
La Corsica impara a dire mafia

4 maggio 2025
Pubblichiamo un estratto dal primo capitolo del libro I porti e le mafie. Interessi criminali negli scali di Genova e Gioia Tauro, scritto da Marco Antonelli e pubblicato da Rubbettino Università.
***
Oltre ad essere un’infrastruttura strategica per i traffici illeciti, gli scali marittimi possono essere anche un’occasione per investire in attività lecite. Alcuni studi hanno analizzato le connessioni tra criminalità organizzata e i settori dell’economia legale, concentrando l’attenzione sul rapporto con il mercato del lavoro.
Tra i casi più noti vi è quello relativo al porto di Marsiglia, dove fin dai primi anni del Novecento è stato riscontrato lo sviluppo di gruppi che, assumendo sempre maggiore rilevanza a livello internazionale nei mercati illeciti, sono stati in grado di sfruttare la diffusa corruzione del governo locale e stringere legami con il sistema politico locale proprio grazie alla loro presenza in ambito portuale (Monzini 2003). Questi fattori rendevano possibile non solo la prosecuzione delle attività illecite – che non venivano perseguite dalle autorità – ma anche la possibilità da parte di alcuni esponenti delle famiglie criminali di assumere ruoli apicali tra gli attori economici del porto, come nel caso dei vertici della Syndicat des Inscrits Maritimes, uno dei sindacati dei lavoratori portuali. Questi gruppi, attraverso il doppio ruolo di rappresentanti sindacali ed esponenti della criminalità, erano in grado di "monopolizzare il lavoro quotidiano dei portuali" (Monzini 2003, p. 181), diventando, di fatto, garanti dell’intero sistema socio-economico portuale (Monzini 1999).
A New York ci si rivolgeva al network gangsteristico "come al garante di attività economiche o al redistributore di risorse"
Simili dinamiche evolutive si sono registrate nel porto di New York fin dall’inizio del Novecento (Jacobs 2006). Alcune ricerche hanno guardato agli interessi di alcune famiglie di mafia, i cui boss, dopo aver operato nel traffico illegale di alcolici e accumulato capitale economico, hanno trasformato il proprio business iniziando a svolgere un ruolo di mediatori, che ha consentito loro di stringere legami con politici e imprenditori, necessari per infiltrarsi anche nell’economia legale (Lupo 2008).
Nel porto questo è ben visibile guardando la composizione dell’epoca dell’International Longshoremen’s Association (Ila), il sindacato degli scaricatori, e del City Democratic Club di South Brooklyn, dove erano presenti i vertici dei gruppi criminali locali. In quel contesto ci si rivolgeva al network gangsteristico "come al garante di attività economiche o al redistributore di risorse" (Lupo 2008, p. 97). L’Ila, infatti, era il soggetto che istituzionalmente gestiva e coordinava in modo monopolistico i circa 30 mila lavoratori del porto, suddivisi in 31 union locals, ognuna delle quali aveva in gestione una banchina e trattava direttamente con la singola impresa per la fornitura della manodopera. Questo "mix di monopolio e concorrenza, garantendo il precariato e il livello basso dei salari, era ben gradito alle imprese" (Lupo 2008, p. 99) e garantiva ai gruppi criminali un potere ampio, che si traduceva nella possibilità di instaurare un dialogo anche con il mondo della politica.
Altre ricerche hanno messo in evidenza come nello studio dei porti si sia data troppa importanza alla struttura del mercato del lavoro al loro interno, mentre ciò che risulta utile analizzare – almeno nel caso di New York nel Novecento – è "il rapporto tra criminalità organizzata e impresa privata all’interno di un mercato regolamentato e organizzato" (Block 1982, p. 373). Questa dimensione deve essere collegata con uno studio sull’impatto delle agenzie di regolazione come la Waterfront Commission of New York Harbor, creata appositamente per controllare il crimine organizzato, anche se non sempre in modo efficace (Levy 1989). Secondo questa analisi, l’attività principale dei gruppi criminali era la gestione professionale dei servizi di protezione e di regolazione in risposta a un bisogno del mercato imprenditoriale del porto, che richiede l’assenza di proteste da parte dei lavoratori. In questo caso, dunque, la corruzione nei processi di selezione e di controllo del personale diventa pratica istituzionalizzata all’interno del porto, il meccanismo principale di regolazione del mercato del lavoro e, come conseguenza, anche delle operazioni portuali (Block 1991).
Libera accende un faro sulla criminalità nei porti: "Politica timida"
Uno studio relativo al porto di Genova ha messo in luce come "i diversi segmenti dell’economia portuale sono opportunità che l’economia di una città offre alla criminalità organizzata" (Sergi 2021, p. 9). Secondo questa analisi, questi fenomeni possono anche esplicitarsi per "sfruttare l’opportunità di contratti per servizi nel porto, ad esempio per la costruzione, la fornitura di macchinari, i servizi di catering e così via" (Ibidem).
Nel porto ligure questo sembra essere successo, evidenziando come vi sia una forte connessione tra l’economia urbana e l’economia portuale, e come gli spazi per operare in queste intersezioni siano caratterizzati da una forte competizione nella quale la criminalità organizzata può assumere un ruolo rilevante. Questa prospettiva è utile perché contribuisce ad inquadrare il porto in una visione locale, fortemente interconnessa con il tessuto urbano e, di conseguenza, con le economie legali e illegali presenti in esso. In questa scia si inseriscono anche altri studi che hanno guardato agli attori economici privati, in particolare al port management, come soggetti che possono facilitare la presenza criminale o che sono per le organizzazioni criminali potenziali ruoli di interesse da ricoprire (Storti et al. 2023).
Gli spunti fin qui emersi suggeriscono, dunque, di guardare al fenomeno analizzando non solo la struttura dei mercati (in particolare il mercato del lavoro e il rapporto tra gruppi criminali e imprese) ristretti all’interno dello spazio portuale, ma anche alle connessioni, ai legami e alle implicazioni che questi definiscono con le strutture di opportunità offerte dal contesto territoriale. Questo ci porta, dunque, a confrontarci anche con il funzionamento – e il malfunzionamento – della governance portuale, della politica locale e delle economie legate agli scali.
Genova, portuali al soldo dei narcos
I traffici illeciti sfruttano le reti logistiche e le infrastrutture già destinate ai mercati legali
D’altra parte, anche i mercati illeciti legati alle attività marittime possono essere molteplici, tra cui anche pirateria, terrorismo, pesca illegale, inquinamento ambientale, furto di navi o il traffico di esseri umani (Klein 2011; Edgerton 2013; Massari 2017; Carnì 2024). Ciò che interessa in questa analisi riguarda, però, esclusivamente quei mercati che trovano all’interno degli scali un qualche tipo di manifestazione. Nei porti, infatti, si presentano proiezioni illecite che in qualche modo presentano un certo legame tra dimensione marittima e dimensione terrestre, che impone di adottare uno sguardo analiticamente più circoscritto.
[...]
In molti di questi casi, i traffici illeciti sfruttano le reti logistiche e le infrastrutture già destinate ai mercati legali. In questa prospettiva risulta di interesse il concetto di structural embeddedness. I porti, infatti, si prestano ad essere luoghi dove le attività criminali sono strutturalmente insediate all’interno dei circuiti legali: "offrendo una combinazione di nodi, percorsi e confini, alcune professioni offrono eccellenti opportunità per le attività della criminalità organizzata, in particolare in relazione alla fornitura di beni e servizi illegali. Ad esempio, la conoscenza delle rotte marittime internazionali, del trasporto stradale internazionale, delle routine di importazione ed esportazione e dei contatti sociali che si stabiliscono su queste rotte sono utili sia agli imprenditori criminali che agli uomini d’affari legittimi" (Van de Bunt et al. 2014, p. 328).
Il porto, dunque, non è soltanto un luogo di congiunzione tra reti commerciali e di scambio per gli attori della sfera legale, ma anche per quelli illegali. Rilevante notare come il concetto di embeddedness si applichi qui sia per evocare la dimensione spaziale, sia quella sociale.
Ad Anversa si sigla l'alleanza europea dei porti contro i narcos
La criminalità organizzata si presenta come agente che sfrutta flussi consolidati e canali economici pre-esistenti, ma è anche in grado di crearne di propri
Sostenere questo stretto legame tra mercati illegali e infrastrutture, allo stesso tempo, non esclude che vengano create filiere e percorsi paralleli e alternativi nelle rotte marittime (Antonelli 2024c). In definitiva, la criminalità organizzata si presenta come agente che sfrutta flussi consolidati e canali economici pre-esistenti, ma è anche in grado di crearne di propri. Questa duplice dimensione è estremamente interessante sia in termini teorici, sia per le implicazioni pratiche: a seconda del piano su cui si manifestano, le organizzazioni criminali sono indotte a ricorrere a risorse strumentali, umane e professionali diverse, spesso esterne all’organizzazione stessa. Ad esempio, trasportare un carico di cocaina su una nave porta container da un porto a un altro richiede competenze e capacità organizzative ben diverse dal trasportare un carico simile su una imbarcazione di proprietà (Antonelli 2024a).
Il fatto che le organizzazioni criminali utilizzino le rotte commerciali esistenti le rende per certi aspetti dipendenti dal funzionamento o malfunzionamento delle stesse, così come dai mutamenti che avvengono sia nel mondo dello shipping, sia all’interno del singolo scalo (Antonelli 2024a). Secondo alcuni autori, i gruppi criminali "sono fortemente influenzati dalle variazioni dei fattori commerciali dei porti marittimi e delle rotte e dei programmi commerciali delle compagnie di navigazione" (McNicholas 2008 p. 192).
Allo stesso tempo, è innegabile riconoscere come l’offerta di trasporti è talmente elevata e interconnessa che per le organizzazioni criminali è spesso possibile individuare una rotta commerciale alternativa o un diverso porto di approdo anche in occasione di questi mutamenti. Infatti, alcuni studi mostrano come i trafficanti siano meno condizionati dalla posizione geografica dello scalo rispetto all’area territoriale di origine del gruppo criminale, mentre vi è una maggiore attenzione al fatto che sia minimizzato il rischio di perdita della sostanza illecita (Zaitch 2002).
In altre parole, per le organizzazioni criminali è preferibile muoversi in territori geograficamente distanti rispetto al luogo di destinazione della merce (o di operatività del gruppo) piuttosto che proseguire ad operare in una rotta che, per vari motivi, potrebbe risultare compromessa. Come riconosciuto anche da alcuni attori istituzionali, la scelta del porto "prescinde dall’area criminale di interesse e dal territorio controllato dall’organizzazione, ma avviene sulla base delle aderenze che la stessa può garantirsi, anche all’estero, nonché delle capacità logistiche, di controllo e gestione di società di trasporto merci, non solo per via marittima" (Direzione centrale dei servizi antidroga, relazione del 2019, p. 16).
Narcotraffico, l'importanza della Guinea-Bissau
Il fatto che un porto sia caratterizzato da un numero elevato di movimentazioni e da un’ampia quantità di merci rende più complicata l’azione di controllo e di monitoraggio
Le dinamiche evidenziate sembrano essere particolarmente evidenti negli studi sui traffici di stupefacenti. Nonostante le azioni di security e policing "portano alla diluizione e alla frammentazione dell'importazione di droga" (Sergi 2022, p. 674), vi è una stretta connessione e, per certi versi, una sovrapposizione tra i due piani – legale e illegale – che rende più difficile l’attività di contrasto, anche in termini di possibili controlli.
Ricerche, infatti, individuano "il grande volume del porto – in termini di traffico e capacità – come motivo principale per utilizzarlo per il traffico di cocaina" (Zaitch 2002 p. 243). Il fatto che un porto sia caratterizzato da un numero elevato di movimentazioni e da un’ampia quantità di merci rende più complicata l’azione di controllo e di monitoraggio da parte degli attori istituzionali, che avviene necessariamente su una porzione limitata del trasportato.
Il problema principale che si trovano ad affrontare i gruppi di criminalità organizzata in questo contesto, ha a che fare con la formale inaccessibilità del porto: un luogo chiuso, interdetto a chi non vi lavora o non è autorizzato ad entrarvi (Antonelli 2024b).
Le organizzazioni criminali sono costrette a cercare costantemente una "porta" per accedervi (Sergi 2022). Per questo motivo esse hanno bisogno che all’interno dello scalo siano presenti soggetti direttamente legati al gruppo o comunque disponibili a stipulare una qualche forma di collaborazione, che significa "trovare qualcuno con una funzione utile, corruttibile per una miriade di ragioni diverse" (Sergi 2022, p. 687). Ciò avviene tendenzialmente laddove il mercato del lavoro è instabile, poiché, come alcuni autori sostengono, il traffico di stupefacenti ha a che fare con "personale portuale non stabile ma piuttosto transitorio" (Eski 2011, p. 418).
Per ottenere questa risorsa le organizzazioni criminali spesso ricorrono a scambi corruttivi dai quali gli operatori portuali sono attratti perché in condizioni debitorie dal punto di vista finanziario (per consumo di droga o gioco d’azzardo), o per sostenere economicamente la vita familiare, oppure perché coinvolti da colleghi (Eski 2016) o anche, più semplicemente, per accumulare profitti. In altri casi, però, i reticoli criminali coinvolgono figure professionali con qualifiche dirigenziali all’interno del porto per garantirsi un transito sicuro dello stupefacente.
Sembra vi sia dunque bisogno di una rete di supporto, più o meno localizzata, che renda possibile il traffico e contribuisca all’arrivo della merce, reticoli a cui possono rivolgersi le organizzazioni criminali o singolarmente propri affiliati, a seconda del livello organizzativo. Notiamo, dunque, che l’attività dei gruppi criminali nei mercali illegali nei porti dipende in certa misura da fattori contestuali come l’economia portuale e il mercato del lavoro.
[...] Nei porti, dunque, le mafie si trovano nelle condizioni di dover ampliare la rete di legami con altri attori per raccogliere varie risorse (Antonelli 2024a). Questo ha ricadute non solo per le dinamiche interne al porto e per l’organizzazione criminale, ma anche sul contesto territoriale e sul contesto criminale locale (Sergi 2021). Come sostengono alcuni studi sul traffico di cocaina nello scalo di Anversa, questo "è un fenomeno globale che ha un impatto locale sulla criminalità nel porto e nei suoi dintorni" (Easton 2020, p. 115).
[...]
Dall’analisi dei rapporti pubblicati (come quelli della Direzione nazionale antimafia e la Direzione investigativa antimafia, ndr), sembra che negli ultimi anni alcuni porti – come Ancona, Cagliari, Genova e Gioia Tauro – siano stati costantemente oggetto di proiezioni criminali, mentre altri – come Livorno, Savona e Vado Ligure – abbiano assunto rilevanza nel tempo (Antonelli 2021a; Antonelli et al. 2023). Anche, la Commissione parlamentare antimafia (Cpa) ha in più occasioni richiamato la centralità dei porti per le mafie, fin da una relazione del 1976. Nel corso del tempo l’attenzione sul tema, benché non costante, sembra aver trovato sempre maggiore spazio, anche attraverso l’avvio di audizioni specifiche ad attori pubblici e privati operanti in ambito portuale (Antonelli 2021b).
In diverse relazioni, la Commissione parlamentare antimafia ha riconosciuto i porti come porta di accesso e luogo di incontro per le attività illecite. Ad esempio, sul caso della Liguria, è stato scritto che i collegamenti marittimi offerti dalla portualità ligure "fanno sì che il territorio regionale sia stato prescelto dalla criminalità organizzata" (Cpa 1994a, p. 141) per i traffici illeciti di droga e armi.
In modo parzialmente indiretto, il tema degli interessi delle mafie nei porti emerge anche in altri report, dove i commissari analizzano il caso di Gioia Tauro, in cui nel tempo le cosche di ‘ndrangheta locale e non solo ottennero l’assegnazione dei trasporti dei materiali inerti, e si aggiudicarono (direttamente o attraverso consorzi) gli appalti banditi per la costruzione della struttura (Cpa 1994b). Proprio il porto calabrese è tra quelli più richiamati. Lo sforzo della Commissione restituisce una duplice natura dello scalo, sia come occasione per le cosche di ‘ndrangheta di trafficare merce illecita, sia come ambito in cu infiltrarsi nell’economia legale. A mero titolo esemplificativo, la Commissione si concentra, tra gli altri, sugli interessi mafiosi nelle attività di rizzaggio e derizzaggio dei containers, del rifornimento di gasolio, dei servizi di pulizia e del rifornimento di acqua in banchina. Nel descrivere questa capillarità della ‘ndrangheta, a pochi anni dall’apertura del porto, si parla di "resistibile occupazione mafiosa del porto di Gioia Tauro" (Cpa 2000, p. 184).
Le relazioni della Commissione parlamentare antimafia consentono anche di focalizzare l’attenzione sulle inefficienze e le sottovalutazioni dei soggetti pubblici. I commissari ricordano come la prefettura di Reggio Calabria avesse definito una semplice "“smagliatura” la presenza nelle attività portuali di imprese vicine alla ‘ndrangheta" (Cpa 2001, p. 59) e che "non si è potuto constatare alcuna significativa azione di prevenzione negli organismi territoriali facenti capo alla prefettura di Reggio Calabria" (Cpa 2001, p. 61).
La chiosa della Cpa parla di: "totale assenza di coordinamento e di pianificazione del controllo amministrativo che, lungi dall’assumere quei caratteri di attenzione e di rigore che imporrebbero determinate circostanze ambientali, proprio nei contesti più esposti alla infiltrazione mafiosa diviene evanescente e di fatto, anziché costituire un ostacolo alle imprese di mafia, le agevola, con silenzi, connivenze, negligenza" (Cpa 2001, p. 62).
Più di recente, la Commissione parlamentare antimafia ha posto particolare attenzione sul tema dei porti, declinandola, però, in termini di sicurezza. Viene redatta una specifica relazione, che prende le mosse da considerazioni relative alla "elevata porosità dei sorgitori italiani, molto esposti alle attività illecite delle organizzazioni criminali e parallelamente a possibili minacce di natura terroristica; l’efficacia delle misure di sicurezza preventive adottate dai vari organi o agenzie preposte a contrastare l’infiltrazione della criminalità organizzata negli ambiti portuali e i relativi traffici illeciti da cui traggono ingenti profitti" (Cpa 2022, p. 9).
In questo dibattito sui porti, il tema degli stupefacenti è centrale per le agenzie di contrasto. La Direzione centrale dei servizi antidroga (Dcsa), presenta annualmente dati aggiornati su indagini e sequestri di stupefacente avvenuti nelle frontiere, tra cui quelle marittime, e in particolare portuali, continuano ad essere rilevanti, soprattutto per la cocaina (Dcsa 2023).
Sebbene non esenti da alcuni limiti metodologici, questa documentazione ufficiale consente di esplorare un peculiare punto di vista sul tema, nonché di fare una fotografia – sebbene parziale – del fenomeno. Infatti, secondo un recente rapporto pubblicato da Libera, in cui vengono analizzate anche le relazioni della Direzione investigativa antimafia, tra il 2006 e il 2022 sono stati 58 i porti italiani oggetto di interesse per le mafie, con la partecipazione di almeno 66 gruppi criminali, di cui 41 sono gruppi di ‘ndrangheta che hanno operato in diversi mercati illeciti: traffico di rifiuti, traffico di armi, contrabbando sigarette e tabacco, traffico di prodotti contraffatti, estorsioni e usura, e soprattutto traffico di stupefacenti (Antonelli et al. 2023).
Crediamo in un giornalismo di servizio a cittadine e cittadini, in notizie che non scadono il giorno dopo. Aiutaci a offrire un'informazione di qualità, sostieni lavialibera
Diventare un lettore registrato de lavialibera.it non costa nulla e ha molti vantaggi. Avrai accesso a contenuti inediti dedicati e riceverai le nostre newsletter: ogni sabato la raccolta degli articoli della settimana e ogni prima domenica del mese un approfondimento speciale.
Registrati ora!Se sei già registrato clicca qui per accedere e leggere l'articolo
Crisi idrica, incendi, mafie e povertà: chi guadagna e chi si ribella nella Sicilia delle emergenze