6 novembre 2023
Di recente un’alluvione in Libia ha portato all’esplosione di due dighe, e le immagini dell’acqua che scorre tra le rovine del sito archeologico dell’antica Cirene hanno ricordato quelle viste qualche mese fa in Emilia-Romagna. Gli eventi estremi degli ultimi tempi hanno piegato il Mediterraneo, considerato un hotspot della crisi climatica tra alluvioni, terremoti e grandi incendi. Quello che i latini chiamavano Mare nostrum è anche tra i bacini più ricchi di beni culturali patrimonio dell’umanità. L’Italia, in particolare, è il paese con più siti Unesco al mondo (59), ma con l’inasprirsi della crisi climatica sono a repentaglio.
Lo storico dell’arte Tomaso Montanari spiega a lavialibera che "quelle opere sono straordinariamente importanti, parlano di vita e di morte. L’idea di un domani in cui nessuno potrà più guardare gli affreschi, perché distrutti dal cambiamento climatico, spiega quanto l’attivismo ambientale sia importante anche per i beni culturali".
Se il cambiamento climatico è spesso definito come la crisi più grande di tutta l’umanità, è anche vero che i suoi impatti sono più o meno forti in base al contesto, in primis la collocazione geografica. Il Mediterraneo è definito un hotspot climatico perché risente dell’aumento delle temperature, ma anche delle ondate di calore che si alternano a violente piogge torrenziali. Carlo Buontempo, direttore di Copernicus, il servizio climatico e meteorologico dell’Unione europea, spiega che nell’area mediterranea tali eventi sono stati più marcati rispetto alla media mondiale. Il Mediterraneo è un luogo soggetto a calamità naturali, ma anche fecondo di cultura. Secondo uno studio pubblicato dalla rivista Nature Communications, sono 49 i siti Unesco rientranti nell’area che potrebbero scomparire, con l’Italia che si piazza al primo posto, con un totale di 13 siti a rischio.
Il Mediterraneo è definito un hotspot climatico perché risente dell’aumento delle temperature, ma anche delle ondate di calore che si alternano a violente piogge torrenziali
Per Montanari, quando si parla di patrimonio culturale bisogna fare riferimento a un organismo vivo che racchiude tutto. "È l’insieme di ambiente e patrimonio storico e artistico, quindi è la forma del paese". La maggior parte dei beni è ospitata nei centri urbani, all’ombra di qualche teca museale, ma anche sotto il naso dei passanti ai margini delle strade.
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Sono 933, infatti, i beni Unesco classificati come "culturali" a fronte di 227 "naturali". Tuttavia, spiega Buontempo, "con la cementificazione e le isole di calore, le città mediterranee sono loro stesse un hotspot". Per proteggere il patrimonio dagli effetti più minacciosi della crisi climatica – l’aumento delle temperature, l’innalzamento del livello dell’acqua, le alluvioni e i grandi incendi – bisogna quindi guardare alle città.
L’aumento delle temperature, che ha origine dall’emissione antropica di Co2, ha un impatto negativo sulla conservazione. "I musei sono influenzati da quello che sta succedendo fuori – spiega Carlo Cacace, ex responsabile del sistema della Carta del rischio, un servizio dell’Istituto centrale per il restauro (Icr) del ministero della Cultura –. Gli impianti di condizionamento non sempre riescono ad adattarsi alle enormi modifiche che avvengono. Se la temperatura media esterna è di 25-30 gradi, quella interna deve essere di 3 gradi inferiore. Ma se poi di punto in bianco quella all’esterno sale a 40-45 gradi, il sistema non è tarato per gestire una tale differenza e, di conseguenza, si accelerano i processi di degrado".
Per Legambiente, nel 2018 a Roma, Palermo, Cagliari e Bari i giorni estivi, in media, sono stati 133, 16 in più rispetto al valore medio registrato nell’arco temporale 2007-2016. Le alte temperature si traducono in effetti dannosi soprattutto per i beni culturali esposti, secondo il fenomeno definito termoclastismo. "Quando la radiazione solare raggiunge la superficie, il materiale si dilata e si restringe a seconda della temperatura che sperimenta. Uno stress termico più frequente è cruciale", osserva Alessandro Ciccola, docente e ricercatore per la conservazione dei beni culturali dal cambiamento climatico dell’università La Sapienza di Roma.
Per Legambiente, nel 2018 a Roma, Palermo, Cagliari e Bari i giorni estivi, in media, sono stati 133, 16 in più rispetto al valore medio registrato nell’arco temporale 2007-2016
Sulla stessa linea Montanari: "Penso alle pale d’altare nelle chiese e alle tavole dipinte non climatizzate, che con gli sbalzi di temperatura e di umidità potrebbero scolorire, essere danneggiate o distrutte". In Marocco, "le temperature sono già tali da mettere in forte crisi la conservazione delle opere", e in aggiunta a fenomeni come il terremoto di quest’estate, "per lo straordinario patrimonio di intaglio ligneo delle moschee e delle medine marocchine, l’impatto può essere devastante".
Quando si guarda alla crisi climatica è evidente che i suoi effetti sono tutti legati da un filo rosso. L’aumento della temperatura, infatti, determina una dilatazione termica: l’acqua aumenta di volume, innalzando così il livello del mare. Copernicus ha calcolato che a fine luglio tra Italia, Grecia, Algeria e Tunisia le acque superficiali hanno raggiunto temperature fino a 5,5 gradi centigradi al di sopra delle medie stagionali.
Copernicus ha calcolato che a fine luglio tra Italia, Grecia, Algeria e Tunisia le acque superficiali hanno raggiunto temperature fino a 5,5 gradi centigradi al di sopra delle medie stagionali
Buontempo commenta: "Abbiamo moltissimi siti Unesco nel Mediterraneo a pochi metri dal livello del mare: l’innalzamento potrebbe causare l’erosione o l’instabilità di alcuni edifici, rendere inaccessibili o danneggiare per sempre questi luoghi". Un’emergenza che coinvolge altre aree lontane. "La perdita di ghiaccio nella zona dell’Artico – precisa Buontempo – ha delle conseguenze molto significative".
Perché le piogge sono sempre più violente?
Secondo un rapporto del MedEC, un network di scienziati esperti di crisi climatica nel Mediterraneo, il livello medio del mare è aumentato di sei centimetri negli ultimi 20 anni e si prevede una crescita fino a un metro entro il 2100. A Venezia, dal 1890 al 2012, l’acqua si è alzata di 30 centimetri, secondo un report che prende in esame sei città italiane del Cmcc (Centro mediterraneo per i cambiamenti climatici).
Secondo un rapporto del MedEC, un network di scienziati esperti di crisi climatica nel Mediterraneo, il livello medio del mare è aumentato di sei centimetri negli ultimi 20 anni e si prevede una crescita fino a un metro entro il 2100
"L’idea che la città lagunare diventi una specie di Atlantide non è così remota, ma anche Paestum è a rischio", commenta Montanari. L’acqua può penetrare nelle storiche pareti dei monumenti lenta e indisturbata, ma anche spinta dalla forza feroce di un’alluvione, come avvenuto nel sud-est della Libia a metà settembre. O in Emilia-Romagna. In quell’occasione, racconta Cacace, "abbiamo estratto beni entro un chilometro dal fiume esondato, è stato impressionante". L’acqua porta con sé anche un effetto indiretto legato agli sbalzi di umidità: "Può uscire dall’interno delle strutture porose – spiega ancora Ciccola – ma anche i sali possono risalire e cristallizzarsi".
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Quest’estate l’area del Mediterraneo è stata anche teatro di grandi incendi. Con oltre 150mila ettari perduti, quelli avvenuti in Grecia sono i più grandi mai registrati in Europa. Il monastero bizantino e sito Unesco Hosios Loukas ne è stato vittima. Per Montanari, "nella serie di incendi sul Monte Grifone, a Palermo, è bruciata anche una chiesa del Quattrocento, dedicata a Santa Maria del Gesù. È stata distrutta gran parte dell’arredo interno, opere insostituibili". Le fiamme sono spesso di origine dolosa, ma fenomeni quali lo sbalzo dei livelli di umidità, la siccità e le temperature fuori dalla norma possono favorirne l’espansione.
"Nessun materiale è eterno, ma il cambiamento climatico accelera la sua degradazione", dice Ciccola, mentre Cacace specifica come questa accelerazione non abbia fatto altro che "amplificare la risposta del territorio". Esistono dei sistemi di allerta precoce detti early warning systems, fra cui la Carta del rischio, che creano modelli predittivi e permettono di intervenire. Il monitoraggio deve andare di pari passo con la prevenzione.
Esistono dei sistemi di allerta precoce detti early warning systems, fra cui la Carta del rischio, che creano modelli predittivi e permettono di intervenire
"Verifichiamo lo stato di conservazione dei beni culturali e la pericolosità del territorio in cui si trovano", rimarca Montanari. Tuttavia, "oggi si continua a spendere di più per il restauro dei danni subiti che in prevenzione". Nel Mediterraneo non tutti i paesi possono fare affidamento su tecniche come quelle italiane. "Gli impatti nel sud del mondo saranno molto più significativi che in Europa, una regione ricca e preparata", sottolinea Buontempo. Se si vuole salvare l’arte del Mediterraneo è necessaria una risposta decisa e globale, che salvaguardi il patrimonio culturale di tutto il pianeta.
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