Coca in Australia, oro in Germania. Gli affari globali di Imperiale

Una nuova inchiesta rivela i traffici di cocaina e il riciclaggio di denaro sporco guidato dal broker campano Raffaele Imperiale, il "boss dei Van Gogh"

Daniela De Crescenzo

Daniela De CrescenzoGiornalista

17 novembre 2022

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In un anno, dal marzo 2020 al marzo 2021, ha importato sette tonnellate di cocaina per poi esportarlo in mezzo mondo, tentando di fare arrivare 600 chili perfino in Australia. Per riciclare tutto quel denaro illecito, frutto del narcotraffico, ha comprato oro fino a mandare in tilt il mercato napoletano e fatto viaggiare camion carichi di denaro verso la Germania e i Paesi Bassi. Ha stretto legami con i maggiori trafficanti di mezzo mondo, a cominciare da quelli della ‘ndrangheta. Ma alla fine a fregarlo sono stati proprio quei sistemi informatici che fino a ieri ne avevano garantito l’immunità. Raffaele Imperiale, uno dei più importanti trafficanti di cocaina, è stato colpito, insieme ad altre 27 persone (tra di loro anche il presidente del Villa Literno calcio, Giovanni Fontana), da una nuova ordinanza di custodia cautelare: questa volta a descrivere l’import-export della droga è stato proprio lui nelle conversazioni che riteneva a prova di hacker e che invece sono state decifrate.

Il narco Imperiale è in cella, ma la caccia al suo tesoro prosegue

Le indagini che ieri hanno portato il giudice per le indagini preliminari Linda D’Ancona a firmare una corposissima ordinanza, quasi novecento pagine, vanno avanti da molti anni (e infatti Imperiale ha già una condanna definitiva per traffico internazionale di stupefacenti e a marzo è stato estradato da Dubai, dove viveva ormai da anni), ma hanno trovato nuovo slancio grazie alla collaborazione di Europol che ha inviato agli inquirenti milioni di conversazioni. La squadra formata da investigatori olandesi, belgi e francesi è riuscita a trovare le chiavi per decriptare le chat di applicazioni come Encrochat e SkyECC che finora avevano garantito un canale sicuro di comunicazione a molti protagonisti dei traffici illegali. Conversazioni e chat (in italiano, ma anche in inglese, spagnolo e olandese: Imperiale parla correntemente tutte queste lingue) sono poi state attribuite ai singoli malviventi visto che il sistema identifica gli utenti con nickname o con pin, e contestualizzate. E così attraverso la lettura dell’ordinanza di custodia cautelare è possibile seguire il carico e lo scarico della merce, la contabilità dei vari gruppi, e perfino le spese personali di Imperiale e delle sue famiglie che, scopriamo, hanno superato i tre milioni nel primo trimestre del 2020. Se si sommano le uscite per la gestione si arriva quasi a sette milioni negli stessi tre mesi.

Nella memoria difensiva consegnata agli inquirenti nel 2016, Imperiale aveva sostenuto che le sue attività fossero cessate dopo il 2008 a causa del venir meno del suo principale fornitore, Rick Van De Bunt, e invece – scopriamo adesso – il bello doveva ancora venire: dalle indagini portate aventi in questi anni dal comando provinciale della guardia di finanza e della squadra mobile di Napoli, dal Servizio centrale investigazione criminalità organizzata (Scico) e dal Servizio centrale operativo (Sco) della polizia di Stato, emerge che nei fatti Imperiale aveva sostituito il suo broker di fiducia.

Narcotraffico, il nemico corre veloce

Il narcotrafficante – si legge nel comunicato della procura – "ha fatto sì che lo stupefacente proveniente dal Sud America, nascosto all’interno di container, raggiungesse via mare i principali scali marittimi commerciali europei grazie ad accordi, alleanze e joint venture intrecciate, a partire da gennaio 2017, con narcotrafficanti sud americani ed europei di primissimo livello: sia colombiani delle famigerate formazioni paramilitari conosciute come Clan del Golfo, sia olandesi di origine marocchina che nel frattempo si affermavano sulla scena tra i principali gruppi criminali nel controllo del traffico di cocaina dal Sudamerica nei porti di Rotterdam (Paesi Bassi) e Anversa (Belgio), sia irlandesi”. L’alleanza con Bartolo Bruzzaniti e con le cosche calabresi (tra i suoi clienti anche Giuseppe Mammoliti) ha poi reso accessibile il porto di Gioia Tauro ai container contenenti cocaina: la collaborazione di alcuni dipendenti portuali corrotti permetteva di scaricare tranquillamente, come rivelato a ottobre da un'altra indagine, coordinata questa volta dalla procura di Reggio Calabria.

Giunto sulla terra ferma, lo stupefacente veniva prelevato e trasportato su gomma da una serie di autotrasportatori alle dipendenze del broker per essere poi nascosto in nascondigli sistemati in Campania, Calabria, Emilia Romagna e Lazio e da lì distribuiti in tutto il mondo.

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