Comacchio, un'anguilla al ristorante La Comancina. Foto di Michele Lapini
Comacchio, un'anguilla al ristorante La Comancina. Foto di Michele Lapini

Predoni di anguille. Un traffico globale che vale miliardi

Dal delta del Po fino a Tokyo, il traffico di questi pesci pregiati, ma in via di estinzione, vale miliardi di euro. Un fenomeno che in Italia, tra silenzi e normative deboli, resta sommerso

Sofia Nardacchione

Sofia NardacchioneGiornalista freelance

1 settembre 2025

di Sofia Nardacchione, Alice Facchini e Alexandra Talty

Si chiamano anguille cieche e sono i piccoli del pesce che superata la fase larvale iniziano lo sviluppo verso quella adulta. In Italia valgono centinaia di euro mentre nei paesi asiatici, dove sono molto ricercate, possono raggiungere i 10mila euro al chilo. Le anguille, specie a rischio di estinzione, non nascono in cattività: le uova sono deposte nel Mar dei Sargassi e una volta schiuse le larve vengono trascinate dalle correnti, attraversano l’Atlantico, fino ad arrivare nel Golfo di Biscaglia, tra Spagna e Francia, dove hanno ormai raggiunto un’altra fase di sviluppo. È qui che diventano le “cieche”, ambitissime prede dei trafficanti.

Protezione senza tutela

"Quando si parla di traffico illegale l’Italia resta indietro anche se è uno dei luoghi ideali per le anguille, vista la presenza di bacini geografici molto importanti, habitat perfetto per questi pesci. La normativa purtroppo è debolissima, siamo del tutto disarmati"Nino Morabito - responsabile nazionale Fauna e benessere animale di Legambiente

"In Europa esiste una legislazione completa sulla tutela dell’anguilla – spiega Domenico Aiello, responsabile tutela giuridica della natura Wwf Italia – ma in pratica non c’è una vigilanza adeguata che permetta di bloccare la pesca illegale". I trafficanti riescono a muoversi indisturbati e alimentano un commercio che vale 2,5 miliardi di dollari l’anno e che coinvolge più Stati, soprattutto Spagna e Francia, i paesi centrali nelle operazioni Lake promosse da Europol a partire dal 2015, che puntano a smantellare le reti criminali. In tutto questo l’Italia sembra non esistere, o quasi.

Nel 2018 la Guardia di finanza di Tessera, poco distante dall’aeroporto di Venezia, ha sequestrato 500 chili di anguille cieche europee: oltre 600mila esemplari contenuti in più di novanta sacchetti di plastica riempiti d’acqua, pronti per raggiungere l’Asia. Un blitz isolato, in quanto l’operazione Lake non ha mai coinvolto direttamente il Paese, se non in modo marginale, con piccoli casi di pesca illegale destinata al mercato interno e qualche sequestro tra Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Campania, Lazio e Sardegna.

Per gli esperti del settore, però, qualcosa non quadra. "Quando si parla di traffico illegale l’Italia resta indietro – spiega Nino Morabito, responsabile nazionale Fauna e benessere animale di Legambiente – anche se è uno dei luoghi ideali per le anguille, vista la presenza di bacini geografici molto importanti, habitat perfetto per questi pesci. La normativa purtroppo è debolissima, siamo del tutto disarmati".

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Illegalità e cambiamenti climatici

Che quella delle anguille sia una tradizione centenaria diventa chiaro quando si attraversano le strade di Comacchio, senza scordare il capitone che finisce sulle tavole campane a Natale. Una tradizione che in alcune regioni come la Toscana riguarda anche le anguille cieche, piatto venduto sottobanco nei ristoranti del Livornese. Se la pesca delle anguille adulte è vietata in alcuni periodi dell’anno, le cieche non possono essere pescate mai, proprio per preservare la specie. Ma nella realtà il traffico è molto più esteso di quello che appare. "Il numero delle cieche catturate è elevato perché c’è grande richiesta sul mercato – aggiunge Morabito –, sul delta del Po è quasi impossibile che l’esperienza marinara non venga utilizzata per fare profitto".

La storia di Luigi

"Il numero delle cieche catturate è elevato perché c’è grande richiesta sul mercato"Nino Morabito

"Quando si faceva la fame il bracconaggio era accettato". Luigi è un pescatore di Comacchio e abita in una piccola casa che si affaccia sulle valli. Racconta di una storia familiare e locale. "Quarant’anni fa qui eravamo tutti fiocinini (pescatori di frodo, ndr) e facevo 900 quintali di anguille ogni anno. A mio fratello hanno dato una terra bonificata, mentre io sono rimasto pescatore. Non c’era altro nel paese e dovevamo mangiare. Adesso con il turismo, di fiocinini non ce ne sono più".

Luigi ha un’aria schiva e quando gli domandiamo se il contrabbando è presente ancora oggi, risponde con un “no” poco convinto. Quel che è certo è che oggi di anguille ce ne sono molte meno. Marco Giudici, pescatore nato e cresciuto a Orbetello, conosce bene il fondale della sua laguna e mentre si sfrega le mani segnate da decenni di lavoro, guardando l’acqua dice: "Bisogna stare attenti all’inquinamento e alle temperature, se il mare entra a 32 gradi la laguna si comporta come una pentola a pressione".

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Pochi strumenti contro i traffici illegali

"Se puoi guadagnare centinaia di migliaia di euro e rischi solo una sanzione da mille euro capisci che non è un ostacolo"Nino Morabito

"Non abbiamo informazioni in merito". Le autorità italiane – Guardia costiera, capitaneria di porto e Guardia di finanza – rispondono così alla domanda se vi sia o meno un traffico illecito di anguille. Tutte le forze di polizia e della marina rimandano a Europol, ma l’agenzia europea non fornisce risposte esaustive. "If you wish to focus on Italy, we recommend reaching out to Italian authorities for further information", ossia "Se desideri concentrarti sull’Italia, ti consigliamo di contattare le autorità italiane per ulteriori informazioni". "Se puoi guadagnare centinaia di migliaia di euro e rischi solo una sanzione da mille euro capisci che non è un ostacolo – spiega ancora Morabito –, anche perché l’associazione a delinquere è molto difficile da individuare".

Legalità fittizia

In Asia le anguille sono considerate una vera e propria prelibatezza. Vista la richiesta, gli allevamenti sono sotto pressione e alla costante ricerca di giovani pesci, spesso in arrivo dall’Europa. Secondo le stime del ministero giapponese della Pesca, infatti, i due terzi delle anguille adulte consumate nel paese sono importate. Una pratica iniziata negli anni Settanta, quando le popolazioni locali di anguille si sono ridotte e il Giappone ha cominciato a guardare fuori dai propri confini. Dopo che nel 2013 le anguille locali sono state classificate come specie in via di estinzione, la cattura delle cieche è diminuita drasticamente ma la situazione oggi rimane poco chiara. Europol sostiene che ogni anno circa 100 tonnellate di anguille cieche vengano esportate illegalmente dall’Europa all’Asia, dove arrivano sulle tavole legalmente.

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C’è un’asimmetria giuridica – dice Mònica Pons Hernández, criminologa e ricercatrice all’Università di Bergen – se pensiamo al traffico di cocaina è illegale ovunque, mentre per le anguille non è così, la pesca è consentita in molti luoghi e vietata in altri. Per i pescatori è sufficiente simulare che le anguille si trovino in un luogo in cui la pesca è permessa. Questo spiega quanto sia facile introdurre la specie nel mercato legale". A differenza dell’anguilla adulta, in Asia le cieche non vengono mangiate, ma sono comunque richiestissime perché è possibile trasportarne un numero elevato in poco spazio, con guadagni centuplicati. Poca acqua, stipate in valigia, pronte per essere vendute in Cina e in Giappone o per essere ingrassate e quindi consumate. Un chilo di anguille cieche dopo sei mesi può quasi raddoppiare. Un business che solo sul mercato giapponese vale oltre 57 milioni di euro.

Questo articolo è stato realizzato con il supporto di Journalismfund

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