Ortoressia: l'ossessione del cibo "sano" per forza

Nel 1997 il medico statunitense Steven Bratman conia il termine ortoressia per indicare un nuovo disturbo alimentare, l'eccessiva rigidità nel seguire una dieta salutare o presunta tale. Una parola nata quasi per caso, in balìa di letture azzardate e test poco attendibili

Marco Panzarella

Marco PanzarellaRedattore lavialibera

17 maggio 2022

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Passi più di tre ore al giorno a pensare alla tua dieta? Il valore nutritivo del tuo pasto è più importante del piacere di mangiarlo? Ti senti in colpa quando ti allontani dal tuo piano alimentare? Sono alcune delle domande del The Bratman test for orthorexia, un questionario facilmente reperibile online che – almeno nelle intenzioni – individua chi è affetto da ortoressia nervosa, un disturbo alimentare in cui i pazienti, impegnati nel seguire una dieta, finiscono per diventarne schiavi, attribuendo un’importanza eccessiva al cibo sano. 

La parola ortoressia  – dal greco orthos (giusto) e órexis (appetito) – è comparsa per la prima volta in un saggio del 1997 pubblicato sulla rivista Yoga Journal dal medico statunitense Steven Bratman, affiancandosi ai disturbi alimentari più noti – anoressia e bulimia – e ispirando decine di nuove “-oressie”. Vent’anni dopo Bratman è tornato sull’argomento per aggiustare il tiro, spiegando che non sempre chi sceglie un’alimentazione sana, per quanto rigida, può essere considerato ortoressico. Inoltre, ha ridimensionato il valore del test che gli viene attribuito, erroneamente utilizzato per diagnosticare il disturbo.

Ripartiamo dal cibo

Bratman, cosa le viene in mente se dico ortoressia?
Con tutta onestà è un argomento che mi ha molto annoiato. Sono oramai anni che mi interesso di altro.

Eppure è stato lei, circa venticinque anni fa, a inventare quella parola. Cos’è successo nel frattempo?
Alla metà degli anni Novanta praticavo la medicina alternativa e mi accorsi che le teorie dietetiche associate a quell’approccio erano molto specifiche e potevano risultare profondamente impegnative per certi pazienti, creando loro dei problemi. Molti si concentravano eccessivamente sul cibo, assegnavano un significato e un potere smisurato a tutto quello che mettevano in bocca. La ricerca della salute fisica aveva portato alcuni a seguire uno stile di vita rigido, pauroso e autopunitivo. La dieta diventava una malattia e i danni superavano i benefici. È stato allora che, con l’aiuto di uno studioso greco, ho coniato il termine ortoressia nervosa. 

“Tra coloro che seguivano la medicina alternativa, c'era chi si concentrava eccessivamente sugli alimenti, conducendo uno stile di vita rigido, pauroso e autopunitivo”

Oggi l’ortoressia è considerata a tutti gli effetti un disturbo alimentare. È d’accordo?
Venticinque anni fa non volevo proporre un nuovo disturbo alimentare, adesso l’ortoressia rientra certamente nella categoria. Tuttavia, a differenza di altre patologie, si maschera da virtù. Gli ortoressici sono orgogliosi di prendersi cura della propria salute nel miglior modo possibile.

L’ortoressia non è stata ancora riconosciuta come patologia dal Dsm-5, il principale manuale diagnostico dei disturbi mentali. Crede sia una scelta corretta?
Assolutamente sì. Il Dsm è un sistema progettato per classificare diagnosi ampiamente accettate e studiate. Ci sono voluti decenni, ad esempio, per includere la bulimia. 

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Sul web è facile trovare un test che porta il suo nome, che consente di capire se si è davvero ortoressici. Ne riconosce la paternità?
Nel mio libro Health Food Junkies c’è un capitolo che, in modo popolare e certamente non scientifico, fornisce alcuni criteri per individuare l'ortoressia. Sono dieci domande con allegati diversi paragrafi esplicativi. Tempo fa un ricercatore italiano mi chiese il permesso di usare quelle domande e dissi di sì; lui le assemblò e inventò “il test dell’ortoressia di Bratman”. Non è una definizione appropriata, perché un test che punta a individuare una diagnosi è più complesso. In questi anni hanno visto la luce altri questionari che semplicemente non vanno bene. La verità è che è molto difficile creare un test attendibile, ce ne sono un paio di nuovi in lavorazione, come la scala dell'ortoressia di Dusseldorf che mi sembra buona.

Esiste un collegamento tra ortoressia e altre patologie come l’anoressia o la bulimia?
Oggi ortoressia e anoressia sono più connesse rispetto al passato. Mentre l'anoressico – ma questo vale anche per il bulimico – si concentra sulla quantità di cibo, l’ortoressico si fissa sulla qualità, spendendo gran parte della sua vita nella pianificazione, nell’acquisto, nella preparazione e nel consumo dei pasti. 

Chi è affetto da ortoressia segue un regime alimentare rigido ma comunque “sano”, quindi le conseguenze sulla salute non dovrebbero essere negative. È davvero così?
In Svezia e in Norvegia l’ortoressia si manifesta soprattutto attraverso un esercizio fisico eccessivo e, sebbene il peso complessivo dei pazienti sia buono, la percentuale di grasso corporeo è eccessivamente bassa e quindi malsana.

Crede che una persona infelice abbia maggiori possibilità di diventare ortoressica?
Non lo so. "Infelice" non ha un significato preciso. Quando ho scritto il mio libro, la maggior parte delle persone ortoressiche stavano cercando di migliorare la propria salute e hanno seguito l'una o l'altra teoria della medicina alternativa. Io stesso ho fatto quel percorso e non ero affatto infelice. Mi sentivo un po' strano, ma non ricordo di essere stato infelice.

“Molte diete non hanno una base empirica e chi le segue si sente legittimato a dare consigli. È come convertirsi a una religione”

È possibile che la ricerca di una dieta salutare diventi qualcosa di cool, da esibire sui social per differenziarsi dalla massa?
È probabile che ciò avvenga in alcune persone, ma non ho approfondito la questione.

In Health Food Junkies spiega che dall’ortoressia si può guarire, attraverso un percorso più semplice rispetto a quello previsto per altri disturbi alimentari. Come si riesce a convincere e non rafforzare il paziente nelle sue convinzioni?
Il recupero da un disturbo alimentare si ottiene raramente attraverso i consigli, è più come guarire dall'alcolismo. La persona deve essere pronta e la terapia può aiutare.

Negli ultimi tempi, in virtù di un presunto regime alimentare corretto, molte persone senza alcuna competenza dispensano consigli e ostentano diete. La preoccupa questa tendenza?
Almeno il 25 per cento dei consigli che danno i nutrizionisti standard non poggiano su basi scientifiche. Non ci sono prove empiriche, ad esempio, che dimostrino come la riduzione dei grassi nella dieta, l'eliminazione della carne rossa o il consumo di cinque porzioni di verdure al giorno siano necessari, importanti o anche solo vagamente utili, eppure quel consiglio è dato costantemente. E anche l’idea di bere ogni giorno molta acqua si basa sul nulla. Molte diete si fondano su teorie immaginarie e piuttosto banali da imparare, e chi le segue si sente quasi legittimato a dispensare consigli. Scoprire una dieta è come convertirsi a una religione, si diventa credenti, è una questione di fede.

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