Mosca, 9 febbraio 2024. Vladimir Putin durante l'intervista del giornalista americano Tucker Carlson al Cremlino Epa/Gavriil Grigorov/Sputnik/Kremlin pool mandatary credit
Mosca, 9 febbraio 2024. Vladimir Putin durante l'intervista del giornalista americano Tucker Carlson al Cremlino Epa/Gavriil Grigorov/Sputnik/Kremlin pool mandatary credit

Media russi in esilio, il racconto di tre giornalisti che Putin non vuole

Mikhail, Valeria e Roman lavorano lontano dal loro Paese per testate che dopo l'invasione dell'Ucraina sono finite nella lista nera del Cremlino. Non sanno quando potranno tornare a casa, ma nel frattempo continuano a scrivere su Mosca dall'estero

Camilla Consonni

Camilla ConsonniGiornalista

12 febbraio 2024

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Ogni esilio comincia in modo diverso. C’è chi sceglie di studiare all’estero e poi si rende conto di non poter più tornare a casa; chi in poche ore deve stipare la propria vita in un trolley e saltare su un aereo diretto chissà dove; chi è costretto ad attraversare a piedi una foresta, cercando un confine nel buio. Mikhail, Valeria e Roman sono tre giovani giornalisti russi che lavorano per testate messe a tacere dal governo guidato da Vladimir Putin. Oggi sono costretti a vivere e lavorare lontano dal loro Paese, ma continuano a sognare di fare ritorno a casa.

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Mikhail Kalinin ha 25 anni ed è un giornalista del giornale online indipendente The Insider. Prima che la Russia invadesse l’Ucraina ha scelto di trasferirsi a Bologna per completare gli studi universitari. Oggi vorrebbe rientrare a Mosca, ma il giornale è stato messo al bando da Putin e non può tornare. Cresciuto nella zona nord-est della capitale russa, circondato dal verde del parco nazionale più antico del Paese, Mikhail ha scoperto l’amore per la scrittura alle elementari, quando a 11 anni, con un quadernino tra le mani, ha intervistato grandi personaggi, fra cui uno dei liquidatori della catastrofe di Chernobyl e la nipote del cosmonauta Yuri Gagarin.

Mikhail si immagina giornalista e perciò in giro per il mondo: “Non sapevo quanta realtà c’era dietro ai miei sogni, immaginavo di esplorare, vivere di scrittura. In un certo senso è andata così, anche se non nel modo che mi aspettavo”. Al liceo partecipa alla redazione del giornale della scuola, quindi si iscrive all’università. “Non ci insegnavano la propaganda – racconta – durante il corso ho fatto uno stage alla Novaya Gazeta, quindi un professore mi ha messo in contatto con The Insider, per cui oggi lavoro. È impressionante pensare alla velocità con cui sono cambiate le cose”.

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Quando il 24 febbraio 2022 Putin ha dato inizio all’invasione dell’Ucraina entrambe le testate sono finite sulla lista nera del Cremlino e non possono più operare all’interno dei confini russi. “L’etichetta di ‘agente straniero’ o, ancora peggio, quella di ‘organizzazione indesiderabile’ – spiega  Mikhail – stanno a significare che nessuno può collaborare con questi giornali senza mettersi in pericolo. All’inizio si parla di multe, poi il rischio è finire in carcere o peggio ancora”.

“L’etichetta di ‘agente straniero’ o quella di ‘organizzazione indesiderabile’ stanno a significare che nessuno può collaborare con questi giornali. All’inizio si parla di multe, poi il rischio è finire in carcere o peggio ancora”

È in quel momento che comincia l’esodo della libera informazione russa. Intanto Mikhail aveva già lasciato il Paese per continuare gli studi all’estero. “Ho superato il test per la magistrale in giornalismo e, nel settembre 2021, sono partito per Bologna”. Mikhail ricorda quando le cose nel suo Paese funzionavano in modo diverso. “L’informazione in Russia non è mai stata libera, ma c’è stato un periodo, un brevissimo momento, in cui lo è stata più che in tutta la sua storia. Esistevano media indipendenti d’opposizione e, in generale, potevi svolgere la professione senza grandi paure. C’erano singoli casi di persecuzione, ma nulla di paragonabile a oggi. Nel 2014, con l’invasione della Crimea, la propaganda ha cominciato a stringere il Paese in una morsa e i giornalisti sono finiti nel mirino del governo”.

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Da Bologna, Mikhail osserva l’orrore della guerra. “Ho perso la mia patria in un giorno. Prima la censura, quindi la mobilitazione militare. Non potevo più tornare e i miei genitori non riescono ancora a capire perché”. Nessuna emozione, una semplice constatazione. “Le loro idee politiche sono diverse dalle mie e questo mi ha insegnato la tolleranza, fondamentale per un giornalista tanto quanto la libertà. Quando sono partito non ero certo di voler passare tutta la mia vita in Russia, ma sapevo che in caso di necessità sarei potuto tornare a casa dalla mia famiglia. Oggi questa sicurezza non ce l’ho più”.

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Valeria Ratnikova ha 25 anni ed è una giornalista dell’emittente televisiva indipendente Tv Rain, con sede a Mosca, anch’essa nel mirino del governo russo e quindi costretta a lasciare il Paese. Con l’avvio dell’operazione speciale in Ucraina, Valeria si è prima spostata in Turchia, poi in Georgia, in Lettonia e quindi in Olanda, ad Amsterdam, dove oggi la tv ha riorganizzato il suo quartiere generale. “La facoltà di giornalismo è nel cuore di Mosca, dalle finestre si vedono scintillare le cupole dorate del Cremlino”, racconta Valeria, che ricostruisce l’inizio della sua carriera.

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“Mi piaceva scrivere e volevo saperne di più. Non è stata una decisione razionale, sono cresciuta in periferia, in uno di quei quartieri popolari costruiti per le famiglie dei lavoratori. Le case sono tutte uguali, c’è una gran tranquillità, ma per il mio futuro desideravo qualcosa di diverso”. Nel 2017 Valeria si è iscritta alla Lomonosov, l’università statale di Mosca, proprio nel periodo in cui Aleksei Navalny avrebbe sconvolto la Russia con l’inchiesta Non chiamatelo Dimon.

“Un giornalista che accusa il primo ministro di corruzione, incredibile. Osservavo le proteste, sentivo l’indignazione della gente nelle piazze e volevo partecipare. Amavo parlare di politica, discutere e confrontarmi, a differenza di molti miei compagni che non sentivano la stessa urgenza. È stato in quel momento che ho cominciato a riflettere veramente su questa professione”. A quel tempo Valeria non aveva paura, non ancora. “Navalny era un uomo libero, non c’era motivo di preoccuparsi. Poteva scrivere, lavorare e persino protestare. Ma ci eravamo illusi, pensavamo che i nostri governanti avevano bisogno di dimostrare ai partner occidentali che qui esisteva libertà d’espressione, che eravamo una democrazia. Tutta una farsa”.

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La situazione cambia con l’avvelenamento di Navalny. La mattina del 20 agosto 2020, il giornalista collassa durante un volo da Tomsk a Mosca e finisce in coma. Mentre è in cura a Berlino, nel suo sangue i medici trovano tracce di Novichok, un agente nervino già utilizzato in passato contro spie e dissidenti. “All’inizio del 2021 Navalny ha deciso di tornare in Russia – spiega Valeria – ma l’hanno arrestato subito, neppure il tempo di uscire dall’aeroporto. Oggi è ancora in carcere, in Siberia”. La voce della ragazza tradisce una certa angoscia. “Penso sia stato quello il momento in cui hanno cominciato a prepararsi alla guerra. Hanno deciso di distruggere tutto”.

Dopo la laurea, Valeria ha iniziato a lavorare come conduttrice a Tv Rain, che dalla sua fondazione, nel 2010, è sempre stata osteggiata dal governo. Non stupisce quindi che con l’invasione in Ucraina, il 1° marzo 2022, le trasmissioni sono state cancellate e il sito dell’emittente bloccato. “L’ultimo giorno di lavoro è stato straziante, ho capito subito che la mia vita sarebbe cambiata.In piena notte sono stata svegliata dai messaggi dei miei colleghi, la polizia stava perquisendo i nostri studi e le nostre case. Allora ho deciso di andarmene, non avevo molto tempo, in due ore ho messo nella valigia quello che potevo e la mattina dopo ero in Turchia”.

Il padre capisce la scelta della figlia, la mamma la vorrebbe vicina a sé. Il caos di Istanbul sembra peggiorare il trauma dell’esilio. Insieme ad alcuni colleghi, Valeria si è spostata in Georgia dove ha ricostruito la propria vita e il proprio lavoro. “Non sapevamo da dove cominciare, abbiamo dovuto reimparare a fare il nostro mestiere dall’estero, tra vpn (reti private virtuali, ndr) e canali Youtube. Non è facile raccontare la Russia ai russi se non lavori sul posto”.

"Abbiamo dovuto reimparare a fare il nostro mestiere dall’estero, tra vpn e canali Youtube, ma non è facile raccontare la Russia ai russi se non lavori sul posto”

Nel luglio 2022 le trasmissioni sono riprese dalla Lettonia. “Ho incontrato molti rifugiati ucraini, mi hanno raccontato cosa stava succedendo nel loro Paese ed ero disgustata. È stata proprio quell’indignazione a darmi la forza per ricominciare a fare la giornalista”. All’inizio di dicembre 2022, il regolatore della radiodiffusione di Riga ha revocato la licenza concessa a Tv Rain per non aver rispettato i regolamenti nazionali e l’emittente ha dovuto traslocare per l’ennesima volta Valeria, stavolta ad Amsterdam. “In questi due anni ho perso qualsiasi certezza, il futuro mi fa paura perché so che nulla è stabile, nulla è sicuro”.

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“È terrificante non avere il controllo sulla tua vita, sulle tue opinioni. Attraversando il confine, ho provato solo sollievo, perché se non sei libero di dire quello che pensi non sei davvero un giornalista”.  Roman Dobrokhotov, classe 1983, è il fondatore di The Insider e capo di Mikhail. Il suo esilio è iniziato ben prima dello scoppio del conflitto in Ucraina: “Nel luglio 2021 degli agenti di polizia hanno perquisito la mia casa e sequestrato il mio passaporto. Continuavano a ripetermi che c’era un’indagine su di me, ma a mio nome non era ancora stato aperto nessun caso. Ora so che Putin si stava preparando all’invasione. Non avrebbe potuto affrontare anche una guerra interna, quindi in qualche modo si doveva liberare di tutto ciò che era opposizione”.

"Putin non avrebbe potuto affrontare anche una guerra interna, quindi in qualche modo si doveva liberare di tutto ciò che era opposizione”

Un mese dopo Roman ha raggiunto il confine con l’Ucraina. A piedi, di notte e senza documenti ha attraversato la foresta. Da allora viaggia per tutta Europa, ma il suo lavoro non si è mai fermato e The Insider continua a essere una delle più autorevoli voci d’opposizione. ”Il giornale è nato nel 2013 come una realtà di nicchia, anche perché in Russia il giornalismo d’inchiesta non era molto diffuso. Abbiamo dato vita a questo progetto cercando di renderlo economicamente indipendente dallo Stato, quindi in qualche modo incensurabile. E per un po’ ci siamo anche riusciti”.

Nel 2000 Putin era appena stato eletto presidente e una delle sue prime azioni politiche è stata la censura. “Ha fatto l’elenco di tutte le maggiori emittenti televisive e ha provato a controllarle, tra arresti, sparizioni e giri di denaro. Ancora oggi la tv, in alcune zone della Russia, è l’unico mezzo d’informazione disponibile e quindi se hai in mano la televisione hai il potere. Era chiaro che una volta risolto questo problema la sua attenzione si sarebbe spostata altrove, su altri media”.

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All’inizio, il governo non si è interessato agli organi di informazione più piccoli, poi nel 2021 le cose sono cambiate. “A luglio di quell’anno è stato messo in moto il solito meccanismo – ricostruisce Roman – la testata è stata dichiarata prima agente straniero e poi organizzazione indesiderabile. Che significa non potere più operare in Russia”. Seppure in esilio, The Insider resiste: "Dobbiamo lottare per i nostri concittadini, soddisfare la loro fame di un’informazione che non sia propaganda. Solo così, forse, il giornalismo indipendente potrà tornare in Russia”.

Ogni esilio comincia in modo diverso, ma finisce nella stessa maniera: con una lacerante speranza. Roman a Mosca ha un appartamento nuovo che lo aspetta: “Così mi ricordo che ho una casa dove tornare”. Valeria ogni giorno si sveglia e va a dormire con lo stesso pensiero: “L’obiettivo della mia vita è tornare in Russia”. Mikhail ormai non è più sicuro di nulla: Magari un giorno tornerò in Russia, ma solo quando il regime di Putin cadrà e l’informazione sarà libera”.

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