Guerra a Gaza. Foto: Wikicommons
Guerra a Gaza. Foto: Wikicommons

Il piacere oscuro della guerra

La guerra permette di entrare in contatto con il nemico e penetrare nella sua intimità. Per questo assomiglia e rievoca ciò che è esattamente il suo opposto, l'amore sessuale

Francesco Remotti

Francesco RemottiProfessore emerito di Antropologia culturale dell'Università di Torino

1 settembre 2025

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Torniamo ancora una volta sul tema guerra, barcamenandoci tra il ripudio – come vuole la nostra Costituzione – e la seduzione. Nei due interventi precedenti ("La guerra come tremenda libertà" e "Ripudiamo la guerra perché la sua potenza ci ha sedotto") abbiamo scartato una nozione come natura umana, sostenendo che il comportamento guerresco è non già un tratto universale delle società umane, una necessità, bensì un esito possibile, ancorché piuttosto frequente. Oltretutto, se la guerra fosse dettata dalla natura umana, l’articolo 11 della Costituzione ne uscirebbe molto compromesso nella sua validità normativa. 

La tesi emersa dalle considerazioni precedenti era la seguente: ciò che rende il ripudio difficile, non da tutti partecipato, è il carattere seduttivo della guerra: nonostante i suoi costi elevati e la sua evidente negatività, la guerra continua a sedurre. Se non ci fosse questa componente, non potremmo capire perché gli umani siano inclini con frequenza e insistenza verso la guerra. 

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Quella per la guerra è un'attrazione fatale

Approfondiamo dunque il tema della seduzione. Abbiamo visto che la guerra seduce perché consente: 1) di liberarsi dai lacci morali della propria società, e quindi di uscire dalla gabbia comunitaria in cui ci si trova normalmente impigliati; 2) di inoltrarsi verso l’esterno, verso il nemico, di entrare in qualche modo in contatto, quasi in comunicazione diretta, stretta, coinvolgente con l’estraneo; 3) di esercitare il massimo della forza e del potere sul nemico, fino a privarlo della vita.

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La guerra è dunque un caso di esaltazione massima di libertà intesa come potere: un esercizio eccezionale, fuori dell’ordinario, che lungi dall’essere condannato 4) arreca gloria, incoraggiamento e riconoscimento. Inoltre, 5) nella guerra non si è soli: la guerra non è un’impresa solitaria, condotta da un’unica persona. Con la guerra si esce, oltre che dal tran tran quotidiano, dalla gabbia comunitaria che modella e tarpa la vitalità degli individui. La guerra sostituisce questa gabbia mortifera con un “noi” di camerati e commilitoni, insieme a cui si condividono le azioni belliche, quelle che conducono verso la morte, quelle che portano a guardare in faccia la morte, propria o altrui. 

Esaltazione divina della guerra

Chris Hedges, reporter di guerra, testimone di esperienze belliche atroci in molte parti del mondo e autore del libro Il fascino oscuro della guerra – che affronta esplicitamente il tema della seduzione bellica – cita i seguenti versi dal Coriolano di Shakespeare: "Datemi la guerra", essa infatti "è superiore alla pace, è animata, piena di effervescenza. La pace invece è sonnolenta, ed è creatrice di bastardi ben più di quanto la guerra sia distruttrice di uomini". Per Hedges, la seduzione della guerra è da rapportare alla condizione di miseria sociale e di solitudine psicologica in cui spesso ci si trova in tempo di pace. A "individui soli e atomizzati" la guerra offre un’opportunità di "realizzazione" umana eccezionale: la guerra "ci permette di fare quello che in tempo di pace è vietato. Ci permette di uccidere" con un senso di "esaltazione quasi divina". 

Dalla testimonianza di un reduce americano in Vietnam: “Mi piaceva sparare e uccidere. Ero letteralmente in preda all’eccitazione quando vedevo cadere un muso giallo”

Joanna Bourke, autrice di Le seduzioni della guerra, affronta in maniera del tutto esplicita i piaceri della guerra. "Pur suscitando un’ondata di disagio nauseante, l’atto di uccidere in battaglia un altro essere umano può stimolare sensazioni di estremo piacere".
Dalla testimonianza di un reduce americano della guerra in Vietnam si legge: "Mi piaceva sparare e uccidere. Ero letteralmente in preda all’eccitazione, quando vedevo cadere un muso giallo". Dai racconti di altri militari si ricava che, "mentre si scatenavano a massacrare", essi provavano "un piacere orgasmico". 

Quando l'arma diventa il corpo

L’azione di uccidere in guerra – sostiene Bourke – viene vissuta come un’affermazione straordinaria ed eccitante del "proprio sé essenziale". È un’affermazione di sé che, come è ben noto, si accompagna molte volte alla pratica dello stupro nei confronti delle donne dei nemici. La guerra è seduttiva anche in questo: consente di entrare in contatto, in comunicazione (una specie di dialogo, se così possiamo esprimerci, sui temi tremendi della vita e della morte) con i propri nemici, di penetrare nel loro mondo, nelle loro case, costruzioni, villaggi o città, nell’intimità più profonda delle loro esistenze.

La guerra è un penetrare violentemente nell’esistenza del nemico, apportando con le armi la morte

Per questo la guerra assomiglia e rievoca ciò che è esattamente il suo opposto, l’amore sessuale. Ed è per questo che Chris Hedges intitola l’ultimo capitolo del suo libro Eros e Thanatos. Lo stupro praticato sulle donne dei nemici – una sorta di ulteriore arma di guerra, come si è potuto constatare in molte esperienze recenti in Africa, oltre che nei Balcani – è forse l’emblema stesso della seduzione della guerra: per praticare lo stupro occorre essere fisicamente eccitati. Lo si è per motivi strettamente sessuali e personali, oppure è la guerra che in quanto tale eccita? La guerra è un penetrare violentemente nell’esistenza del nemico, apportando con le armi la morte.

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Nel caso degli stupri si apporta crudelmente vita (vitalità ed eventualmente progenie), a cui potrebbe seguire la morte, con le armi nude del proprio corpo. Il ragionamento conclusivo a cui ci portano le testimonianze e le riflessioni di Hedges è il seguente: se è così profonda la seduzione della guerra, quanto grande è il vuoto che essa illusoriamente intende colmare? Proviamo a definirlo vuoto di umanità, un’umanità che i “noi” intendono disperatamente strappare agli “altri”. 

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