28 giugno 2023
A Giorgia Meloni non va giù. Trova semplicemente sbagliata una narrazione diversa da quella che lei immagina. “Serve un’altra narrazione sul piano educativo e sul piano culturale”, ha detto lunedì pomeriggio in occasione della giornata internazionale contro l'abuso e il traffico di droghe. “Tutta la narrazione va unicamente in una direzione. Film, serie televisive, il messaggio sottointeso è sempre lo stesso: la droga è anti-conformista, la droga non ti fa male, la droga fa bene. E arriviamo al paradosso di avere serie che ti raccontano come un eroe lo spacciatore, sulle stesse piattaforme che facevano i documentari contro Vincenzo Muccioli, contro un uomo che aveva salvato migliaia di ragazzi, quando lo Stato era girato dall’altra parte”. Un chiarissimo riferimento alla docu-serie Sanpa di Netflix nella quale si racconta la storia di Muccioli e San Patrignano, raccontando fatti reali, mostrandone la figura multisfaccettata e anche controversa, lasciando al pubblico il giudizio. Evidentemente Meloni avrebbe voluto un’agiografia e avrebbe cancellato Breaking Bad, Narcos e tante altre serie tv. “La droga no”, per dirla con Valerio Lundini.
Effetto SanPa, tante parole ma politica ferma
È l’egemonia culturale della destra che prende piede. Meloni detta la linea da seguire ed è probabile che i nuovi direttori Rai nominati a maggio per decidere palinsesti e produzioni abbiano colto il messaggio. Non è la prima volta che la presidente del consiglio si scaglia contro certi prodotti audiovisivi. Neanche un anno fa, il 19 luglio 2022, in occasione del trentesimo anniversario della strage di via d’Amelio, la non ancora presidente del Consiglio ha indicato la sua linea:“La lotta alla criminalità è un impegno che deve vederci tutti uniti anche e soprattutto dal punto di vista culturale”, ha detto in un videomessaggio, citando la trasmissione delle udienze del maxiprocesso di Palermo sulla Rai, “un grande esempio di servizio pubblico attraverso il quale gli italiani capirono e si strinsero ai protagonisti di quell'evento e maturarono la consapevolezza che l'onnipotente mafia poteva essere sconfitta”. Intanto il suo governo mette in discussione i programmi Rai di giornalismo d'inchiesta, come Report o Presadiretta: nella bozza del contratto tra l'azienda e il ministero dell'Economia non è più previsto l'impegno a "valorizzare e promuovere la tradizione giornalistica d'inchiesta".
Il programma del governo Meloni nella lotta alle mafie
In quella occasione, inoltre, aveva anche sottolineato “l'impatto emotivo che ebbe la messa in onda, in pieno maxiprocesso, dell'ultima puntata de La Piovra 4”, lo ‘sceneggiato’ che tra gli anni Ottanta e Novanta ha raccontato la criminalità organizzata al grande pubblico: “Oltre 17 milioni di italiani guardarono la morte del commissario Cattani: nacque un mito capace di insegnare che la mafia si deve e si può combattere”. La narrazione che vuole Giorgia Meloni, quindi, è quella dell’eroe in stile Cattani, del buono contro il cattivo, dei cowboy contro gli indiani. Sempre in quel videomessaggio in occasione della commemorazione di Paolo Borsellino, Giorgia Meloni ha affermato che “il compito più importante che hanno oggi artisti, intellettuali, scrittori, chiunque contribuisca a costruire il nostro immaginario” è “fare del coraggio e della giustizia valori da difendere”, in contrapposizione a chi, invece, fa dei criminali gli eroi: “In questo modo si crea un humus culturale nel quale la criminalità organizzata può prosperare e fare proseliti – spiegava –. Non vogliamo arrenderci all'idea che l'Italia possa ridursi al racconto di Gomorra o di Suburra”. Un riferimento, esplicitissimo, all’opera di Roberto Saviano, molto inviso alla destra, tanto da essere stato querelato dalla premier e dal leader della Lega Matteo Salvini. In quest’ottica, rimarcava una Meloni che ancora non era arrivata al potere, Rai, il ministero della Cultura e la Film commission regionali dovranno “giocare un ruolo decisivo nella produzione e promozione di prodotti culturali capaci di raccontare esempi positivi”.
La "strategia" camorristica contro Saviano e Capacchione
“Se trovo chi ha fatto le nove serie de La Piovra e chi scrive libri sulla mafia che ci fanno fare una bella figura lo strozzo”Silvio Berlusconi - 28 novembre 2009
Era diversa invece la posizione di Silvio Berlusconi che nel 2010 aveva messo La piovra e Gomorra in un calderone unico: “La mafia italiana, non so in base a quale classifica, risulta la sesta nel mondo, ma in realtà è la più conosciuta grazie al supporto promozionale che ha ricevuto dalle otto serie tv come La piovra, vista in 160 Paesi e anche dalla letteratura, come ad esempio Gomorra (libro di Roberto Saviano pubblicato dalla Mondadori di Berlusconi, ndr). Noi invece ci siamo posti come obiettivo quello di contrastarla”. Certo, dimenticava il supporto – più che promozionale – fornito da lui stesso e alcuni politici di Forza Italia a Cosa nostra.
Non era neanche la prima occasione in cui Berlusconi contestava apertamente fiction e libri sulla mafia. Il 28 novembre 2009, durante un incontro con i giovani del suo Partito delle libertà (Pdl) a a Olbia, commentando le notizie sul coinvolgimento suo e di Marcello Dell’Utri nelle indagini della procura di Firenze sulle stragi di mafia del 1993, diceva: “Se trovo chi ha fatto le nove serie de La Piovra e chi scrive libri sulla mafia che ci fanno fare una bella figura lo strozzo”. A distanza gli rispondeva Michele Placido: “Mi pare il premier Berlusconi abbia fatto un po’ autogol, perché La piovra è roba di tanti anni fa, mentre le fiction tv più recenti sulla mafia, da Il capo dei capi a quelle su Falcone e Borsellino le ha fatte suo figlio per Mediaset”. Secondo l’attore che interpretava il commissario Cattani, “certi fatti sono purtroppo accaduti e chi di dovere li ha osservati e raccontati per denunciarli doverosamente”.
Non contento, poche settimane dopo, il 28 gennaio 2010, nel corso di una conferenza stampa organizzata a Reggio Calabria per rivendicare i successi del governo nel contrasto alla mafia, Silvio Berlusconi ribadiva il concetto: “Spero che questa brutta abitudine di fare fiction sulla mafia finisca. Queste fiction hanno danneggiato l'immagine del Paese”.
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