Afghanistan, 2005. Un papavero da oppio (Zalmai/Un Photo/Unodc CC BY-NC-ND 2.0)
Afghanistan, 2005. Un papavero da oppio (Zalmai/Un Photo/Unodc CC BY-NC-ND 2.0)

Eroina e non solo: vecchi e nuovi traffici nell'Afghanistan dei talebani

Nonostante il divieto imposto dall'emirato islamico, la coltivazione di oppio e il commercio di eroina da esso ricavata sembrano continuare indisturbati. Ma a preoccupare le autorità antidroga italiane ed europee è anche la produzione di metanfetamina a base vegetale, nuova frontiera del narcotraffico afghano

Paolo Valenti

Paolo ValentiRedattore lavialibera

16 novembre 2022

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Da quando i talebani hanno ripreso il potere nell’agosto 2021 molte cose sono cambiate in Afghanistan: niente più scuola per le ragazze, hijab obbligatorio, taglio drastico degli aiuti internazionali con il conseguente collasso dell’economia. C’è però un settore che non sembra aver subito alcun contraccolpo, almeno per il momento: quello della produzione e del commercio di eroina, di cui il paese era e resta il principale snodo internazionale.

Secondo il rapporto dell’ufficio delle Nazioni unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) pubblicato a inizio novembre, quest’anno la superficie destinata alla coltivazione di papavero da oppio è cresciuta del 32 per cento rispetto al 2021. Ora sono produttivi 233 ettari di terreno, concentrati soprattutto nel sud-ovest del Paese: il dato più alto mai registrato dopo quello del 2017. Dal loro raccolto – prevede l’Unodc – si potranno ottenere dalle 240 alle 290 tonnellate di eroina pura, o dalle 350 alle 580 tonnellate di eroina al 50-70 per cento, al netto di eventuali sequestri o perdite lungo la catena produttiva.

L’aumento è da leggere alla luce dei dati dell’anno scorso, che avevano visto una riduzione dei raccolti a causa della siccità, e tenendo in considerazione che il rapporto si basa su ricerche effettuate da remoto, soprattutto attraverso telerilevamento. Da quando i talebani sono al potere, l’Unodc ha smesso di collaborare con gli enti governativi locali per le attività di ricerca, vedendo così fortemente limitata la capacità di raccogliere dati sul campo.

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Eroina: la produzione prosegue, nonostante i talebani

Dal mercato degli oppiacei, che nel 2021 rappresentava tra il 9 e il 14 per cento del PIL nazionale, dipende la sopravvivenza di migliaia di famiglie afghane

Questo non toglie nulla alla sostanza di ciò che emerge dal rapporto: coltivazione, produzione e commercio di eroina continuano, nonostante il divieto formale annunciato dalla guida suprema dei talebani, il mullah Haibatullah Akhundzada. David Mansfield, socio-economista indipendente che ha condotto ricerche sul tema del narcotraffico in Afghanistan per diverse agenzie governative e ong, ha analizzato i motivi di questa contraddizione in un suo recente articolo. Spiega che il divieto è nato con un problema di implementazione e di tempismo: quando è stato emanato, lo scorso aprile, mancavano poche settimane alla raccolta e c’era il rischio che i coltivatori, che avevano investito ingenti risorse nella semina e nella coltivazione arrivando talvolta a indebitarsi, si rivoltassero.

Temendo resistenze da parte dei coltivatori e dei comandanti talebani locali, che dalle tasse sulla coltivazione guadagnano, l’Emirato aveva così deciso di concedere una moratoria di due mesi per permettere la raccolta e la vendita di quanto già seminato. In realtà, anche scaduta la moratoria le azioni per contrastare la coltivazione di oppio e la produzione di eroina sono state perlopiù simboliche: ad essere distrutte, con grande pubblicità, sono state solo le colture primaverili ed estive nelle province di Helmand e Kandahar, che occupano 5000 ettari contro i 200mila delle colture autunnali.

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Un fatto strutturale

Ma per comprendere in profondità perché sia così difficile per le autorità contrastare il mercato degli oppiacei bisogna fare un salto indietro di più di quarant’anni. Lo spiegano bene Amalia De Simone e Marta Serafini in un reportage del 2019: quando nel 1979 i Sovietici invadono l’Afghanistan, i mujahideen – i miliziani di ispirazione islamica impegnati nella lotta contro l’invasore – trovano nella vendita dell’oppio e dei suoi derivati un’opportunità per finanziare la guerriglia. Le attività di coltivazione, produzione e commercio, già in crescita dagli anni cinquanta, vengono così potenziate e i proventi investiti in armi. Intanto gli Stati Uniti, che tramite la Cia armano e finanziano i mujahideen in ottica anti-sovietica, chiudono un occhio e anzi – secondo alcuni – supportano la creazione di laboratori per la produzione di eroina.

Nel 2001, l’invasione statunitense in risposta agli attentati dell’11 settembre innesca lo stesso meccanismo: potenziare il mercato dell’oppio per finanziare la guerriglia. Questa volta però gli americani si trovano dall’altra parte della barricata e cercano quindi di contrastare il traffico distruggendo le piante e spingendo gli agricoltori verso la riconversione. I risultati sono scarsissimi, anzi: di anno in anno il settore cresce creando opportunità di lavoro, mentre a causa della guerra le alternative occupazionali diminuiscono. La situazione attuale non è che il frutto di questa dinamica strutturale: dall’economia degli oppiacei, che nel 2021 rappresentava tra il 9 e il 14 per cento del prodotto interno lordo nazionale, dipende oggi la sopravvivenza di migliaia di famiglie afghane che non hanno altri mezzi di sostentamento.

Nonostante ciò, la leadership dei talebani continua a rivendicare l’efficacia del divieto: “La coltivazione è stata azzerata”, ha dichiarato il direttore dell’ufficio antidroga del ministero dell’Interno afghano all’indomani della pubblicazione del rapporto. Salvo poi annunciare, due giorni dopo, la creazione di un comitato interministeriale per la lotta contro il narcotraffico. Proprio l’ambiguità mostrata dai talebani rispetto all’implementazione del divieto e la conseguente incertezza del mercato ha fatto schizzare i prezzi dell’oppio, aumentati di 3,5 volte rispetto al 2021. Questo ha portato a incassi record per gli agricoltori, che ora, in piena stagione di semina, si trovano di fronte a un dilemma: investire i guadagni in nuove colture di oppio, con il rischio di vederle bruciate dopo qualche mese dai talebani, oppure tentare una difficile riconversione, in un Paese in preda a una gravissima crisi economica.

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L’allarme in Europa

I trafficanti locali hanno capito di poter produrre metanfetamina in modo semplice ed economico a partire dall’efedra, una pianta perenne molto diffusa nel Paese

A seguire con attenzione le prossime mosse delle autorità talebane non sono solo i coltivatori preoccupati del destino del loro seminato. Se ne stanno interessando anche le autorità antidroga dell’Europa, tra i principali mercati d’approdo degli stupefacenti che arrivano dall’Afghanistan. Sia l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze che la Direzione centrale dei servizi antidroga (Dcsa) del ministero dell’Interno italiano hanno dedicato al paese paragrafi specifici nelle rispettive relazioni 2022, evidenziando l’impatto che le evoluzioni in corso nell’Emirato possono avere sui traffici di stupefacenti in entrata.

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Il nuovo affare: l’efedrina

A destare preoccupazione, oltre all’eroina, è la metanfetamina, che solitamente viene prodotta estraendo l’efedrina da comuni medicinali. In Afghanistan però i medicinali scarseggiano, mentre abbonda l’efedra, una pianta cespugliosa perenne da cui, da qualche anno, i trafficanti locali hanno capito di poter estrarre efedrina in modo semplice ed economico. Ne è nato un mercato fiorente e in continua crescita, che ha il suo centro nevralgico nel sud-ovest del paese e che i Talebani hanno cercato di contrastare vietando la raccolta e sequestrando diversi laboratori di lavorazione. In questo caso, l’azione delle autorità è stata più determinata ed efficace rispetto a quanto mostrato con l’oppio. Questo perché, come sottolinea Mansfield, seppur in forte crescita il mercato dell’efedra coinvolge un numero di persone molto inferiore e quindi la repressione comporta meno rischi di resistenze. Ma questo non basta a sedare le preoccupazioni delle autorità italiane ed europee: “Nel tempo, la produzione di metanfetamina ed efedrina in Afghanistan potrebbe competere con quella degli oppiacei – si legge nella relazione della Dcsa –. La situazione descritta può determinare un impatto sul mercato internazionale, proiettando il Paese tra i più importanti produttori di droghe sintetiche”.

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