La Port House, sede dell'autorità  portuale di Anversa, progettata dall'archistar Zaha Hadid (Foto A. Giambartolomei)
La Port House, sede dell'autorità  portuale di Anversa, progettata dall'archistar Zaha Hadid (Foto A. Giambartolomei)

Anversa e Gioia Tauro, gli affari dei narcotrafficanti vanno in porto

Per i traffici di cocaina la 'ndrangheta mette un piede nei terminal del Nord Europa, come Anversa e Rotterdam, ma lo scalo del Mediterraneo resta centrale grazie al lavoro di operatori collusi

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

12 settembre 2023

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"Qui alla vostra destra vedete i container bianchi. Sono quelli frigoriferi utilizzati per trasportare frutta e verdura, perché il colore bianco aiuta a mantenere la temperatura più bassa all’interno. Lì alla vostra sinistra, invece, il magazzino dove vengono stoccati i carichi di caffè". A poppa di una piccola imbarcazione turistica, la guida al microfono spiega in tre lingue diverse – fiammingo, francese e inglese – il funzionamento del porto di Anversa (Belgio). A bordo alcuni turisti, un gruppo di pensionati di Liegi e l’ufficio di comunicazione di un partito belga impegnato in una gita di team building, osservano moli, container, gru, mezzi in movimento e portuali all’opera. La visita guidata a una piccola parte di questo enorme porto è un’esperienza utile a chi vuole farsi una prima idea di come funzioni e quanto complesso e imponente sia il commercio internazionale sul mare. Anche quello di cocaina.

Ai primi posti in Europa, il porto di Anversa è diventato uno snodo importante dei traffici di stupefacenti. Qui nel 2022 sono transitate merci di ogni tipo per 13,5 milioni di Teu, cioè l’unità di misura dei container standard da 20 piedi di lunghezza; poco meno di quelle passate per Rotterdam (14,4 milioni) e poco più rispetto ad Amburgo (8,2). Anche i trafficanti legati alla ’ndrangheta capiscono l’importanza strategica di questo e di altri porti, come Gioia Tauro, Anversa e Rotterdam, utili a recuperare e spedire imponenti partite di cocaina in arrivo dal Sud America via nave, e in particolare dalla Colombia, da Panama, dal Brasile e dall’Ecuador. I trasferimenti sono resi possibili da solidi e stabili rapporti con operatori portuali corrotti. "Questa prerogativa costituisce un punto di forza per le predette organizzazioni, che riescono così ad accreditarsi presso i fornitori sudamericani per la spedizione di ingenti carichi", si legge nell’ordinanza dell’indagine Eureka, la recente e più importante operazione transnazionale contro le cosche calabresi.

Ogni chilo di cocaina, comprato a 6mila dollari in Sud America, viene rivenduto in Italia, in Calabria, a Napoli, Roma o Milano a cifre tra i 25mila e i 35mila euro. Il rischio di impresa è alto, ma lo sono anche i guadagni.

Nel porto di Anversa, la 'ndrangheta gioca fuori casa

Una nave porta-container che trasporta carichi di frutta esotica. Spesso si tratta delle spedizioni più utilizzare per nascondere le partite di cocaina (Foto A. Giambartolomei)
Una nave porta-container che trasporta carichi di frutta esotica. Spesso si tratta delle spedizioni più utilizzare per nascondere le partite di cocaina (Foto A. Giambartolomei)
"Se era da noi, Calabria, non c’è problema ma qua ad Anversa sono altre persone che entrano dentro, stranieri, e quindi per poco non lo fanno"Carmelo Morabito

Ad Anversa le cosche devono appoggiarsi ad altri gruppi criminali, che siano quelli della moccro mafia (trafficanti di origine marocchina, nati o cresciuti in Belgio e in Olanda), clan albanesi o serbi. Bisogna cooperare con loro, fare affari, condividere la merce, co-finanziare gli acquisti. Perché Anversa è un porto enorme e per far uscire i carichi bisogna sapersi muovere e avere complici esperti che non lavorano per poco. Alcuni non si scomodano neppure per undici “pacchi”, quasi una decina di chili di merce: "Se era da noi, Calabria, non c’è problema ma qua ad Anversa sono altre persone che entrano dentro, stranieri, e quindi per poco non lo fanno", spiegava il 14 aprile 2020 in una chat criptata con l’applicazione SkyEcc Carmelo Morabito, nipote di Rocco Morabito detto “Tamunga”, ’ndranghetista e narcotrafficante per oltre 20 anni latitante in America Latina, arrestato nel 2017, evaso nel 2019 e infine arrestato di nuovo il 24 maggio 2021.

Rocco Morabito, ascesa e caduta dell'Escobar di Africo

Tutta la sua organizzazione stava cercando una squadra per scaricare la merce, un carico da 275 chili, costati 715mila euro, in arrivo dal Brasile. Un complice del Tamunga sosteneva di avere delle conoscenze nel porto belga, un ignoto nascosto dietro il nickname “Berlusconi”: Rotterdam, Anversa e Le Havre sono gli scali dove diceva di potere intervenire. Il gruppo dei Morabito si è servito anche dell’aiuto di alcuni trafficanti serbi: "Lì hanno un uomo per lo scarico", che costa il 20 per cento del valore della merce, spiegava un altro complice del Tamunga, Pietro Fotia. Imprenditore calabrese trapiantato in Liguria, Fotia vanta contatti di altissimo livello (un capo religioso, un alto funzionario della polizia, un politico del governo) in Pakistan, dove – per conto di Morabito – potrebbe reperire "armi grosse", tipo kalashnikov, per pagare la fornitura di coca agli "amici di Rio", guerriglieri di un’organizzazione paramilitare attiva anche nella produzione di droga.

In Belgio, la ’ndrina di San Luca legata agli Strangio “Fracascia” può invece contare sulla presenza di alcuni italo-belgi, i fratelli Aquino (vedi l'articolo sul Belgio) che gestiscono una fitta rete di legami in America latina, come il clan del Golfo, "organizzazione paramilitare e narco-terroristica colombiana facente capo, sino all’ottobre del 2021, a Dario Antonio Osuga, soprannominato Otoniel", un pezzo grosso. C’è spazio per tutti ad Anversa. Nel 2022 le autorità belghe hanno segnato un record di sequestri di cocaina, 110 tonnellate, un nuovo picco dopo le 91 tonnellate sequestrate nel 2021.

"L’epicentro del mercato della cocaina in Europa si è spostato verso nord", sentenzia in una relazione la Direzione centrale dei servizi antidroga (Dcsa), gruppo composto dalle forze di polizia italiane per indagare e analizzare il mercato degli stupefacenti. "Anversa, Amburgo e Rotterdam, essendo i più grandi porti per container dell’Unione europea, sono gravemente colpiti dal traffico marittimo di stupefacenti tramite container – si legge in un rapporto dell’Europol dell’aprile 2023 –. Le reti criminali prendono di mira questi porti soprattutto per la possibilità di nascondere la droga tra l’enorme afflusso di container e per i tanti soggetti con accesso al porto che offrono opportunità di infiltrazione". Le organizzazioni malavitose sfruttano anche l’efficiente rete di infrastrutture legata a questi scali marittimi nordeuropei: "Essendo ben collegati al sistema di trasporto europeo, da questi porti è possibile organizzare un’efficiente distribuzione delle partite di droga in tutta l’Ue".

L'infografica: Porti d'Europa: moli di coca 

Gioia Tauro, ancora centrale

"I controlli sono numerosi, serrati e penetranti, molti di più, e ancor più incisivi, che in tutti gli altri porti del mondo"Andrea Agostinelli - Ammiraglio, presidente dell'Autorità portuale di Gioia Tauro

Nonostante la concorrenza degli altri scali, ancora oggi il porto di Gioia Tauro riveste "un ruolo di assoluta centralità", sostiene Antonino Maggiore, fino a luglio a capo della Dcsa. Negli ultimi anni sui moli calabresi sono state sequestrate quantità sempre maggiori di cocaina: 13 tonnellate nel 2021; 6 nel 2020; 2,2 nel 2019, dieci volte di più dell’anno precedente. "I controlli sono numerosi, serrati e penetranti, molti di più, e ancor più incisivi, che in tutti gli altri porti del mondo", ha dichiarato a novembre il presidente dell’Autorità portuale, l’ammiraglio Andrea Agostinelli. Per passare indenni alle verifiche, i trafficanti di droga hanno bisogno di persone con un’ottima conoscenza dei meccanismi della logistica e dei trasporti via container, che possano organizzare l’esfiltrazione, cioè il recupero, della merce dalle navi.

In questo scalo del Mediterraneo, dove lavorano quasi duemila portuali, i gruppo criminali avevano i loro uomini di riferimento. Per le cosche di Bovalino il terminale è Antonio Reitano, ritenuto dagli investigatori il "referente della squadra di portuali corrotti" a Gioia Tauro: "Noi abbiamo tutte le potenzialità di fare lavori", garantiva in una chat, perché "io da 19 anni lavoro al porto". Nelle sue spiegazioni era preciso, illustrava i meccanismi, i vantaggi, gli svantaggi e i rischi, col timore costante che i container potessero essere passati in uno scanner, molto all’avanguardia, del porto calabrese. Cos’è meglio usare, i container frigo o quelli “secchi”? Carichi di frutta esotica, soprattutto banane, o materiali non deperibili come legno o metallo? Reitano aveva sempre un consiglio giusto e sapeva quando rischiare e quando no.

Le mani delle mafie sui porti d'Italia

"Qui operano 1300 lavoratori diretti e 800 indiretti, i collusi sono una percentuale irrisoria"Domenico Laganà - Segretario Filt-Cgil della Piana di Gioia Tauro

I Nirta “Versu” di San Luca, invece, potevano contare su tre uomini (Domenico Iannaci, Vincenzo Larosa e Giuseppe Ficara) che gestivano “squadre” di lavoratori portuali "con lo specifico ruolo di gestire tutte le attività connesse alle operazioni di esfiltrazione delle partite di stupefacente dai container imbarcati sulle navi giunte, anche solo in transito, nel porto di Gioia Tauro, assicurando la buona riuscita dell’importazione". Il servizio offerto dai tre uomini iniziava dal porto di partenza, "dando indicazioni ai fornitori sulle navi, sui container e sulle rotte più sicure, nonché su come effettuare la “salita” ovvero sulle modalità di carico e occultamento della cocaina in partenza, attività tutte necessarie per la buona riuscita delle operazioni di “uscita” della droga dal porto di Gioia Tauro". A volte trovavano anche delle ditte che potevano ricevere l’intero carico (lecito e non) del container, per passare meglio i controlli. Il costo del pacchetto di servizi spesso è pari al 20 per cento della quantità movimentata, che gli intermediari possono rivendere come vogliono, a volte a prezzi più competitivi dei reali importatori.

Come fornitori di servizi, Iannaci e Larosa offrivano le loro prestazioni anche ad altri narcotrafficanti calabresi, come Bartolo Bruzzaniti, estradato in Italia ai primi di agosto dopo mesi di latitanza di Libano. Il suo nome è contenuto in due recenti indagini: il filone di Eureka sulla latitanza e gli affari di Rocco Morabito, di cui Bruzzaniti sosteneva la latitanza e l’operatività, e l’operazione Tre croci, condotta dalla Guardia di finanza, sulle importazioni di coca organizzate da Bruzzaniti e altri (tra cui il broker campano Raffaele Imperiale) e sulle complicità di alcuni lavoratori del porto e di un dipendente delle Dogane. Eureka non fa luce sulle complicità all’interno del porto, per questo il tribunale di Reggio Calabria, nell’ordinanza su Bruzzaniti e Morabito, sottolinea "l’esigenza di compiere ulteriori indagini in merito ai numerosi soggetti non identificati coinvolti nei narcotraffici", tra i quali include anche gli "operatori portuali collusi".

"Qui operano 1300 lavoratori diretti e 800 indiretti, i collusi sono una percentuale irrisoria", dice a difesa della categoria Domenico Laganà, segretario della Filt-Cgil nella piana di Gioia Tauro, sottolineando come lo scalo sia tra i più importanti del Mediterraneo e il primo in Italia anche grazie al lavoro dei suoi uomini. "Ci sono delle procedure di controllo imponenti che rallentano le operazioni, ma di cui non si può fare a meno", conclude.

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