28 luglio 2022
Chiara Fornari, ecobiologa, spiega che gli incendi sono fenomeni naturali che esistono da sempre. “Possono essere anche positivi per alcuni tipi di vegetazione, ma in quei casi sono piccoli, poco intensi e rari”. Le fiamme di questi giorni si differenziano, invece, per crescita in frequenza e intensità, motivo per cui si inseriscono in un discorso più ampio, che tocca la crisi climatica.
Greenpeace stima che dal 2000 al 2017 il fuoco abbia distrutto 8,5 milioni di ettari in Europa. Secondo Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) in Italia, solo lo scorso anno, sono andati perduti 150 mila ettari, il triplo rispetto al 2020. Anche i dati sulla frequenza degli episodi, estrapolati dal rapporto Onu Spreading like wildfire parlano chiaro: negli ultimi cinquant’anni gli incendi sono aumentati del 15 per cento, confermando il loro ingresso nel club delle alterazioni climatiche. Gli incendi hanno una doppia valenza all’interno della crisi ambientale. Per Fornari “i cambiamenti climatici favoriscono gli incendi, che a loro volta cambiano a livello globale le condizioni climatiche”.
L'immaginario per reagire al collasso
Il cocktail di caldo, vento e siccità fuori dagli equilibri ecosistemici, figlio del cambiamento climatico, ha creato terreno fertile per l’appiccio e il propagarsi delle recenti bombe ecologiche, con laghi e fiumi prosciugati in tutta la penisola e il 45 per cento di piogge in meno. “Tra gli aspetti del cambiamento climatico che influenzano gli incendi boschivi c’è innanzitutto la siccità” spiega Luca Tonarelli, direttore tecnico del Centro di addestramento anti-incendi toscano.
“Tra gli aspetti del cambiamento climatico che influenzano gli incendi boschivi c’è innanzitutto la siccità”
“Il periodo siccitoso primaverile ed estivo è sempre più lungo, e stressa il bosco, il suolo e le vegetazioni rendendole estremamente infiammabili. Aumentano le precipitazioni invernali e diminuiscono quelle primaverili, aumentano i periodi di contrazione della copertura nevosa, e con la riduzione della neve si verifica una perdita sempre più corposa di umidità nei pascoli e nei boschi”. Fornari aggiunge che “questa elevata siccità rende le piante più secche e fragili all'attacco di patogeni come funghi o insetti” e la vegetazione maggiormente predisposta ad incendiarsi. A ciò si aggiunge l’impoverimento dei bacini idrici, che riduce la disponibilità di acqua necessaria a placare le fiamme.
In linea con i 0.76 gradi in più rispetto alla media, che classificano nell’analisi di Coldiretti il 2022 come l’anno più caldo in Italia, Tonarelli ritrova nelle ondate di calore un altro forte fattore degno di nota. “Dal punto di vista macroscopico esiste il problema della maggiore alternanza degli anticicloni e la frequenza di quello africano, che determina un cambio di clima rispetto a quello Mediterraneo, plasmato dall’anticiclone delle Azzorre, più fresco e con qualche precipitazione. Questi periodi di grande stabilità ed alta pressione comportano temperature altissime, con il bosco che diventa più infiammabile”.
Di pandemie, catastrofi e salvaguardia degli affetti
L’incendio è conseguenza dei danni che l’uomo apporta all’ambiente e a sua volta li alimenta. Fornari spiega che “con gli incendi i regimi climatici potrebbero essere alterati per sempre”. Per comprendere il fenomeno è fondamentale capire che le dinamiche tra un evento e l’altro sono fortemente intrecciate fra loro. Il deterioramento della vegetazione a causa delle fiamme crea una reazione a catena. “Il verde attira l’acqua, viceversa meno piante e meno piogge ci saranno e meno Co2 verrà “sequestrata” dall'ambiente: a quel punto non ci sarà nulla a mitigare il calore.”
“Con gli incendi i regimi climatici potrebbero essere alterati per sempre”.
Il processo del mancato riflesso dei raggi solari da un suolo post-incendio aumenta le temperature e riporta alla situazione di partenza. Anche la flora, la fauna e la comunità microbica ne risentono: “Più gli incendi sono intensi, più penetra nelle profondità del suolo rischiando di sterilizzarlo completamente”.
Un'altra ripercussione è l’inquinamento atmosferico. La combustione del fuoco rilascia sostanze chimiche come l’anidride carbonica aumentando così l’effetto serra. Questo si traduce in temperature più alte, un terreno fertile per il moltiplicarsi delle fiamme. Negli incendi urbani, i roghi interessano i rifiuti che bruciando liberano nell’aria sostanze cancerogene quali diossina, zinco e metalli pesanti. Inoltre, questi gas si depositano sui terreni agricoli, contaminandoli.
Dobbiamo avere paura della crisi climatica
Le conseguenze di un incendio dunque non sono circoscritte al solo frangente delle fiamme: hanno radici nella gestione del territorio e produce ripercussioni nel futuro. Secondo i dati Eurostat, l’Unione europea da circa vent’anni investe solo lo 0,5 per cento della sua spesa pubblica nei servizi anti-incendio. Tonarelli aggiunge che l’Italia “rispetto a paesi come Francia, Spagna e Portogallo, su questo tema è indietro perché le nostre risposte sono legate a mezzi e risorse e non tanto alla conoscenza del fenomeno”.
Da circa vent’anni l'Unione europea investe solo lo 0,5 per cento della sua spesa pubblica nei servizi anti-incendio
Si parla molto di indagini sull’eventuale dolo che si nasconde dietro questi disastri, ma ancora troppo poco di responsabilità collettiva per ciò che accade. Le indagini per risalire agli incendi, date queste premesse, dovrebbero passare anche attraverso la giustizia climatica, in questo caso fatta di ascolto, gestione, rispetto del territorio e scelta del benessere perpetuo del pianeta a fronte delle risposte a breve termine. Nel caso degli incendi, questo significa applicare politiche di carattere preventivo.
Ovvero, come spiega Fornari “scegliere delle specie vegetali adatte, formare il personale, realizzare delle fasce tagliafuoco, ridurre il materiale potenzialmente combustibile e soprattutto responsabilizzare e rendere consapevoli le persone”. Per Tonarelli “ogni regione è diversa, ciascun territorio ha topografie, tipi di vegetazione e climi completamente differenti” e dunque una decentralizzazione coordinata delle responsabilità sarebbe un’altra strategia preventiva. Fin tanto che ci si continuerà a rivolgere alle colonne di fumo come emergenza i disastri si replicheranno. Si chiama cambiamento climatico.
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