitiva il Meccanismo di revisione della Convenzione approvato alla fine del 2018. Il meccanismo ha lo scopo di "radiografare" la legislazione dei 189 Paesi che hanno aderito alla Convenzione promuovendo lo scambio di informazioni per un migliore funzionamento della cooperazione internazionale, identificando i vuoti normativi e non solo che impediscono di contrastare con efficacia i fenomeni criminali e promuovendo le riforme necessarie. Alla seconda è affidato il compito di rafforzare il contrasto alla dimensione economica della criminalità organizzata transnazionale, che per la prima volta viene menzionata in modo esplicito con specifico riferimento alla strategia del “follow the money” nata in Italia con la legge Rognoni-La Torre ed estesa così su scala globale. Portavoce di quella strategia su scala globale era stato il giudice Giovanni Falcone prima della sua uccisione. La risoluzione ha uno “speciale tributo” a persone come lui: “La loro eredità continua a vivere attraverso il nostro impegno globale per la prevenzione e la lotta alla criminalità organizzata”. Si tratta di un atto non solo celebrativo, ma di forte portata innovativa, che dà grande spazio alla lotta alla criminalità organizzata come lotta per i diritti e le libertà. Non si tratta solo repressione, quindi, ma anche impegno per lo sviluppo e coinvolgimento della società civile.
Oltre a rilanciare una cooperazione globale contro le conseguenze socio-economiche della pandemia e l’infiltrazione mafiosa e criminale nel mondo imprenditoriale, nell’ultima conferenza degli Stati parte dei giorni scorsi è stata valorizzata la forte esperienza italiana delle misure di prevenzione patrimoniali. Un contesto internazionale dove l’esperienza italiana assume centralità e si fa modello nella prospettiva della destinazione sociale dei beni confiscati a gruppi criminali e corrotti, logica ispiratrice della legge 7 marzo 1996, n. 109, fortemente voluta da importanti espressioni della società civile come Libera. Oggi il riutilizzo sociale dei beni confiscati entra a far parte del vocabolario di negoziazione internazionale, rappresentando la base per una molteplicità di ulteriori iniziative multilaterali e bilaterali su un tema come quella della amministrazione dei beni confiscati.
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La via decisiva per combattere la criminalità organizzata presuppone una collaborazione internazionale energica ed efficace e richiede la predisposizione di una legislazione internazionale adeguataGiovanni Falcone
Durante la prima riunione della Commissione sulla prevenzione della criminalità e per la giustizia penale delle Nazioni unite, avvenuta un mese prima della strage di Capaci, il capo della delegazione italiana era Giovanni Falcone: fu in quell’occasione che il magistrato antimafia lanciò l'idea di una conferenza internazionale incentrata sulla cooperazione multilaterale nella lotta al crimine organizzato affermando con forza che "la via decisiva per combattere la criminalità organizzata presuppone una collaborazione internazionale energica ed efficace e richiede la predisposizione di una legislazione internazionale adeguata". Anno cardine per tante questioni nazionali e non solo, nel 1992 viene infatti approvato il Trattato di Maastricht che avvia formalmente l’esistenza della Comunità europea gettando le basi per la moneta unica, l’euro, e ampliando in maniera significativa gli ambiti di cooperazione fra i paesi europei, a partire dalla cittadinanza europea, una politica estera e di sicurezza comune e una cooperazione più stretta a livello giudiziario e di polizia in materia penale.
Si arrivò così alla Conferenza ministeriale mondiale sulla Criminalità organizzata, tenuta a Napoli nel 1994, durante la quale vennero adottati la Dichiarazione politica e il Piano di azione globale contro il crimine organizzato transnazionale. Da qui l’idea di una Convenzione globale per cui si susseguirono una serie di seminari regionali per discutere innanzitutto di una definizione comune di criminalità organizzata transnazionale. Nel 1998 venne creato il Comitato intergovernativo per la redazione della Convenzione internazionale globale contro il crimine organizzato transnazionale, nonché per l’elaborazione di strumenti pattizi internazionali concernenti il traffico di donne e bambini, il traffico illecito di armi e munizioni, e il traffico e trasporto illegale di migranti, anche via mare (i cosiddetti “Protocolli”). Nel luglio del 2000 il Comitato approvò la Convenzione e alla fine dello stesso anno venne sottoscritta durante la conferenza Onu che si tenne dal 12 al 15 dicembre a Palermo, città simbolo della lotta alle mafie. Dopo più di un decennio di dibattiti, incontri e risoluzioni internazionali, nasceva il primo testo comune di riferimento nella lotta alla criminalità organizzata transnazionale.
La Convenzione segna uno slancio politico da non leggere come un punto di arrivo per il contrasto al crimine organizzato globale, bensì un segnale di partenza per tutti i Paesi che fino a quel momento non avevano previsto misure di contrasto e prevenzione coordinata, ai quali ora era per la prima volta dato uno strumento vincolante di giurisdizione internazionale. Di fatto la Convenzione di Palermo contro la criminalità organizzata transnazionale si sta sempre più dimostrando l’unico vero strumento globale di cooperazione giudiziaria, come commenta in una nota recente il ministero della Giustizia. Più attuale oggi di quanto non fosse all’inizio, la Convenzione fornisce strumenti vincolanti ai Paesi aderenti (190 su 193 che fanno parte dell’Onu) per prevenire e combattere tutte le forme di criminalità organizzata. Si arriva poi nel 2015 alla Dichiarazione di Doha , elaborata durante l’ultimo World Crime Congress nella capitale del Qatar, che ha messo al centro il ruolo dello stato di diritto e segnato un passo decisivo nel dibattito internazionale intorno al tema del contrasto alla criminalità organizzata transnazionale allargando la lente di analisi del fenomeno, ma soprattutto introducendo il ruolo chiave di attività culturali, sportive, artistiche e sociali promosse in primis dalla società civile come anticorpi del sistema criminale.
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I corpi investigativi comuni, i magistrati di collegamento, gli accordi per l’utilizzazione di tecniche investigative speciali nelle indagini sulla criminalità transnazionale, la valorizzazione del ruolo della Convenzione di Palermo nel contrasto alle forme nuove ed emergenti di criminalità, come il cybercrime e i reati ambientali, la strategia delle indagini finanziarie di contrasto a criminalità organizzata, corruzione, riciclaggio e finanziamento del terrorismo fino all’utilizzo e il rafforzamento di strumenti come il portale “Sherloc” (acronimo di Sharing electronic resources and laws on crime): sono solo alcuni dei punti al centro del rafforzamento di una cooperazione internazionale più che mai necessaria e capace di informarsi e formarsi su fenomeni in continua evoluzione. Una conferenza che si chiude con una sfida tanto ambiziosa quanto complessa, mettendo al centro una Convenzione nata venti anni fa e che oggi ha bisogno di ritrovare linfa vitale sia nelle politiche di contrasto di ogni Paese, sia in quelle che ne rafforzano le maglie democratiche, a partire dalla promozione di misure di welfare, istruzione e sanità.
Per approfondire: The promise of Palermo. A political history of the UN Convention against Transnational Organized Crime
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